Iniziamo con le domande.

Siete spiriti contemplativi? Considerate l’art direction fondamentale nella scelta di un videogioco? Nell’elenco dei vostri titoli preferiti di sempre ci sono Elite, Mercenary, Star Control, Damocles o magari il recentissimo Starbound? Il vostro scienziato preferito è Darwin? Vorreste essere sulla plancia di comando dell’Enterprise, assieme a Kirk e Spock? Vi piace imparare lingue sconosciute? Amavate le ore di chimica quando eravate alle superiori? Guardate la luna e non il dito? Se la risposta a queste domande è sì, No Man’s Sky è il gioco che fa per voi e dovreste fiondarvi a comprarlo a velocità warp.

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Se la risposta è no allora dovreste pensarci due o più volte. E magari riflettere su quanto l’hype riesca a distorcere non solo le aspettative degli appassionati, ma anche di coloro che i giochi li realizzano.

La mia prima ora passata con No Man’s Sky sul pianeta nonmiricordocomesichiama, a volerla raccontare in breve, è stata equamente divisa nel cercare risorse per sistemare l’astronave, osservare a bocca semi aperta fondali e superficie del globo (misero, per definizione dello stesso gioco) ed ascoltare i rumori del pianeta. Sono riuscito nell’impresa di morire due volte causa sentinelle, maledire il fottuto inventario, che segna nuove vette quanto a scomodità e finalmente lasciare il mio primo mondo per avventurarmi nello spazio. Infine sono atterrato nei pressi di una stazione spaziale e da lì ho “scoperto” il mio secondo pianeta, molto diverso da quello dove avevo iniziato la mia avventura, dove ho trovato un simpatico mercante che voleva vendermi dell’equipaggiamento. Niente male, insomma. Il problema è che le diciannove ore successive non hanno aggiunto molto all’esperienza e non credo che lo faranno le prossime, posto ci siano.

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Attenzione però: non sto parlando di noia o di attese disattese, ma semplimente di una incidenza particolarmente importante, nella valutazione esperienziale del titolo (che come gioco-gioco tende ad autolimitarsi), della sfera soggettiva. Stavolta molto più che in altre occasioni. Quando viaggiate in macchina, in treno o in aereo o comunque vi spostate da un punto A o un punto B, ritenete che il viaggio faccia parte integrante dell’esperienza che state per vivere o lo considerate una scocciatura che vi fa rimpiangere che non esista il teletrasporto? Dalla risposta a questa domanda potrebbe derivare il giudizio finale sul gioco, perchè No Man’s Sky è un viaggio continuo, appunto, ma come tutti i viaggi ha un sacco di impicci che possono risultare più o meno accettabili.

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In queste ore e ancora per qualche giorno, No Man’s Sky sarà sulla bocca di tutti e da questo punto di vista Hello Games ha centrato in pieno il bersaglio. Il gioco, considerate le dimensioni dello studio è un miracolo, visti i valori produttivi proposti, che posizionano il gioco ad un livello incalcolabilmente più elevato rispetto alle produzioni “indie” tradizionali. Si vedono i soldi spesi, si percepisce il crunchtime per finirlo in tempo, si respira lo stress per i continui rinvii e si capisce anche che per tutti questa era la sfida della vita. Vinta, a ben vedere.

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Quanto alla community ludica che sta iniziando a rumoreggiare perchè il gioco non corrisponde alle “aspettative”, pare chiaro che troviamo di fronte ad un clamoroso caso di misunderstanding, in parte dovuto alla oramai conclamata imbecillità di un congruo numero di esponenti della stessa (davvero, Idiocracy è stato un film dotato di terrificante preveggenza), in parte dovuto alle troppo spesso fumose dichiarazioni dello studio britannico Hello Games, Sean Murray in testa (un hipsterone simpaticissimo che sembra esattamente il tipo che vorresti accanto durante un viaggio o una bevuta o entrambe), che non ha veramente mai accettato di definire No Man’s Sky per quel che realmente è: un gioco di esplorazione spaziale. Punto.

Forse un gioco del genere, gestito da una softco più strutturata avrebbe avuto un esito finale diverso: i pianeti non sembrerebbero tutti così simili tra di loro, elemento questo che rende meno interessante la loro esplorazione, l’online avrebbe un senso compiuto (per usare un eufemismo), tanti dettagli avrebbero potuto essere ottimizzati (sia lato tecnico che ludico) ma quel che resta è comunque più che sufficiente per soddisfare i rumorosi acquirenti.

A patto che abbiate risposto sì alle domande poste all’inizio.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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