Che sia accettabile l’operazione di remake di grandi film messa in atto ormai da tempo dalle major hollywoodiane, è cosa ormai scontata; del resto l’ottimo Point Break di Kathryn Bigelow ormai risale al 1991 e più di una generazione non ha avuto il piacere di condividerne il fascino… si passano i limiti, però, se questa nuova pellicola diventa una scusa bella e buona per mostrarci un catalogo di azioni mozzafiato tratte da sport estremi, tenute insieme giusto dal pretesto di filosofeggiare sull’esistenza e sul rapporto tra individuo e pianeta.
Le vicissitudini di Johnny Utah (Luke Bracey), appassionato di sport estremi, che rientra nel giro dopo la tragedia capitata al suo amico e che non trova di meglio da fare che improvvisarsi agente del FBI a caccia di una banda di criminali internazionali, potrebbe anche stare in piedi, se non fosse infarcita di luoghi comuni e trovate di sceneggiatura al limite del ridicolo (valga per tutte quella della banca del paesino di Tofana, aperta di sabato e con somme così ingenti da rapinarla a suon di scontri a fuoco!).
A renderle proprio insopportabili ci si mettono un Edgar Ramirez (Bodhi), antagonista davvero poco empatico, e un contorno di attori poco convinti dei rispettivi ruoli (colleghi e capi delFBI che sembrano il papà e lo zio bonaccione del protagonista, compagni di avventura che muoiono come mosche pronunciando battute stoiche, una bella ragazza messa lì proprio gratuitamente e in una parte scontata ed ininfluente…).
Insomma, il film non ha più niente di quel sapore cool né quel fascino muscolare che un duetto d’attori (Patrick Swayze in stato di grazia e Keanu Reeves in brillante carriera) e la vigorosa regia di una delle donne più talentuose di Hollywood avevano saputo trasformare in un cult-movie -una sorta di Mercoledì da leoni di fine millennio- soprattutto grazie ad un uso sapiente e mai banale dell’azione e dello sprezzo del pericolo.
Qui il regista Ericson Core, che non a caso è anche il direttore della fotografia, ci confeziona invece una serie di sequenze mozzafiato assolutamente gratuite, che vanno dal wingsuit al surf estremo, dal cross no limits al free-climbing quasi anti-gravitazionale, il tutto condito da improbabili suggestioni eco-zen. La pretesa è quella di mitizzare i protagonisti, spacciandoci Bodhi per una sorta di Robin Hood dei nostri tempi e Utah per l’eroe ossessionato dalle sue incertezze e dai suoi sensi di colpa.
Il risultato, come avete capito, è davvero modesto. Nonostante l’efficacia scenica delle imprese estreme (soprattutto quelle acquatiche), il film non decolla mai e non coinvolge più di tanto (ditemi quanti di voi sono ansiosi di fare surf estremo e letale con le onde da venticinque metri a Maui…) ed è pieno di situazioni già viste e meglio raccontate (e recitate). Non basta la brillante (!) trovata di invertire il colore dei capelli ai due protagonisti rispetto al film originale e di decorarne i fisici scultorei con decine di tattoo… Consigliato, dunque, solo ai patiti dell’action no limits e degli Heineken Party, tutti gli altri vadano a rivedersi il Point Break della Bigelow e a surfare sulle coste del Pacifico con Patrick Swayze, vero simbolo (spericolato) di quella libertà di vivere che gli Anni Duemila avrebbero finito con il negare alle nostre giovani generazioni.
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