Commenteremo The Nevers settimanalmente. QUI trovate la recensione del pilot.

La critica USA continua a essere molto tiepida, per non dire inclemente, nei confronti della serie, ma al secondo episodio mi pare chiaro si tratti di malafede. Se The Nevers portasse la firma di un essere umano più decente di quanto abbia dimostrato di essere Whedon, ci sarebbero già pezzi su pezzi su quanto Downton Abbey abbia incontrato Sherlock Holmes che a sua volta ha incontrato il femminismo dando vita a un universo affascinante che non si vede l’ora di esplorare in tutte le sue implicazioni. Ma lo scriveranno, a partire però dalla prossima seconda metà di stagione, quando come showrunner figurerà Philippa Goslett e si potrà sorvolare sul fatto che tutti gli scripts sono già stati supervisionati e approvati da Whedon e che nella writing room, e come executives, restano la bravissima Jane Espenson – che firma questo episodio – e Doug Petrie, due bracci destri di Whedon e colonne portanti di Buffy The Vampire Slayer. Ma anidamo allepisodio.

Exposure conserva tutti i punti di forza del pilot continuando a puntare sulla trama orizzontale che però non va a detrimento della caratterizzazione dei personaggi di cui, anzi, scopriamo sempre di più sia a livello personale che nella rete di relazioni che li interconnette.

L’episodio viene portato a casa con leggerezza e ritmo tra dialoghi taglienti, combattimenti ben coreografati e invenzioni sfiziose. Permane, in ogni caso, la mia perplessità nei confronti di Maladie come villain di spessore. In questo secondo episodio va un po’ meglio, Amy Manson è bravissima e si spende completamente per il suo personaggio, ma proprio non va e spero muoia presto. Registro il fastidio del (non) utilizzo di due attrici che finora sembrano messe lì solo per la quota diversity che di fatto non esiste, e non è sufficiente la presenza del dottore miracoloso a portare la bandiera per tutti.

Da qui in avanti SPOILER.

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Exposed inizia ad amalgamare nell’impasto narrativo ingredienti che nel pilot erano rimasti da parte. Innanzi tutto – e qui parto dalla fine – il dottor Hague, al limite della macchietta del dottore macabro da b movie, ha già un ruolo un po’ più definito che a sorpresa è di subalternità al servizio di quello che potrebbe essere il vero big bad della stagione, là dove Maladie è solo la villain. Ma andiamo con ordine.

A seguito della strage avvenuta all’Opera, la polizia irrompe nell’Istituto gestito da Amalia per una perquisizione a sorpresa. Dal debutto di Maladie ogni touched è percepito come minaccia e potenziale alleato della folle. Lavinia Bidlow, per non veder vanificato il suo investimento nell’orfanotrofio – punta di diamante delle sue attività caritatevoli – chiede a Penance di prendere parte a un gala di beneficienza insieme ad altre ospiti dell’Istituto. Lo scopo dichiarato è quello di tranquillizzare la massima espressione del privilegio della società inglese mostrando quanto i touched non solo non siano da temere, ma siano anzi adorabili, esattamente come si potrebbe fare, però, con degli animali esotici.

Le ospiti dell’orfanotrofio non vengono presentate come persone meritevoli di rispetto in quanto esseri umani, ma viene posto l’accento proprio sulla loro diversità la cui carica di potenziale pericolo viene però disinnescata rendendola una forma di intrattenimento. Il scopo di Lavinia è far passare il concetto che i touched non esistono per intimorire, ma per divertire. Basti vedere come Primrose sia sostanzialmente trattata come un grazioso equivalente del Bigfoot, con il plus di essere fotografabile. 

E questo modo di procedere è esattamente quello che si risolve ad adottare Swann, anche se in uno scenario diverso, ma probabilmente frequentato dalle stesse persone del salotto buono di Lavinia. Il suo Ferryman’s club – un bordello, per capirci – debutta ufficialmente e deve gran parte del suo successo proprio alla presenza dei touched, richiestissimi dopo i fatti dell’Opera. “Horror and fascination go arm in arm” spiega Swann. Ed è dalla notte dei tempi che la società bene sfrutta nella notte ciò che disprezza di giorno. Anche Lavinia segue esattamente questo pattern: ci sono i touched da esposizione alla luce del sole per guadagnarle prestigio, e quelli da tenere in segreto come schiavi.

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Amalia, dopo qualche schermaglia con il detective Mundi decide di collaborare con lui, o meglio: accorda al poliziotto la possibilità di esserle d’aiuto. È a questo punto che dopo l’incontro/scontro tra Amalia e Maladie, scopriamo che in un’altra vita le due erano amiche, si conoscevano con nomi diversi – Molly e Sarah – e che Amalia in qualche modo ha tradito la fiducia dell’amica lasciandola in mano alle persone che l’hanno torturata fino alla follia. 

Per arrivare a questo punto attraversiamo momenti buoni, con altri più meh. Il confronto tra Maladie e Mary non funziona come dovrebbe. I due estremi che rappresentano – dolore vs speranza – sono messi in scena in modo stereotipato già a partire dall’aspetto fisico: Mary ha una bellezza dolce e angelicata, Maladie ha i capelli strani, il trucco sbavato e i vestiti strappati. Tom Riley (Augie Bidlow) finisce nella colonnina delle cose che potevano essere fatte meglio. L’attore è fuori parte. Le sue battute, la sua mimica, sono state chiaramente pensate per un attore con le caratteristiche di Fran Kranz, o Nicholas Brendon.  

Il nuovo ingresso, Desirée è un elemento comico efficace e spassoso, e questo porta a chiudere un occhio sul suo essere un mero plot device. Anzi, la donna è la versione in carne e ossa del lazo di Wonder Woman proprio come Whedon l’ha utilizzato in una scena del suo Justice League.

Tutti i confronti tra i personaggi sono calibrati con il bilancino e rivelano tanto quanto nascondono, il che a questo punto della narrazione è sicuramente un vantaggio sia per iniziare a far combaciare i pezzi della storia, sia per stuzzicare la curiosità. Amalia, nel suo arsenale, oltre a saper menare le mani, reggere l’alcol, e avere una risposta pronta per tutti, sfoggia anche doti da investigatrice e mostra un talento da antesignana dei profiler dell’FBI. 

Il centro umano della storia risiede nell’amicizia tra Amalia e Penance, soprattutto nella tenera e spassionata devozione che quest’ultima prova per l’amica, cura e attenzione espressi anche attraverso i gadget steampunk di cui la rifornisce. Ecco, sarebbe belo se l’elemento steampunk uscisse fuori dal laboratorio di Penance e si integrase con il resto dell’ambientazione.

Ultima nota per Lavinia Bidlow. Il fatto che si siano giocati già al secondo episodio la rivelazione che la riguarda significa che ci attendono altri scossoni ma, quale che sia il futuro del personaggio, Olivia Williams si riconferma un’attrice nata per personificare tutta la composta e sprezzante causticità che sa sottintendere la lingua inglese, anche quando espressa attraverso una cortesia formale ineccepibile.

Infine, peccato per la storyline di Elisabetta (Domenique Fragale). Se da una parte sono contenta di non dover più subire il tragicomico accento italiano della ragazza, dall’altra mi spiace perché il personaggio aveva delle potenzialità per il minimo di backstory che ci è stato presentato, per il suo particolare turn e anche per l’attrice che suscita istintiva simpatia.

Note

Maladie dice ad Amalia più volte “You’re the woman who sheds her skin” e Amalia nel pilot dice al Beggar King che le accosta una lama al viso “This isn’t my face“. Scopriremo un altro turn?

The Nevers in Italia è disponibile su SKY.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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