La prima notizia è che Pixar ha fatto un film per bambini. La seconda è che le è riuscito bene, nonostante una gestazione molto difficile, dimostrando di avere il passo per produrre e realizzare due film all’anno, dato non da poco in un mercato florido come quello dell’animazione. La terza è che le nuove generazioni potrebbero avere finalmente il loro Bambi/Re Leone, visto che è da queste opere che Arlo trae ispirazione. Traumi compresi.
Già, perchè il Viaggio di Arlo, piccolo apatosauro che ha paura pure della sua ombra, inizia proprio con la perdita del padre, travolto dalle acque di un fiume in piena, lo stesso che trasporta Arlo lontano dal resto della sua famiglia. Il piccolo dinosauro può però contare sul più improbabile dei compagni, Spot, un cucciolo d’uomo (espressione scelta non a caso, visto che tra i due la vera “bestia” è lui) che lo aiuterà a ritrovare i suoi cari.
Il Viaggio di Arlo (The Good Dinosaur in originale ed i titoli sono entrambi validi) gioca su un piano completamente diverso rispetto a Inside Out: oltre ai classici già citati ci sono contaminazioni e spunti presi da Dragon Trainer (l’accettazione del diverso) e Lilo & Stich (chiunque può essere la tua famiglia, se c’è amore) più un’altra mezza dozzina di produzioni passate, segno che stavolta l’originalità va cercata col lanternino. Ma non è un problema perchè, a suo modo, Arlo sa sorprendere e farsi apprezzare.
Tecnicamente Arlo è il miglior film mai uscito dagli studi Pixar. Il mondo preistorico (il celebre meteorite non ha colpito la Terra, come si evince dallo spassoso prologo), è realizzato con una dovizia di particolari incredibile e molti dei vuoti lasciati dall’assenza di dialoghi sono colmati con sequenze panoramiche che riescono a sorprendere anche l’occhio oramai abituato ad una grafica fotorealistica.
L’impianto del film è, prevedibilmente, quello del viaggio di formazione/crescita/consapevolezza di sè: il soggetto di Enrico Casarosa, Bob Peterson e la sceneggiatura di Meg Lefauve procedono nel solco di una tradizione consolidata e c’è pochissimo spazio per il subliminale ed il non sense, con due efficaci eccezioni. La prima è l’idea, geniale, che i dinosauri abbiano una sorta di “professionalità” legata alla loro natura: la famiglia di Arlo, erbivora, è de facto composta da contadini, mentre i T-Rex, carnivori, allevano bestiame (la cui fine è ignota ma prevedibile…).
L’unico momento davvero originale e adult compliant, almeno nell’accezione pixariana del termine, è una microsequenza che vede come protagonista uno Styracosauro che “ospita” altri animali, che ha un paio di battute killer che da sole valgono il prezzo del biglietto. Per il resto c’è solo, si fa per dire, tanta azione e buoni sentimenti. Walt avrebbe apprezzato.
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