Nymph()maniac, il nuovo film (diviso in due parti) di Lars Von Trier, è la storia di una ninfomane alla soglia dei cinquant’anni, Joe; quando la incontriamo è stesa in mezzo ad un vicolo buio, sanguinante, reduce da un pestaggio violento. Seligman, un sessantenne reclusivo, la cui vita è unicamente dedicata ai libri, la porta a casa sua per aiutarla.
Joe racconta la sua vita al suo improvvisato angelo custode, premettendo che sarà una storia dura, morale, e molto forte. Joe racconta della sua ossessione sul sesso, cominciata in giovanissima età, e delle sue prime esperienze da adolescente. Ogni episodio (otto, in tutto) è alternato da discussioni di carattere filosofico tra Joe e Seligman. Mentre la nostra protagonista vive la sua vita in maniera quasi animale, ma giudica sé stessa con grande severità, Seligman, che vive praticamente in clausura, riesce a giustificare tutte le azioni di Joe con freddezza intellettuale.
Joe cerca di soddisfare la sua fame andando a letto con decine di uomini diversi, ognuno capace di soddisfare diversi aspetti delle sue fantasie; cerca di risolvere il suo difficile rapporto con sua madre, e con un padre depresso quanto affettuoso; distrugge famiglie rivelando la fragilità di matrimoni incentrati sulle menzogne. Cerca di andare in terapia, ma la sua necessità di esplorare le sua pulsioni, di essere sincera con sé stessa, sembra sempre prevalere. Joe è preda e vittima, senza soluzione di continuità. A volte di sé stessa; altre volte di altri che vogliono sfruttare la sua condizione per esplorare i loro desideri repressi.
La pellicola ha fatto parlare di sé prima di tutto per la scelta di Von Trier di girare le scene di sesso mostrando i genitali dei protagonisti, come aveva già fatto ne Gli idioti, ma in questo caso coinvolgendo attori celebri. L’annuncio ha immediatamente creato un’aura di mistero attorno alla pellicola, anche dopo la rivelazione che le scene di sesso sono state girate sovrapponendo digitalmente le parti intime di attori porno con i volti degli attori protagonisti del film. L’effetto, almeno nella versione censurata del film, è praticamente invisibile, e di sicuro alimenterà leggende sul cosa sia successo veramente sul set. Ma nella versione che sta girando nei cinema, le scene esplicite sono poche, e non particolarmente scioccanti. Contribuiscono a creare un certo senso di crudezza, ma non sono mai sensuali. In generale, questo non è di certo un film erotico, e a parte alcuni momenti nella prima parte, sembra vedere il sesso sotto una lente molto cupa.
Questo potrebbe cambiare nella versione completa; la versione recensita è quella che sta circolando da Natale in diversi paesi Europei, divisa in due parti, entrambe introdotte da l’annuncio che quella che è arrivata nei cinema è un’adattamento più corto, e con censure, dell’originale di Von Trier; e per quanto l’autore abbia dato la sua approvazione alla creazione di questa versione, non è stato coinvolto nella sua redazione. La versione integrale è più lunga di quella cinematografica di quasi un’ora e mezza. E se nella prima parte non sembra che i momenti mancanti siano molti (impressione che pare confermata dalle reazioni alla proiezione della versione completa alla Berlinale), nella seconda è più facile vedere “buchi”, in particolare nella parte finale, che sembra rivelarsi con troppa fretta, sacrificando lo sviluppo di alcuni personaggi importanti.
Detto questo, la versione cinematografica di Nymph()maniac ha momenti molto potenti, e interpretazioni di alto livello. Charlotte Gainsbourg è al solito misteriosa e carismatica; Stellan Skarsgaard interpreta con sicurezza un personaggio allo stesso tempo ingenuo ed enormemente erudito. Alcuni attori appaiono in sequenze più brevi, come Uma Thurman e Jamie Bell, e lasciano il segno. Shia LeBeuf fa la sua parte senza danneggiare il film, ma non lascia il segno. E Stacy Martin, che interpreta Joe da giovane, è forse la parte più forte del film: nonostante sia poco più che un’esordiente, la sua interpretazione buca lo schermo grazie ad una sensibilità ed una bellezza fuori dal comune. L’ottimo cast dà vita ad uno dei film più “leggeri” di Von Trier da qualche tempo, secondo certi aspetti. Come spesso nel suo caso, ha dei momenti di genio: altri mostruosamente autoindulgenti; ma difficilmente annoia.
Come nella tradizione di Von Trier, e forse anche più che in altre sua opere, i personaggi non sembrano persone vere. Joe, al di là della sua ossessione per il sesso, non sembra avere una vita interiore. E lo stesso si può dire di Seligman: al di là della sua ossessione per la conoscenza derivata dai libri, dal passato, non dimostra altre caratteristiche. Come molti altri film di Von Trier, si capisce presto che questa storia ha ben poco di “naturalistico”, ma è prima di tutto un racconto simbolico: è più che mai, questo simbolizza la vita interiore del suo autore.
Qualche anno fa Von Trier ha diretto un interessante documentario dal titolo Le Cinque Variazioni, dove sfida uno dei suoi professori della scuola di cinema danese, Jørgen Leth, a reinterpretare il suo corto più celebre (The Perfect Human) in cinque diverse versioni, ognuna caratterizzata da un diverso “ostacolo”, in modo da mettere il suo mentore di fronte ai suoi limiti: secondo Von Trier, Leth è un cineasta impaurito dalle emozioni, che si nasconde dietro alle sue capacità intellettuali per non affrontare i suoi sentimenti. Alla fine di quella pellicola lo stesso Trier si rende conto di aver fatto il film in gran parte perché anche lui combatte con lo stesso problema: il cinema di Trier è in constante lotta tra cervello e cuore, una lotta intensa, in cui lo spettatore è spesso utilizzato come cavia. È ironico che dopo aver fatto uscire Melancholia, il suo film più diretto, umano, e da molti punti di vista più “onesto”, Von Trier abbia pubblicamente rinnegato la pellicola, scusandosi per aver ceduto alla tentazione di realizzare un melodramma. Il suo Seligman interiore ha preso di nuovo il sopravvento.
Nymph()mania, più che un film sul sesso, è la rappresentazione cinematografica delle tensioni creative del suo autore: Joe è il suo desiderio di espressione pura, senza filtri, “animale”; Seligman è la sua parte razionale, erudita, in costante dialogo con le opere che lo hanno preceduto, con i critici e la Cultura con la c maiuscola, quella di cui sembra sempre voler far parte nonostante ne riconosca ipocrisie e limiti. È nei momenti in cui la metafora diventa esplicita, in particolare in una devastante sequenza incentrata su un pedofilo represso, che Von Trier riesce a raggiungere livelli di lucidità davvero impressionanti, che fanno capire perché nonostante le sue intemperanze ed idiosincrasie sia sempre un autore impossibile da ignorare. La speranza è che prima o poi, nella vita reale, Joe vinca, perché Seligman è ancora molto presente, e sembra intrappolare un autore che potrebbe dar vita a enormi capolavori.
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