Cosa rende una serie una GRANDE serie?
Una trama originale e intrigante? Personaggi memorabili e ricchi di sfumature? Dialoghi non banali e un comparto tecnico di ottimo livello? Magari anche una partitura musicale emozionante e sempre in grado di sottolineare con poca invasività i momenti salienti della storia? Bene, perchè tutti queste caratteristiche rappresentano i punti di forza di Parasyte – The Maxim, serie che avevamo già incoronato come la migliore del 2014, ma che, dopo l’eccezionale finale trasmesso pochi giorni fa, possiamo far rientrare a pieno diritto nel novero delle migliori serie animate nipponiche di ogni tempo.

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La storia di Parasyte inizia molti anni fa, precisamente nel 1988, quando Hitoshi Iwaaki inizia la serializzazione del manga Kiseiju, di cui cura sia la sceneggiatura che la parte grafica. Pubblicato da Kōdansha, ottiene da subito un gran successo e termina dopo una decina di volumi nel febbraio del 1995. Per vent’anni il soggetto rimane quiescente e apparentemente dimenticato da tutti, finchè, quasi in contemporanea, Mad House non decide di farne una versione animata in ventiquattro episodi e la Toho un live action diviso in due film (uno dei quali sarà il piatto forte del prossimo Far East Festival).

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Parasyte racconta l’invasione della Terra da parte di piccoli parassiti, che planano dolcemente sulle città come fossero fiocchi di neve e si impadroniscono del cervello delle persone, sfruttando nasi e orecchie di queste ultime come porta d’entrata per arrivare fino al loro cervello. Una delle potenziali vittime, il giovane timido e imbranato Shin’ichi Izumi, che vive a Tokyo con i suoi genitori, si salva grazie alle cuffie dell’i-Pod che impediscono al parassita di entrare nel suo corpo: svegliatosi di soprassalto, Shin’ichi scopre l’ospite indesiderato, che deve quindi accontentarsi di “occupare” il suo braccio destro.

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Inizia così una strana coabitazione forzata tra i due: Migi (destro in giapponese) resta in vita ma non può più raggiungere il cervello del ragazzo, che quindi mantiene il pieno controllo sul suo intelletto, mentre Shin’ichi si ritrova ad avere un braccio “senziente” che, oltre a renderlo più forte e veloce, assume sembianze antropomorfe. I due, visti con sospetto dagli altri esseri umani, che notano i cambiamenti nel carattere di Shin’ichi (che diventa più serio e risoluto) e braccati dagli altri parassiti, in quanto “ibrido” da eliminare, stringono giorno dopo giorno un legame sempre più forte che li porterà a diventare effettivamente dipendenti l’uno dall’altro.

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Morte, redenzione, famiglia, amicizia, filosofia, azione: individuare una parola chiave che sintetizzi Parasyte è impossibile, tanti e tali sono i temi affrontati nel corso dell’opera. L’elemento discriminante, che eleva la serie molto al di sopra della media, è la precisione certosina con la quale viene raccontato il rapporto simbiotico tra ospite e parassita e la rispettiva dis/umanizzazione. L’evoluzione caratteriale di Shin’ichi è lenta ma inesorabile: il ragazzo inizia a porsi domande non solo sulla sua condizione personale ma sul ruolo stesso dell’essere umano nell’universo.

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A fargli da sapido contraltare è Migi, forse il vero protagonista della storia, a suo modo ironico e sarcastico, dotato di un’aliena atarassia che viene però progressivamente scalfita dalla curiosità di capire come funzioni e ragioni il cervello umano. Non minore attenzione viene riservata ai tanti personaggi che fanno da contorno alla storia, che non appartiene ad alcun genere predefinito: si passa senza soluzione di continuità dall’action al romance, dal thriller allo slasher, dalla commedia al dramma.

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Graziato dall’assoluta assenza di un qualsivoglia fan service, merce rara di questi tempi, piuttosto aderente all’opera originale e caratterizzato da un finale assolutamente perfetto, che chiude ogni sottotrama e risponde in modo chiaro, netto e inequivocabile (altra rarità) alle domande sorte puntata dopo puntata, Parasyte è un gemma brillante che induce a riflessioni e pone dubbi, alterna spettacolo a introspezione, emoziona e commuove.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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1 Comment

  1. Concordo in toto con l’analisi di Andrea: migliore serie dell’anno senza se e senza ma! Tra le altre cose Parasyte è una delle poche serie giapponesi a mia memoria in cui viene raccontato il sesso tra adolescenti (un breve passaggio in una singola puntata) senza pruderie ma anzi come un fatto normalissimo che è logica conseguenza dell’affetto reciproco.

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