Un soldato, il cecchino dei Marines Mike Stevens, mentre sta tornando al proprio campo base dopo una missione fallita in Afghanistan, calpesta inavvertitamente una mina: non può proseguire senza innescarla e si trova così costretto a restare immobile per due notti e due giorni, in attesa che arrivino i soccorsi…
Il felice 2016 del cinema italiano prosegue: dopo il meraviglioso Indivisibili e i buoni/ottimi Fuocoammare, Perfetti Sconosciuti, Jeeg, Suburra, Veloce come il vento e La pazza gioia tocca agli esordienti (sul grande schermo) Fabio & Fabio, dimostrare che il fin troppo spesso compianto “cinema di genere” è ancora vivo e vegeto. Certo, il termine utilizzato richiama altre pellicole, altri tempi e un diverso modo di intendere la settima arte, ma è indubbio che Mine, vuoi per la sceneggiatura (anche se l’idea di partenza è identica a quella di Passo Falso, film italofrancese uscito nelle sale qualche mese fa) vuoi per il messa in scena, è difficilmente inquadrabile in un “genere” tradizionale e proprio per questo appare fresco e innovativo.
Un film atipico (lo scenario è bellico, ma le guerre combattute dal protagonista sono tutte interiori) di impianto teatrale, dotato però di un ritmo tambureggiante, a dispetto della staticità dell’azione, non si vede tutti i giorni e le idee proposte dai registi/sceneggiatori permettono alla pellicola di cambiare direzione più volte, per arrivare ad un finale concreto e soddisfacente. Il protagonista, ben interpretato dal “divo” Armie Hammer, che sfrutta al meglio il suo talento e la sua imponente fisicità per descrivere l’incubo (e i fantasmi) del suo personaggio, subisce una drastica evoluzione durante lo svolgersi degli eventi e mano a mano che passano i minuti si avvicina sempre di più allo spettatore che diventa suo complice, compagno e sostenitore.
Nonostante alcune cadute di tono e stile (commento musicale troppo invadente, eccessiva durata, qualche concessione di troppo alla forma più che al contenuto) Mine convince, specie quando si stacca dalla realtà e inizia a raccontare le vicende passate del marine (tramite riusciti flashback) e la sua realtà parallela e onirica, scelta che permette al duo italiano di dimostrare anche una certa perizia nell’ utilizzo degli effetti speciali.
Premiato (e non era scontato) anche dal pubblico pagante, Mine dimostra non solo che un altro modo di fare cinema è possibile, ma che anche nel nostro asfittico mercato c’è (o torna ad esserci) spazio e vita commerciale per prodotti che non siano commedie “generazionali” e film drammatici.
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