Fortuita coincidenza o pianificazione attenta? Domanda retorica che sorge spontanea notando la puntualità con cui l’Editoriale Cosmo ha pubblicato, all’interno della collana Cosmo Serie Blu, Le Transperceneige, il bande dessinée da cui è tratto il film di Bong Joon-ho Snowpiercer, di cui ci ha parlato Fabia Di Martino.
L’editore emiliano ha scelto di riunire in un unico volume le tre parti di cui è composta la storia e che in Francia sono state pubblicate tra il 1984 ed il 2000: queste tre sono state riunite dall’editore emiliano che ne ha adattato i titoli, rendendoli più altisonanti (dall’originale La Traversée si è passati ad un biblico La Terra Promessa). Per il resto gli apparati editoriali sono ridotti ad una breve introduzione, una rubrica dedicata alle altre collane ed un’intervista a Jean-Marc Rochette curata da Mauro Giordani.
I tre racconti condividono la trama di fondo: a causa di una nuova era glaciale, l’umanità sopravvissuta è costretta a vivere su alcuni treni in perenne movimento. Il risultato di questa scelta è una rigida divisione in classi, in cui i più poveri occupano i vagoni finali del mezzo e così via, fino alla locomotiva. Questo background è l’elemento in comune che lega le tre storie raccolte nel volume Cosmo e la trasposizione cinematografica, per il resto quasi completamente diversa. I tre testi sono disegnati dallo stesso autore, Jean-Marc Rochette, artista a tutto tondo noto sia come disegnatore che illustratore e premiato nel 1985 ad Angoulême proprio per Transperceneige, e sceneggiati da Jacques Lob (il primo) e Benjamin Legrand (gli altri due). Il giudizio sui disegni non può che essere positivo: se nel primo si avverte una fantascienza tipicamente “retrò”, con spazi angusti, tecnologie assai diverse dall’evoluzione di quelle attuali, una certa meccanicità e semplicità di alcuni elementi – come nel caso degli scompartimenti, praticamente uguali a quelli di un qualsiasi treno a lunga percorrenza, i due successivi episodi mostrano un notevole cambio stilisco. Non mi riferisco solo alle differenze tra lo Snowpiercer ed il suo “gemello”, il Wintercrack – decisamente più tecnologico e moderno nella descrizione degli spazi e delle aree abitative – ma anche in un tratto che da fumetto d’edicola diviene più morbido, più sfuggente, come lascia intendere la prepotente predominanza di tonalità di grigio rispetto al contrasto bianco/nero della parte precedente.
I tre racconti sono invece assai diversi tra loro: la più interessante è sicuramente quella sceneggiata da Lob. Se però nel film è la questione della lotta di classe ed in particolare della capacità di determinarsi della massa ad ottenere le luci della ribalta, nel testo fumettistico si dà maggior peso alla curiosità ed alla caparbietà del singolo che, sfidando le convenzioni e le leggi, riesce ad attraversare il treno in una sorta di “viaggio”. Non manca completamente una certa critica della società civile e della sua organizzazione, ma questa sembra più essere un risultato fisiologico, un’inevitabile corollario dell’inquieta fantascienza degli anni ’80: proprio per questo, ed anche grazie all’aspetto vetusto ma familiare dello Snowpiercer, si ha la sensazione di un futuro disperato, sporco e… possibile, vicino a noi.
L’epilogo della vicenda è la degna conclusione di un racconto breve, ma ricco di spunti d’interesse – e non a caso sarà l’unico elemento ripreso da Legrand. I due episodi sceneggiati da Legrand mostrano un cambiamento notevole, proponendo una storia più avventurosa ed in cui assume maggior importanza la questione del potere: il risultato di questo cambiamento è forse meno vivido nelle immagini e negli atti, ma ugualmente interessante nelle ipotesi che propone. Sfortunatamente bisogna segnalare una minore banalizzazione di alcuni elementi e l’assenza di un approfondimento di alcuni di essi, in particolare la “fuga della realtà” legata all’onirico ed al gioco (d’azzardo). Un peccato se si considera che, magari lasciando perdere alcune trame secondarie, come quelli riguardanti l’amore tra Puig Vallès (il protagonista di entrambi gli episodi) e Val (creatrice dei sogni e figlia di uno dei capi del treno, Kennel) o i vari gruppi di pazzi religiosi, sarebbe stato possibile trarre il massimo dalla scelta di mostrare un po’ più del nostro mondo ormai in rovina, un tema che incuriosisce i lettori e contribuisce ad apprezzare la figura di Puig.
Tirando le fila, le edizioni Cosmo meritano un encomio per aver saputo portare un fumetto francofono così particolare e per certi versi “fuori tempo massimo” nel mercato italiano, applicando pienamente il “carpe diem” di Orazio. I tre racconti sono proposti in una forma interessante ed adatta ad una parte del mercato italiano: per gli altri, magari alla ricerca di contenuti editoriali più ricchi, dovrà accontentarsi della breve intervista posta alla fine del volume e dell’eccezionale prezzo di copertina. Chiedere di più sarebbe davvero troppo.
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