Hjernevask (Brainwash) è un documentario norvegese originariamente rilasciato nel 2010. Trattandosi di un prodotto realizzato per la tv, non ha ottenuto alcuna distribuzione internazionale, ma nel 2012 il produttore ha scelto di diffondere  gratuitamente sul web una versione sottotitolata in inglese.

Ciononostante, l’opera rimane ancora pressoché sconosciuta nel resto del globo. E se è vero che analizza fenomeni che riguardano innanzitutto il paese scandinavo, il dibattito che propone è quantomai d’attualità per l’occidente intero.

Il tema centrale è infatti quello della Nature vs. Nurture, traducibile da noi come Natura contro Cultura, sebbene Nurture in inglese abbia diversi significati. Detto in altre parole, cosa influenza maggiormente i nostri comportamenti?  Le dinamiche sociali o le caratteristiche biologiche innate?

Come immagino buona parte di voi sappia, la questione in realtà ha una lunga storia all’interno del pensiero occidentale, soprattutto dal rinascimento in poi.  Tuttavia è solamente negli ultimi duecento anni, con l’arrivo della sociologia e della scienza moderna, che hanno iniziato a formarsi le divisioni attuali.

Quest’ultime sono dovute in parte a certe teorie pseudo-scientifiche nate nell’ottocento, le quali hanno contributo fino a pochi decenni fa alla discriminazione di alcuni gruppi sociali attribuendogli ridotte capacità naturali. Essendo il pensiero umanistico contemporaneo incentrato sul rigetto di tali lati oscuri della modernità, una certa diffidenza appare quindi fisiologica.

Ma la scienza moderna non è più quella di due secoli fa: i giganteschi passi in avanti tecnologici della nostra era hanno reso infatti possibile la scoperta o la comprensione di fenomeni straordinariamente complessi. Ciò non sembra però aver particolarmente influenzato i  sociologi, di frequente anche a causa di una formazione unicamente culturale che non introduce adeguatamente ai metodi sperimentali.

Anche a chi ha ricevuto un’educazione diversa, comunque, potrebbe venire il dubbio che alcune conoscenze sulla natura umana potrebbero essere ancora utilizzati per giudicare a priori certi gruppi sociali. Con l’avvento del “Big Data”,  già siamo costantemente analizzati dal punto di vista quantitativo,  non sarebbe meglio evitare di approfondire argomenti pericolosi per il bene comune? O si tratta unicamente di una lotta di potere tra accademici ?

In tal senso è bene però ricordare che gli interventi sociali dei moderni paesi occidentali si basano in larga parte su una visione culturale dell’umanità, e pertanto ogni decisione in questo campo, ben lungi dall’essere uno sterile confronto ideologico, riguarda tutti.

La Norvegia è poi uno degli stati più avanzati da questo punto di vista, rientrando solitamente nei primi posti di molte graduatorie che rilevano l’eguaglianza sociale. Eppure nonostante tutto sembrano ancora esserci sensibili divari per quanto concerne il sesso, le etnie, l’educazione.

Brainwash tenta appunto di fare luce su queste anomalie, confrontando il pensiero culturale che tanta influenza ha nel paese scandinavo con gli approcci maggiormente nativisti di psicologi e scienziati anglosassoni.

Il primo capitolo, il quale si interroga sul perchè certi lavori rimangano appannaggio quasi esclusivo di uno dei due generi, è esemplare in tal senso: nonostante il regista citi i risultati empirici di esperimenti o di sondaggi interculturali, che sembrano rilevare differenze biologiche tra uomo e donna, gli esperti sociali norvegesi intervistati continuano a pensare che si tratti di ruoli imposti culturalmente.

The parental effect è incentrato invece su un altro apparente fallimento delle politiche sociali del paese scandinavo, vale a dire la persistente ereditarietà dei risultati scolastici, decisamente paradossale in uno stato che garantisce anche ai meno abbienti un’educazione di primo livello. Pure in questo caso i geni risultano avere un’importanza fondamentale, determinando alla nascita il nostro quoziente intellettivo.

Race costituisce  la parte maggiormente controversa del documentario, e anche la più debole, fornendo solamente un esempio pratico (la presenza di un raro gene nei Giamaicani) e tante ipotesi, mentre Nature versus Norture, l’ultimo capitolo, è probabilmente viceversa il più interessante: non solo accenna all’isolamento politico e accademico in cui può incorrere nella società norvegese un ricercatore che avesse tendenze  nativistiche, ma espone anche il caso di Victor, ermafrodita cresciuto però come femmina.

Se fosse vero che il sesso è principalmente una costruzione sociale, Victor avrebbe dovuto teoricamente adattarsi perfettamente al genere che gli era stato imposto. E invece fin da bambino egli mostrò una personalità dai tratti chiaramente maschili, trovandosi profondamente a disagio con la sua identità femminile, tanto che da adulto scelse di diventare un uomo a tutti gli effetti.

La natura quindi sembra condizionarci molto di più di quello che normalmente si pensa. Questo però non vuol dire che dobbiamo arrenderci di fronte ad essa, ma utilizzarne le conoscenze per plasmare le nostre caratteristiche in modo da formare una società migliore possibile. Ma questo forse non potrà mai accadere se non accettiamo prima di tutto che esistono limiti anche in tal senso.



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Alberto Li Vigni

Appassionato di videogiochi da oltre 20 anni, ha scritto nel settore per alternative-reality e multiplayer. E' attualmente uno degli editors di unseen64, un sito dedicato alla conservazione di beta e di titoli mai rilasciati.

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1 Comment

  1. Interessante vedere come molta della gente intervistata escludi totalmente le ipotesi contrarie a ciò che crede e devii il discorso ad altro, senza nemmeno avere delle prove o almeno indizi significanti.

    Per adesso ho visto fino al terzo video, almeno gli autori non sembrano essere di parte.

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