Lo zio Sam non ha mai smesso di avere paura, del terrorismo, delle catastrofi naturali, delle guerre nucleari, delle crisi planetarie, del sovvertimento del Sistema mondo. E’ per questo forse che i film apocalittici sono il suo cavallo di battaglia.

Con World War Z, dal romanzo di Max Brooks, Marc Forster (Monster’s Ball) si è giocato gli assi per l’incasso: action, sentimentalismi, horror e attualità. L’umanità è nel panico a causa di un virus letale a diffusione lampo che trasforma le persone in zombi. L’Uomo che gli Usa mettono in campo per salvare il pianeta non può che essere lui, Brad Pitt, già produttore con la sua Plan B, padre amorevole, marito devoto, paladino dei diritti umani e collaboratore delle Nazioni Unite. Sì, è così anche nel film e si chiama Gerry Lane!

A lui l’arduo compito di ricercare ai quattro angoli del globo la fonte dell’epidemia e scovare una cura. La fonte è in Corea, focolaio pericoloso nello scenario geopolitico reale. Poi raggiunge Gerusalemme, che si è preservata dal contagio costruendo un MURO per tenere lontano “gli infetti”, e salva una giovane recluta dell’esercito israeliano che lo aiuterà nell’impresa. Lo spettatore legga tra le righe.

La tensione si avverte, scene da un videogioco qua e là, da Resident Evil a Silent Hill. Ma “i rabbiosi”, un po’ Romero, un po’ 28 giorni dopo o Io sono leggenda, sono metafora di una natura matrigna che si ribella agli esperimenti scientifici, alle patologie socio-politiche della globalizzazione, ai disastri climatici prodotti dalla civiltà del terzo millennio. E mette in guardia, gli uomini soli saranno la causa della loro fine, condannati a mangiarsi l’un l’altro come il conte Ugolino con il sangue del suo sangue.



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