Avvincente, colorato, sardonico. The Grand Budapest Hotel è quello che ogni fan di Wes Anderson poteva desiderare e, forse, qualcosa in più. Stavolta l’uomo dello schermo diviso in due e dei leggiadri movimenti di macchina, ci racconta una storia a metà tra il thriller e la commedia nera.

Tutto ruota attorno alla carismatica figura di Gustav H., intraprendente concierge di un albergo di lusso ubicato in una remota e immaginaria regione dell’est Europa. Assieme al fido Zero Moustafa, giovanissimo apprendista, Gustav H. viene coinvolto in una serie di eventi imprevisti e travolgenti: il furto di un quadro di valore inestimabile, la lotta per ottenere una immensa eredità, un’occupazione militare, assassinii, intrighi e rocambolesche fughe da carceri di massima sicurezza.

Brillante e vivace, The Grand Budapest Hotel strega grazie ad una forma perfetta fatta di colori pastello, inquadrature suggestive, una impressionante attenzione al dettaglio, costumi strepitosi e una colonna sonora da Premio Oscar (by Alexandre Desplat, oramai a pieno titolo il vero erede di John Williams). A differenza di alcuni film precedenti del regista però, in cui effettivamente la forma serviva (anche) per mettere in secondo piano una certa “impalpabilità”, stavolta anche il contenuto è degno di nota.

Laddove infatti molti espedienti e gag sono chiaramente inserite nel tessuto narrativo per suscitare ilarità, sotto la superficie del film è possibile rilevare la presenza di chiari messaggi pacifisti e antirazzisti. Emblematica, sotto questo profilo, è la riuscita caratterizzazione di Zero Moustafa, magistralmente interpretato dal quasi esordiente ma talentuoso Tony Revolori, un personaggio apolide che, suo malgrado, si vede costantemente emarginato un po’ da tutte le altre “etnie” presenti nel film.

The Grand Budapest Hotel è bizzarro e malinconico: ogni personaggio porta in dote qualcosa di unico ed inimitabile: anche il cameo più breve (vedi alla voce Owen Wilson e Bill Murray), si inserisce alla perfezione nel contesto generale, come piccolo ma essenziale pezzo di un puzzle tanto complesso quanto stimolante da risolvere.

Sofisticato ed elegante ma mai indulgente nel manierismo, leggero ma non inconsistente, The Grand Budapest Hotel sorprende per l’assoluta perfezione formale e per le audaci performances di alcuni dei membri dell’ricchissimo cast, a cominciare da Ralph Fiennes, qui perfettamente a suo agio, nonostante i toni della commedia brillante non siano storicamente nelle sue corde.
Chi detesta (ma è possibile?) il cinema di Wes Anderson, stia alla larga da The Grand Budapest Hotel, perchè quest’ultimo film è il manifesto della sua creatività e della sua visione del Cinema. Tutti gli altri si accomodino: lo spettacolo sta per cominciare…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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