La magia di Dorohedoro è già racchiusa nel titolo, un intraducibile pastiche di parole che fonde la pronuncia giapponese del termine fango (“doro”) con onomatopee utilizzate per i rumori degli scarichi fognari. Così come il nome, anche i contenuti del manga risultano deliziosamente indescrivibili, risolvendosi in un’alchimia di eventi lucidamente folli e cupe suggestioni emozionali, sintetizzati sullo sfondo di un allucinato universo fantastico, che pare calare un livido sudario, lercio di muffa e putridume, sul Paese delle Meraviglie di carrolliana memoria. Il merito di tanta stravaganza spetta unicamente a Kyu “Q” Hayashida, il quale, dopo avere magistralmente retto il confronto con il character design di Kazuma Kaneko nel manga ispirato al bizzarro videogioco di Atlus Maken X, ha letteralmente iniziato a vomitare su carta tutto il suo visionario estro creativo, sia come disegnatore che come sceneggiatore, dando vita a quella che, dal 2002, continua a essere una delle opere più originali del panorama fumettistico nipponico.

L’epopea di Dorohedoro si apre su Hole, un fatiscente agglomerato urbano dai connotati dieselpunk, composto da strutture distorte, trafitte da grovigli di tubi e macchinari metallici, che sembrano partorite dalla mente di un ingegnere delirante. Qui vive una squallida comunità di uomini, oppressi dalle barbare incursioni degli stregoni, ovvero creature provenienti da una dimensione parallela e capaci di lanciare aberranti sortilegi attraverso la fuliggine nera che spruzzano dal proprio corpo. Utilizzati quali cavie per esperimenti di magia, gli abitanti di Hole presentano spesso raccapriccianti mutilazioni o grottesche trasformazioni, come la testa da rettile che ha sostituito i connotati originali del misterioso protagonista, Cayman. Privo di memoria, Cayman agisce come brutale cacciatore di stregoni allo scopo di ricostruire il proprio passato, arrivando ad addentrarsi nell’infero mondo dei maghi.

Parte così un helter skelter di situazioni surreali e personaggi simpaticamente inquietanti, che si avvicendano senza soluzione di continuità in un agrodolce alternarsi di atroci sequenze splatter e ironia sopra le righe. Si passa, quindi, dall’agghiacciante uomo-corvo, che, con lame da macellaio al posto delle braccia, scortica un demone dalle fattezze porcine, alle demenziali side story raccontate dallo Spiritello dei Gyoza, una sorta di tortello antropomorfo, sempre pronto a dispensare assurdi consigli culinari e fornire retroscena sulla folle vita quotidiana dei vari coprotagonisti. Questo variopinto circo dell’immaginario viene compulsivamente squarciato da parentesi sul passato, spesso tormentato, dei vari personaggi, spostando drammaticamente il tono dell’opera verso i limiti dell’introspezione psicologica e mostrando quanta complessa umanità alberghi anche nell’onirico mondo di Dorohedoro. Così facendo, Hayashida scioglie i rigidi ruoli narrativi di “eroi” e di “antagonisti” nel cremoso melange della natura poliedrica e talvolta contraddittoria degli individui, generando, come nelle migliori favole, un’allegoria sottile dell’uomo quale animale sociale, soffermandosi preferenzialmente sulle problematiche dell’intolleranza e dell’odio di classe.

Tutto ciò è perfettamente orchestrato da una sceneggiatura agile, capace di muoversi in contemporanea su due binari differenti, uno dei quali conduce nel profondo dei personaggi, verso i più intimi recessi del loro animo, mentre l’altro esplora il mondo fantastico che fa da teatro alla vicenda e che, come una sorta d’inferno dantesco, si snoda in metaforici gironi concentrici (mondo degli uomini, degli stregoni e dei demoni).

In sintesi, Dorohedoro è piena espressione del lato più folle della creatività nipponica, capace di risultare al contempo profonda e frivola, drammatica e comica, orrorifica e solare. In una parola: geniale.

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Piero Ciccioli

Coniuga da anni la sua professione di ricercatore scientifico a quella di articolista e saggista specializzato in videogiochi, cinema d’exploitation, horror, fumetti e nei più disparati prodotti di entertainment d’origine nipponica. Nutre una viscerale predilezione per tutto ciò che è weird e sogna di radere al suolo una riproduzione in cartapesta di Tokyo, vestito da Godzilla.

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