Ma in una guerra moderna non c’è niente di dolce né di meritevole, nella tua morte. Morirai come un cane e senza ragione.

Ernest Hemingway, Addio alle armi

Giorno 1

La guerra fa schifo, bella scoperta. Il concetto ci viene ci viene inculcato a forza fin dai primi giorni di scuola. Non che serva in qualche modo a prepararsi a quel che succede poi davvero quando il conflitto piomba su vite, giorni e palazzi. Ma aiuta ad illudersi, a convincersi che la semplicità di un ossimoro possa essere una conoscenza riconosciuta e condivisa, una certezza che attraversa l’umanità in lungo e in largo fino a concretizzarsi una sicura contro il dilagare di un’idea letale. Funziona, almeno per po’; grosso modo finché si realizza che la condanna della guerra è un’idea volubile come tutte le altre, finchè di colpo il tuo vicino diventa uno straniero, e tu per lui un nemico, finché i cieli non si ingrigiscono di polvere, finché spari ed esplosioni non sfumano in un rumore di sottofondo costante e indefinito, finché la realtà perde colore e si riduce solo a un tratto di matita.
Sbaglio a fare questi discorsi oggi. Oggi – sembra impossibile – la guerra fa un po’ meno schifo.

This War of Mine rifugio

Giorno 2

Di Marko e Bruno non so quasi nulla e quelle poche informazioni che ci siamo scambiati durante la ronda potrebbero essere tranquillamente delle invenzioni. Bruno era un cuoco prima della guerra, Marko un pompiere. Le storie di quelli come noi a questo punto a risentirle note dopo notte dopo notte finiscono per diventare tutte uguali. I più fortunati hanno una famiglia da qualche parte che hanno dovuto lasciare a da cui sperano di poter tornare alla fine dell’assedio. O forse no, i più fortunati sono quelli rimasti soli, per cui la malattia, le ferite o una coltellata a tradimento mentre si scava nella spazzatura per una latta mezza vuota vorrebbe dire titoli di coda, senza tanti rimpianti. Dai racconti di altri sopravvissuti sappiamo che in città ci sono gruppi come il nostro che includono anche bambini: fporse loro sono quelli messi peggio, e mi riferisco agli adulti che devono far finta che non sia tutto uno schifo per non vederli crollare. In un certo senso però ci assomigliamo tutti, e francamente non mi interessa nemmeno molto sapere altro, ma di notte quando dobbiamo rimanere svegli per la ronda, nel caso sciacalli o peggio provino ad irrompere nel rifugio per rubarci quel poco che abbiamo, scambiare due parole aiuta a combattere il sonno. In realtà la sola cosa che so con certezza è che l’altro giorno, quando ho bussato alla loro porta, Pavle, Marko e Bruno mi hanno dimostrato di avere con sé della merce rarissima di questi tempi, la pietà umana, accogliendomi nel loro piccolo gruppo tra queste quattro mura semi crollate.

Giorno 3

Quel che possiamo fare al rifugio è sopravvivere più che vivere, ma ora che siamo in tre a dividerci tra la ricerca notturna e la ronda le cose iniziano a funzionare. Col materiale che siamo riusciti a rimediare nei dintorni abbiamo costruito un letto per riposarci a turno e una radio, fondamentale per avere informazioni su ciò che succede fuori di qui mentre siamo asserragliati. Decidere da cosa iniziare non è stato semplice: non abbiamo nulla e c’è bisogno di tutto. Con le conoscenze raccolte durante i nostri giri all’esterno abbiamo messo insieme una mappa di alcuni luoghi nei dintorni dove rimediare materie prime. Finora la nostra meta abituale è stato il cottage abbandonato. Non ci vive più nessuno e non si rischia di incontrare qualche saccheggiatore, ma tra le macerie dell’edificio siamo sempre riusciti a trovare qualcosa per tirare avanti , un po’ di cibo, del materiale da riutilizzare e persino qualche medicina e pezzi di armi. La quantità di roba utile però sta calando sempre di più e presto dovremo inventarci qualcosa. Probabilmente la mia capacità di sgattaiolare veloce presto ci farà comodo più utile delle spalle larghe su cui poggia il capiente zaino di Bruno.

Giorno 5

Bruno questa mattina è tornato visibilmente scosso. Al cottage non c’era più nulla di utile e ha dovuto introdursi in un’altra abitazione per cercare qualcosa da mangiare. Durante l’irruzione che abbiamo subito l’altra notte è sparito quel poco cibo che avevamo messo da parte e nessuna di noi manda giù nulla da allora. L’ha mosso la fame e se fosse toccato a me uscire probabilmente anche io avrei fatto lo stesso. La casa in cui si è introdotto sembrava disabitata, ma una volta dentro ha sentito dei rumori. Non è sicuro che si trattasse di passi o magari solo di topi. La riflessione è un lusso che non ci possiamo permettere: ha frugato ovunque portando via ciò che poteva, cibo soprattutto, ma anche oggetti personali che possiamo usare per il baratto quando il tizio che ogni tanto viene a proporci scambi busserà alla nostra porta. Nella mia mente cerco di giustificare la azioni di Bruno, se davvero viveva qualcuno lì ci siamo solo messi in pari con i furti che abbiamo subito. Ma la rapidità con cui mi sono trovato a raccontarmi questa scusa mi spaventa: cosa saremo disposti a fare a breve, quando quel poco che c’è nei paraggi sarà finito del tutto?

This War of Mine raid

Giorno 9

Pavle è rientrato. È crudele anche solo pensarlo, ma non ci saremmo stupiti a non vederlo mai tornare. Un paio di giorni fa una donna è venuta a bussare alla nostra porta chiedendoci aiuto per salvare delle persone rimaste sepolte sotto le macerie crollate per un’esplosione, nei pressi dell’ospedale. Probabilmente voleva cerca di segnare il gol per il karma a nostro favore, lui che una volta era calciatore. O forse pensava che crepando così avrebbe dato un senso a qualcosa, potrebbe anche essere. Di notte se vede in giro gente sempre più disperata, se questo era il suo obiettivo gli è andata male, stranamente. Nel frattempo io e Bruno non siamo rimasti con le mani in mano. Combinando legno, parti elettriche ed altri materiali accumulati notte dopo notte siamo riusciti a munirci di un fornello per cucinare pasti caldi, in quelle rare occasioni in cui ci sia disponibile sia del cibo sia qualcosa da bruciare, tipo un libro. Ora possiamo contare anche su un piano di lavoro con cui costruire grimaldelli per scassinare gli armadi, piedi di porco, pale e coltelli. Avremmo bisogno di altro materiale per migliorarlo e sistemare le parti di pistola collezionate in questi giorni, ma per il momento un coltello per difenderci di notte è più che sufficiente. Quel che più ci preme ora è curarci. I medicinali scarseggiano e anche le bende sono merce rara, ma abbiamo tutti qualche lieve ferita da medicare. Con l’aiuto di Bruno ho creato un ripiano dove lavorare le erbe raccolte, buono per tenersi occupati e magari rollare anche qualche sigaretta che insieme all’alcol che produciamo con lo zucchero è merce preziosa sul mercato nero. Studiando bene i luoghi da visitare col favore della notte e un briciolo di fortuna si potrebbero raccogliere abbastanza risorse da migliorare i nostri strumenti e rendere la casa più sicura e persino confortevole. Ci starebbe bene una poltrona, per non riposarsi rannicchiati sulle assi del pavimento. Ah: il rifugio, non la casa, lasciarsi cullare dall’illusione non è una grande idea di questi tempi.

Giorno 10

Il rigore dell’inverno è alle porte e la guerra sta peggiorando, se possibile. Avevamo sentito alla radio di un incremento nella criminalità in città, come se non fosse criminale tutto ciò che ciascun sopravvissuto fa, arrivati a questo punto,  ma stanotte ne abbiamo provato le conseguenze sulla nostra pelle. Al di là della razzia – poca roba, quel poco cibo che si rimedia ormai lo mangiamo subito per zittire il borbottio dello stomaco – è Bruno quello a cui è andata peggio. Avevamo deciso di assegnare a Pavle il coltello per uscire di notte, le zone sicure ormai sono prosciugate e dovendo muoversi tra il supermercato, la scuola crollata e l’incrocio dei cecchini, zone battute da militari e altri esploratori, è meglio essere previdenti. O meglio pronti a colpire primi, magari per uccidere, ad esserne capaci. Bruno però era indifeso a casa mentre io dormivo per recuperare dalla notte in bianco e chi è entrato l’ha conciato male. Ora è a letto, ma siamo senza cibo e senza medicine, mentre le erbe con cui curiamo Marko non fanno alcun effetto. Stanotte dovrò correre dei rischi e spostarmi in una zona inesplorata della città per rimediare qualcosa.

Giorno 11

Bruno è morto e io ho distrutto delle vite, per nulla. Prima di uscire stava male, molto. Aveva bisogno di cibo e cure. Non ho trovato altra soluzione che salire a nord, nella zona delle villette. È un’area tranquilla, solo sfiorata dalla devastazione, e qualcuno vive ancora in una sorta di bolla di tranquillità. Non volevo spaventare nessuno, non volevo nemmeno farmi notare. Solo pescare qualcosa dal frigo, ad avere fortuna delle bende o delle pastiglie e correre a casa. Ma il vecchio mi ha visto, impugnavo il coltello e mi ha visto, ed è fuggito terrorizzato. Sentivo piangere lui, una donna e un bimbo mentre mi aggiravo per casa con l’adrenalina a mille e una controllo che non avrei mai pensato di avere. Quel coltello era il mio scettro. Con esasperante lentezza, ora a ripensarci rabbrividisco anche io, ho esplorato tutto il piano inferiore portando via quel che mi serviva. Nonostante tutto non ce l’ho fatta a salire dove la famiglia a cui ho rovinato l’esistenza si era rintanata. Quell’entusiasmo meschino che mi ha accompagnato sulla strada del ritorno mi si è schiantato sul muso come un pugno all’ingresso in casa. Bruno non ce l’ha fatta e da come mi guarda Pavle non sono il solo ad essere terrorizzato dalla linea che ho passato.

This War of Mine loot

Giorno 13

Se sono ancora vivo le devo a Pavle, e non lo scrivo con un briciolo di riconoscenza. Ho buttato giù qualcosa solo perché è riuscito a scuotermi dal mio torpore un paio di volte e anche le bende che noto ora devono essere opera sua. Ieri sera deve essere uscito spingendosi chissà dove. Non mi ha detto nulla di Marko, ora che ci penso. Fosse per me resterei accovacciato per terra e basta. Sento bussare alla porta, ci chiedono bende per aiutare i feriti, ma ormai mancano anche a noi le risorse minime per tirare avanti. Le sbarre alle finestre che Pavle ha allestito col poco legno di scorta ormai possono poco contro gli sciacalli, tanto non è che ci sia molto da rubarci. In uno dei rari momenti di lucidità mi pare di aver capito che Pavle ha intenzione di andare alla chiesa crollata stanotte.

Giorno 14

Pavle non è tornato. La presenza di uomini armati nei pochi luoghi in cui si trova ancora qualcosa era aumentata parecchio e nemmeno in una chiesa ormai c’è nulla di sacro, di sicuro non una vita umana. Non lo scrivo con superiorità, la catena di eventi che ci ha portato qui è iniziata da me, da quando ho messo piede in caso di un vecchio con un coltello in mano. Per quello ormai ho anche finito di commiserarmi, l’obiettivo del mio odio ora è l’istinto di sopravvivenza che mi ha sbattuto fuori da quel morbido stato catatonico quando ho realizzato che il sole non aveva riportato con sé Pavle. Ora sento la fame, le ferite bruciano e in casa non c’è più nessun altro oltre a me.

This War of Mine dead

Giorno 15

Ormai mento a me stesso senza pudore. Mi sono raccontato di voler tornare alla casa del vecchio per spiegare, rimediare al mio gesto, chiedere questa volta e non rubare. In realtà nella condizione di relitto su due gambe in cui mi trovo quello era l’unico luogo in città dove avrei potuto trovare cibo e forse medicine confrontandomi con un essere umano più debole di me. Avrei ucciso, se necessario, questa volta sì, ma non ce n’è stato bisogno. Prima di aprire anche solo un’anta ho girato tutta la casa per assicurarmi di non trovare resistenza. Volevo ucciderli prima di essere sorpreso alle spalle e morire ancora peggio di come ho vissuto, con un ferro arrugginito piantato due dita sotto la pelle da vecchio bavoso e già mezzo crepato. Morire come dico io è l’ultima cosa che mi rimane. Ho trovato il vecchio riverso sul letto, morto. Della donna e del bambino nessuna traccia. Non so se sia stata l’inedia sopraggiunta dopo che avevo razziato le loro scorte, un infarto o l’aggressione di qualcuno che ha approfittato della porta aperta dopo di me. Poco importava, la colpa è mia in ogni caso. Come un automa ho raccolto il poco rimasto a casa, ben sapendo che non mi sarebbe mai servito. Di fronte a me, sul tavolo, c’è una lettera di addio che mia moglie  non leggerà mai. L’ho scritta sulla stessa sedia che ha accolto queste mie confessioni sera dopo sera. Ironicamente, la sedia era l’unico arredo già presente quando sono entrato nel rifugio e ora non mi serve altro per raggiungere la corda che ho già fissato alla sola trave sopravvissuta sul soffitto. La guerra farà schifo, ma non credo di poter riservare per me un giudizio più clemente.

This War of Mine cover

Sviluppato da 11bits Studios, This War of Mine è  disponibile su Steam, iOS, Play Store, e di recente anche su PS4 e Xbox One, distribuito da Koch Media Italia.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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