Raylan Givens è nato e cresciuto nella piccola città di Harlan, Kentucky, duemila anime e molti più fucili. Dopo un’infanzia movimentata sotto la guida di un padre truffatore e ladro, decide di lasciare casa e seguire una carriera nelle forze dell’ordine. Si specializza in un rinomato poligono di tiro e diventa maresciallo di stanza a Miami.
Durante un’investigazione in Nicaragua, viene preso in ostaggio da un criminale che gli risparmia la vita, costringendolo a guardare un suo collega morire di fronte a lui, senza che possa fare nulla per salvarlo. Quando Raylan rivede il criminale a Miami, non ha abbastanza prove per arrestarlo. Gli dà invece un ultimatum: se non lascia la città entro 24 ore, lo ucciderà. Justified si apre con il faccia a faccia tra i due vecchi nemici. Raylan ribadisce l’ultimatum. Il criminale tira fuori la pistola. Raylan lo uccide.
Lo scontro da far west, per quanto “giustificato”, non piace ai superiori di Raylan, che viene trasferito nella stazione di Lexington, Kentucky, a pochi chilometri di distanza da Harlan, il posto da cui era fuggito per cambiare vita. Appena arrivato, Raylan rincontra molti vecchi amici. La sua ex moglie Winona, ora risposata con un agente immobiliare goffo e ingenuo. Ava Crowder, la moglie di un famoso criminale locale, da lei recentemente ucciso con un colpo di fucile a pompa nello stomaco. Rivede suo padre, un uomo ben oltre i sessant’anni, ma non abbastanza stanco da abbandonare la sua vita da criminale di piccolo stampo. E rincontra Boyd Crowder, una testa calda con cui aveva condiviso anni di lavoro nelle miniere del paese quando entrambi erano ragazzi. Boyd ha smesso di far esplodere la roccia per far saltare in aria chiese e banche, mosso da un misto tra fanatismo neonazista e ossessioni cospiratorie. Anche lui ha un rapporto difficile con un padre criminale. La loro riunione si conclude con un proiettile nello stomaco di Boyd, che sopravvive e decide di cambiare vita. Più o meno.
Così si conclude il primo episodio di Justified, prodotto da Graham Yost, penna dietro a Hard Rain e Band of Brothers, e tratto da una storia breve di Elmore Lenard, anche lui tra i produttori. Come spesso capita con le storie di uno dei più grandi interpreti viventi del noir, la morte è dietro ogni angolo, combattuta solo da uomini veri. Tormentati, spesso soli e pieni di demoni, ma capaci di continuare ad andare avanti. La prima serie parte col botto ma impiega una manciata di puntate prima di trovare la sua identità, quando la storia tra Raylan, Boyd e i loro padri comincia a prendere forma.
Raylan odia Harlan e suo padre, ma è in gran parte la somma dei due. Un uomo che cova grande rabbia sotto una patina di calma, e non vuole compromettere la sua idea di libertà. Apprezza le buone maniere e gli accordi a stretta di mano, forse più della legge imposta dal suo lavoro. Ma vede il marcio che nasce quando un posto piccolo si isola e decide di non comunicare con l’esterno: affascina e seduce con il suo senso di familiarità, illude chi pensa di potere trovare una pausa dal tornado della vita cittadina. Ma presto le frustrazioni sopite di chi si trova intrappolato in una realtà chiusa dentro sé stessa prendono il sopravvento, creando mostri. Raylan conosce questo meccanismo e lo rispetta: sa che non si può combattere, si può solo cercare di dimostrare che si può fare diversamente. La gente di Harlan sa che Raylan è uno di loro. Ma il fatto che sia andato oltre, che abbia abbandonato la vita che loro hanno deciso di condividere, lo rende uno straniero, e spesso un nemico. Tornato nella città dove è nato, deve affrontare i suoi demoni. Capire chi è, e come trasformare il suo lato oscuro in qualcosa di buono.
Timothy Oliphant recita nel ruolo di Raylan in una delle migliori interpretazioni della sua carriera. È soprattutto grazie a lui che lo show non diventa mai troppo pesante o negativo. Dietro alle sue scelte c’è sempre un senso di leggerezza e realismo che raramente lascia spazio alla tragedia. Tutta la serie è una raccolta di interpretazioni straordinarie, come Nick Searcy, ottimo caratterista qui in grado di dimostrare di potere creare un personaggio complesso e pericoloso senza mai dimenticare la sua umanità, Joelle Carter, una donna forte ma incapace di trovare la forza per andare oltre Harlan, e Natalie Zea, seducente e determinata, la salvezza di Raylan. I nomi sono tanti e aumentano in una seconda stagione straordinaria, in cui la serie realizza il suo potenziale fino a trascendere quello che sembrava “solo” un buon poliziesco.
Raylan è sempre a un passo dalla morte, e non sembra esserne troppo preoccupato. È un uomo che riesce a fare del bene perché non ha nessuna illusione sul mondo, sin da quando era piccolo ha capito che l’orrore cova in ogni angolo, e sa che tutto quello che può fare è cercare di evitare che soffochi coloro che vuole proteggere. Così, la storia di una famiglia di spacciatori di marijuana guidata da una madre spietata e ossessionata dal controllo (Mags Bennet, interpretata da un’incredibile Margot Martindale) diventa un’epica che esplora con estrema lucidità il dilemma americano tra libertà e ordine costituito, tra locale e federale. La storia della famiglia Bennet è raccontata a passo lento e determinato, tratteggiando i suoi personaggi con straordinaria abilità. Episodio dopo episodio, la serie è diventata una delle migliori che si possano vedere attualmente in televisione, e si conclude in un finale che, per tematiche e esecuzione, fa pensare al True Grit dei Cohen, ma va oltre, chiudendo una delle stagioni più compatte e liriche che si siano mai viste in uno show di questo tipo.
Justified è la dimostrazione che il western non è morto: è cresciuto e ha capito che la nuova frontiera non è più geografica, ma etica e morale. I cattivi dei film classici non esistono più. Esistono personaggi rotti e deboli, che si aggrappano a tradizioni vecchie e modelli romantici per non affrontare un mondo sempre più distante da quello dei racconti dei loro padri. Chi decide di attaccarsi al passato cade in una spirale di violenza. Chi sa guardare al presente può cambiare le cose, ma è spesso solo, incapace di concepire il compromesso. In un paese vecchio come l’Italia si parla da tempo della necessità di “uccidere i padri”, ovvero di chiudere con la reverenza quasi superstiziosa verso le facce e le idee del passato, per inaugurare una nuova era. Ma la narrativa del nostro paese fa fatica a ragionare in questa direzione, soffocata dal dominio culturale di istituzioni millenarie. Harlan non è così diverso da tanti paesini dell’Abruzzo o della Barbagia. In Justified uccidere i padri è spesso una questione di sopravvivenza. Terribile, triste e lacerante. Ma spesso necessario.
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Questa recensione è tratta da Players 06, che potete scaricare gratuitamente dal nostro Archivio.
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