Yokohama, 1963. Ad un anno dalle Olimpiadi di Toyko, che certificheranno la definitiva rinascita del Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale, si intrecciano le storie di due adolescenti: Umi, una ragazza che ha perso il padre in mare durante la guerra di Corea e Shun, che frequenta la stessa scuola e vede ogni mattina ripetersi il rituale dell’issaggio da parte di Umi di due bandiere di segnalazione marittima che augurano ai marinai una navigazione sicura. L’amore è dietro l’angolo ma così anche alcune rivelazioni inattese che cambieranno per sempre la vita dei due ragazzi…

Sceneggiato da Hayao e diretto da Goro Miyazaki (il figlio), From Up on Poppy Hill (in originale Kokuriko-zaka kara, il film è tratto dal manga di Chizuru Takahashi e Tetsurō Sayama) rappresenta una bella occasione di riscatto per quest’ultimo, il cui primo lungometraggio, I Racconti di Terramare, aveva suscitato più delusioni che entusiasmi. Stavolta invece, anche se la distanza dal padre resta incolmabile, Goro confeziona un film forse “minore” nella oramai quasi trentennale storia dello Studio Ghibli, ma comunque capace di toccare cuore e coscienze.

Apparentemente From Up on Poppy Hill altro non è che un efficace affresco storico del Giappone di quei tempi, realizzato con la solita stupefacente perizia tecnica ma alquanto carente quanto a pathos, ritmo ed emozioni. Eppure, scavando sotto la superficie, il film ha tanto da mettere in mostra: una bella storia di amicizia e amore adolescenziale, raccontata con quel garbo e quello stile che solo in pochi sanno infondere nelle opere di animazione; una sottotrama divertente ed efficace per comprendere la volontà di riscatto del popolo giapponese di quei tempi (il recupero, restauro e salvataggio di un fatiscente edificio studentesco chiamato “Quartiere latino”, come la zona di Parigi in cui ha sede la Sorbona); il ricordo struggente e malinconico delle ferite inferte dalla guerra a due generazioni; una struttura narrativa anomala, visto che il film scorre senza particolari scossoni e senza rilevanti colpi di scena, fatta eccezione per un twist sul finale.

Nonostante la lentezza quasi ostentata e la prevedibile riproposizione di alcuni tratti classici e caratteristici della poetica Miyazakiana (la storia da preservare, la fiducia nelle generazioni che verranno, la nostalgia per un’epoca in cui la natura aveva la meglio sui ritmi della modernità), anche un film così intimamente “giapponese”, finisce per piacere e soprendere.

Molto vicino per temi, atmosfere e ritmo a opere quali Only Yesterday e Ocean Waves, From Up on Poppy Hill si fa apprezzare per valori produttivi altissimi (gli sfondi sono eccezionali e anche il chara “eighties” richiama l’epoca di Conan e Laputa) e una cura maniacale per i dettagli (la sequenza di ristrutturazione dell’edificio). E’ un film contemplativo che richiede pazienza e che oggi può forse apparire fuori dal tempo, quasi dimesso e compassato di fronte ai cacofonici blockbuster occidentali, ma in fondo, visto lo stato delle cose, perchè rinunciare ad una sana dose di ottimismo?



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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3 Comments

  1. adoro questo stile…

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