Finalmente The Woman in the Window è disponibile per la visione, anche se su Netflix e non al cinema come nei piani iniziali. Ma se questo – essere su una piattaforma di streaming piuttosto che in sala – è un destino comune alla gran parte delle pellicole dell’ultimo anno a causa del mercato stravolto dalla pandemia, altri elementi hanno rallentato e problematicizzato la produzione del film. 

Oltre a ritardi e intoppi dovuti al covid, si è anche reso necessario effettuare diversi re-shoots vito che il pubblico dei test aveva trovato la narrazione piuttosto confusa. Joe Wrigth, a quel punto, si è ritrovato a dover riconfigurare una storia che risultasse più agevole da seguire, ma senza che il riassestamento narrativo pregiudicasse l’efficacia di tutti i despistaggi e i plot twist necessari a giustificare l’esistenza di un prodotto del genere.

Hitchcock, nel 1954, con il suo La Finestra sul Cortile ha dato vita a un intero sottogenere del thriller nobilitando il prosaico farsi i fatti degli altri attraverso le tendine di casa. Da quel momento, ogni film che mette in scena un protagonista intento a osservare il proprio dirimpettaio deve fare i conti con l’inevitabile confronto. The Woman in the Window arriva, però, in un momento storico particolare a livello globale. La pandemia ha ristretto gli orizzonti sociali di tutti noi, marcandone i confini esattamente in prossimità delle nostre abitazioni. La società è di colpo diventata i nostri vicini di casa e poco altro. Anche la tenuta psicologica, sia delle persone impropriamente definite “normali” che di quelle con criticità pregresse, è diventata via, via uno degli aspetti di cui si è dibattuto maggiormente. Forse per la prima volta si è iniziato, senza reticenze, a mettere l’accento sull’importanza della salute mentale delle persone.

The Woman in The Window – basato sull’omonimo best seller avrebbe potuto sfruttare un contesto storico e sociale unico per risuonare con maggiore forza, purtroppo nonostante un regista elegante ed efficace come Joe Wright, e un cast da tappeto rosso – Amy Adams, Julianne Moore e Gary Oldman – il film non si solleva molto da terra restando nell’alveo dei prestige film che tanto piacciono alle piattaforme streaming, Netflix in particolare, proprio per apporre qui e lì pennellate di lusso all’offerta del proprio catalogo.

the woman in the window

Anna è una psichiatra che da dieci mesi vive reclusa nella sua abitazione. Soffre di agorafobia e sta venendo fuori da una depressione, che le è stata quasi fatale, a colpi di farmaci e bottiglie di rosso. Il suo passatempo è interessarsi alle vite dei vicini del palazzo di fronte, finché non resterà coinvolta nelle vicende personali di una famiglia in particolare.

Il limite di queste storie coincide anche con il loro elemento più appetibile. Con un canovaccio del genere lo spettatore è sempre in allerta, sa di non potersi fidare di nessun personaggio e che ogni angolazione da cui viene mostrata la storia ha un punto cieco. Questo però porta anche ad aspettarsi risoluzioni più soddisfacenti della propria fantasia, e soprattutto diffidando di chiunque risulta difficile investire davvero in un personaggio e nel conseguente arco narrativo. Hannah, in questo caso, è la protagonista, ma fin da subito capiamo che è una narratrice inaffidabile.

La storia è sufficientemente intrigante da condurci fino a fine film senza rimpianti, ma nonostante l’impegno di Joe Wright nel trovare nuove angolazioni e soluzioni registiche, nonostante la sempre bravissima Amy Adams che veicola empatia pur trasmettendo inaffidabilità, The Woman in the Window risulta un prodotto dimenticabile cinque minuti dopo la visione.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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