Che la Storia abbia in gloria Margaret Thatcher! No, non sono impazzito, e non sto certo tessendo le lodi dell’odioso conservatorismo liberista della Lady di ferro, sia chiaro. Eppure negli ultimi giorni mi sono ritrovato più volte a riflettere sul come e sul perché dalle profonde ferite sociali inferte dalla Thatcher alla Gran Bretagna a cavallo a tra i ’70 e gli ’80 siano emerse diverse figure fondamentali per la futura rivoluzione tematica e concettuale del fumetto – supereroistico, ma non solo – tra cui indubbiamente spiccano Alan Moore e Grant Morrison.

Due autori con numerosi punti di contatto, ma al contempo lontani anni luce sotto diversi punti di vista, uno probabilmente noto anche al grande pubblico contro il suo volere, l’altro venerato nella nicchia dei cultori del fumetto USA e poco altrove. Lo spartiacque nelle carriere di entrambi però si può fissare nei primi anni ’80, quando sulle pagine della rivista britannica Warrior un Alan Moore ancora alle prime armi recupera il personaggio di Marvelman, supereroe simile a Superman che aveva goduto di un buon successo editoriale tra i ’50 e i ’60, e lo stravolge. Da ingenuo archetipo del supereroe post-bellico, Marvelman diventa nelle sceneggiature di Moore una figura complessa e sfaccettata, l’incipit di un’opera di decostruzione del supereroe che accompagnerà buona parte della carriera di Moore.

Gli echi del seme oscuro piantato sulle pagine di Marvelman troveranno terreno fertile oltreoceano solo parecchi anni più tardi. Nell’umida Albione invece l’influsso rivoluzionario di Marvelman viene avvertito da subito, in particolare da un giovane Grant Morrison, fumettista allora agli inizi della carriera. Tra le quattro serie che Morrison stava ideando per una nuova rivista antologica chiamata Fantastic Adventure una in particolare si basava su presupposti abbastanza vicini a quelli di Marvelman, da cui lo scozzese aveva intenzione di mutuare soprattutto l’approccio realistico. Fantastic Adventure in realtà non vide mai la luce, rimanendo solamente un’idea nella mente del suo ideatore, quel David Lloyd che all’epoca stava disegnando V per Vendetta sui testi di Moore. Un incrocio di destini, una strana storia direbbe qualcuno.

Grant Morrison

Mentre il progetto di Fantastic Adventure naufraga, Zenith si evolve e trova una nuova casa sulle pagine della mitologica 2000 AD al fianco di icone importanti del fumetto britannico come Judge Dredd. Lo Zenith arrivato su carta nel 1987, cinque anni dopo il suo concepimento, è però ormai piuttosto distante dall’idea attraverso la quale era stato originariamente partorito. Durante il periodo di incubazione Morrison ha avuto il tempo di rielaborare il Marvelman di Moore, concependone in un certo certo senso un superamento in estremo anticipo sui tempi. Se infatti Marvelman e soprattutto il successivo Watchmen avrebbero presto dato vita a un decennio di superuomini oscuri e tetri, duri di poche parole immersi in vicende tragiche, lo Zenith di Morrison salta questa fase e ci presenta un eroe perfettamente calato nello spirito del tempo.

Quando Zenith arriva finalmente nelle edicole britanniche gli anni ’80 sono nel pieno del loro vacuo splendore e il suo omonimo protagonista ne è il giusto riflesso. Zenith è l’ultimo superumano in attività sul pianeta, ma a differenza dei suoi predecessori i suoi poteri non sono al servizio dell’umanità, bensì uno puro strumento di marketing al soldo dell’industria musicale. Nella Londra di Zenith l’epoca del supereroismo si è ormai consumata, prima con il sacrificio di Maximan nel bombardamento atomico che ha raso al suolo Berlino, poi con la diserzione dei rimanenti membri del supergruppo Cloud 9 durante la guerra in Vietnam.

La rincorsa di Zenith verso il primo posto in classifica viene però interrotta dall’irruzione nella sua di vita dell’ex membro di Cloud 9, Ruby Fox. Nonostante la donna abbia più volte dichiarato in pubblico di aver perso i poteri, la normale apparenza dietro cui aveva scelto di rifugiarsi è ora costretta a crollare a causa della ricomparsa in scena di un nuovo Masterman, riesumato da una setta massonica nazista in contatto con esseri quadridimensionali. Quello di Zenith però è uno slancio supereroistico lontano da quello dei suoi predecessori, intriso si patriottico altruismo.

Più che una macchina da guerra Zenith è una macchina da soldi, con il suo ciuffo curatissimo e le spalline sotto la giacca sfoggia un look pensato per fare breccia nel cuore della ragazzine ricalcando gli stile dei rocker dell’epoca: preoccupazioni tattiche sono lontane dai suoi pensieri. D’altra parte con la scomparsa di tutti i superumani dai tempi del post-Vietnam il mondo non ha quasi più memoria degli scontri tra uomini in realtà più vicini agli dei che illuminavano un tempo i cieli dell’Europa in guerra.

L’abilità di volare per Zenith è un orpello, un mezzo per realizzare videoclip migliori di quelli che passano di continuo sulle tv musicali, oppure un talento da sfoggiare per convincere una modella a finire tra le sue lenzuola. Superficiale e vanesio come il decennio che gli ha dato i natali, un’epoca che ha elevato l’apparenza a status symbol, non si può fare a meno di guardare a Zenith con lo sguardo indulgente che si riserverebbe a una giovane calciatore tirato per il colletto in un gioco più grande di lui. E proprio come un calciatore Zenith si muove seguendo le direzioni imposte da un manager tuttofare il cui fiuto punta sempre in direzione del guadagno maggiore, anche qualora ciò significhi lanciare Zenith in uno scontro impari contro un rigurgito del superuomo nazista manipolato da un’entità aliena partorita da incubi lovecraftiani che pianifica da diverse ere geologiche l’invasione della nostra dimensione.

Ma se da un lato la concezione utilitaristica della battaglia da parte di Zenith gronda ingenuità, molto meno improvvisato risulta invece l’intervento di Mandala, ex membro di Cloud 9 passato dagli eccessi psichedelici come sgargiante esponente hippie dell’unico supergruppo britannico a cinico e spregiudicato esponente del governo Tory in inderogabile giacca e cravatta. Per Mandala la lotta contro la reminiscenza nazista in salsa aliena col Big Ben sullo sfondo trascende i confini dell’auto-promozione per sfociare apertamente nel terreno della campagna elettorale, pirotecnico confronto politico contro un male assoluto che supera le barriere tra schieramenti; un rischio alto, ma calcolato che spiana la strada a prospettive di carriera un tempo inimmaginabili.

Zenith

Rispetto a lavori più ermetici come Flex Mentallo o The Invisibles e ai suoi più recenti incastri meta-fumettistici allestiti in Final Crisis e Multiversity, la scrittura del Morrison degli esordi è molto più asciutta e limpida. Metafore e riferimenti alla contemporaneità dell’opera risultano chiari a chiunque abbia un minimo di confidenza con il genere e con il periodo in cui è ambientata la storia, senza particolari ostacoli alla lettura. Forse proprio questo è il limite più evidente di Zenith, la critica al potere mossa da Morrison non si muove tra le righe, ma esplode senza filtri tra le vignette fin dalle primissime pagine in cui Maximan viene annientato dal fungo nucleare, estremo banco di prova su cui il governo britannico decide di testarne i limiti ponendo al contempo fine al conflitto. La raffinata eleganza intrisa di misticismo (e complottismo) con cui Morrison saprà analizzare il reale nella sua produzione successiva deve ancora manifestarsi in tutta la sua folgorante potenza, ma vederne muovere i primi passi sulle pagine di Zenith è ugualmente interessante.

Nel complesso la raccolta in volume soffre forse di un ritmo un po’ troppo spezzettato, figlio dell’originale pubblicazione in brevi storie di poche pagine. L’ampio e lussuoso formato dell’edizione Panini,che ricalca quello della recente ristampa inglese del nuovo editore di 2000 AD, rende però giustizia alle matite di Steve Yeowell, spesso ingiustamente considerato solo un onesto mestierante, che tuttavia per Zenith ha realizzato tavole di grande impatto scenico e sempre ricche di dettagli, per altro in un periodo in cui dall’altra parte dell’oceano la cura grafica del fumetto seriale si assestava su standard decisamente più bassi.

A lungo cristallizzato in un limbo editoriale a causa di diatribe editoriali sui diritti – l’eco di Marvelman ritorna ancora una volta in questa storia… – anche per questo motivo Zenith ha finito per assumere l’aura di fumetto cult. Il connubio tra la sua difficile reperibilità e la curiosità intorno all’opera che ha attirato su Morrison l’attenzione delle major statunitensi ha caricato l’arrivo dei quattro volumi che comporranno la ristampa completa della serie forse di un’attesa eccessiva, tuttavia alla prova della lettura Zenith si rivela un’opera che al netto di qualche ingenuità riesce ancora a parlare perfettamente al lettore contemporaneo, risultando inoltre appetibile anche a chi nel tempo ha mal digerito l’evoluzione dello scrittore scozzese verso uno stile più criptico.

 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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