Se quel che vuole la leggenda corrisponde a verità, i ragazzi della Firaxis hanno speso i primi sei mesi di sviluppo innestando pari pari il gameplay del primo X-COM – stagionato ma inossidabile ibrido di strategia e tattica a turni, classe 1993 – sul nuovo motore di gioco, per poi trascorrere i tre anni e mezzo successivi in un’alacre opera di lima e di scalpello. Il risultato di tanto sforzo, va detto, riesce a distinguersi perché è in grado di far discutere allo stesso modo sia chi si è giocato l’originale sia chi lo ha conosciuto solo per nome. Ma andiamo con ordine.

Basta davvero poco per realizzare come la strada scelta dagli sviluppatori sia quella della spettacolarizzazione più o meno esasperata di ogni singola fase di gioco. Le azioni salienti della battaglia sono accompagnate da inquadrature ricche di pathos che alternano zoomate da capogiro sui soldati in corsa a drammatici rallenty nel momento in cui le armi sputano fuoco e porzioni generose di scenario vanno in mille pezzi. Analoghe sequenze scriptate, guarnite da un voice over descrittivo ogniqualvolta la schiatta aliena risulti inedita, sottolineano puntualmente l’individuazione di una pattuglia xenomorfa nel cuore della nebbia di guerra che pervade la mappa. E anche se al giocatore è permesso di disabilitare i talvolta fastidiosi siparietti, è proprio in quest’ultimo frangente che si inizia a sospettare che tanto fumo serva a mascherare qualche falla nelle meccaniche di gioco.

Al pari di una partita a scacchi nella quale ad un re sotto minaccia venisse concesso di arroccare sempre e ovunque, infatti, in X-COM una squadra di alieni che entra per la prima volta nel cono di visuale del giocatore usufruisce, de facto, di uno spostamento gratis. Questo indipendentemente dal suo trovarsi nella fase attiva o in quella passiva del turno. Tale feature, senza dubbio curiosa, opera ad esclusivo vantaggio delle forze controllate dalla cpu che in questo modo hanno tutto l’agio di correre indisturbate dietro ad una copertura o di accorciare in modo preoccupante le distanze in vista del successivo, e spesso letale, corpo a corpo, il tutto sotto lo sguardo impotente dei soldati umani.

Predisposti alla meglio i dovuti accorgimenti – leggi: imparato a non muovere mai per ultimo l’uomo posizionato in avanscoperta – si comprende come quello con gli scacchi sia un paragone improprio. In effetti, elementi quali il roster limitato di operativi schierabili in campo (quattro che diventano sei una volta sbloccata la relativa abilità degli ufficiali), le ridotte dimensioni delle mappe di gioco e la spiccata attitudine del nemico a lasciare praticamente ogni iniziativa in mano al giocatore, rendono questo X-COM molto più assimilabile ad una dama sotto anabolizzanti. Mandate definitivamente in soffitta le tante finezze che nell’originale garantivano una varietà di approcci a numero fattoriale per ogni missione a terra, il titolo opta per una meccanica che incatena il giocatore ad un sistema di scelte quasi totalmente binario.

Le due possibilità di azione concesse a turno per soldato – che si riducono a una se questi decide di spendere la sua prima ‘tacca’ per qualunque cosa non sia il semplice movimento – e l’organico ridotto delle forze alleate penalizzano qualunque velleità di condurre azioni ad ampio respiro. Sul versante opposto la sempre soverchiante mole della compagine aliena e la più che sospetta propensione, da parte dei suoi tiratori, a mettere a segno colpi critici da distanze siderali, obbligano a mantenere un approccio iperconservativo alla fase tattica. Sacrificate sull’altare della conoscenza le reclute meno fortunate, si comprende presto che la scelta è sempre tra sparare o muoversi, avanzare o attendere. Il reale ritmo di gioco, in contrasto con i fiumi di adrenalina che scorrono nelle sequenze filmate, è di una lentezza aggrottante.

Ad aggravare il fardello è poi l’aleatorietà dei numeri, capace di mortificare a ripetizione anche la condotta di gioco più accorta. E’ sufficiente una rollata di dadi andata male per sancire, spesso nel giro di un unico turno, la differenza non solo tra colpire o mancare un bersaglio, ma tra concludere una missione in trionfo o ricaricare bestemmiando l’ultimo salvataggio. Persino le abilità speciali dei graduati, sulla carta calibrate per addomesticare un po’ le percentuali di successo ed aggirare alcune delle limitazioni arbitrarie imposte dal sistema, determinano già a medio termine uno squilibrio piuttosto marcato delle forze in campo, questa volta però a vantaggio del giocatore. Il quale, potendo in breve tempo disporre di cecchini che sparano salve letali da un capo all’altro della mappa, perde oltretutto qualunque incentivo a coltivare nuove reclute e a sperimentare combinazioni alternative di specialisti.

Uno sfacelo senza precedenti, dunque? Paradossalmente no. Perché a discapito dell’irragionevole caoticità della fase tattica, a dispetto dell’estrema scheletrizzazione della fase strategica – sì, c’è ANCHE quella e la si può riassumere nel binomio ‘rusha i satelliti/fabbrica i Firestorm’ – o forse proprio grazie ad entrambe, il gioco riesce comunque ad offrire momenti di intenso, perverso, genuino divertimento. Complice la storia che, pur non spiccando per originalità, svela se stessa col contagocce, e complice la scarsità di risorse utili a sviluppare migliorate attrezzature da combattimento ma, ahimè, ottenibili solamente sul campo di battaglia, ci si ritrova proprio malgrado a inanellare missioni su missioni. Masochisticamente. In barba a qualsiasi buon senso. Sino a quando non si metabolizzano a forza tutte le scabrosità dell’imperfetta meccanica di gioco e la mente è finalmente libera di elaborare strategie, di escogitare varianti, di immagazzinare situazioni, di divertirsi. A quel punto l’educata curiosità iniziale viene sostituita da un interesse più coriaceo verso l’evolversi della vicenda. E verso le sorti dei propri soldati, partiti come reclute senza storia e diventati veterani con ruolini di guerra da epica greca e nomi di battaglia da blockbuster americano.

E come quando si assiste alla proiezione di un blockbuster americano, l’unica cosa sensata da fare è lasciarsi andare al divertimento. Perchè è inutile che il buon senso si concentri sul finale sgangherato, sui personaggi da operetta, sul replay value inesistente, ed è inutile che il raziocinio sottolinei che quello che si sta effettivamente vedendo è il presidente degli Stati Uniti intento ad abbattere la nave madre aliena a bordo di un cacciabombardiere in fiamme. Perché per quanto buon senso e raziocinio possano sgolarsi, il corpo sarà troppo impegnato a roteare i pugni in esultanza per dar loro ascolto.



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3 Comments

  1. Quindi la frustrazione dovuta a certe “ingiustizie” del gameplay porta poi al “Nirvana” della situazione, dove la curiosità iniziale lascia spazio all’interesse verso le vicende dei soldati, e la curva di apprendimento si appiattisce quel poco che basta per cominciare ad elaborare strategie con fluidità. Se ho ben inteso.
    Il mio problema è che io non sono mai stato interessato alla trama di questo titolo. Il gioco, hai scritto, per quanto concerne la trama, scorre “col contagocce”.
    Ciò significa che viene posta molta enfasi sulle vicende dei soldati durante il gioco vero e proprio? Ci sono molte cut-scene?
    Io sono interessato solo al gameplay, che mi ha incuriosito sin dai primi video.

    1. “Ciò significa che viene posta molta enfasi sulle vicende dei soldati durante il gioco vero e proprio? Ci sono molte cut-scene?”

      No. E sì.

      Il gioco non si concentra sulle vicende dei soldati perchè questi, oltre a morire come mosche, sono totalmente personalizzabili. E proprio perchè i soldati sono totalmente personalizzabili, e livellabili, e vulnerabili, alla fine è il giocatore ad afferzionarsi a loro.

      Che lo voglia o no.

      Quella a svelarsi per mezzo di cutscene è sempre la storia. Sul campo ogni volta che ci si imbatte in una nuova razza o in una nuova tecnologia aliena, e alla base ogniqualvolta si appronta una nuova tecnologia/struttura/armadidistruzione, e quando triggerano particolari eventi legati all’invasione aliena.

      “Io sono interessato solo al gameplay, che mi ha incuriosito sin dai primi video.”

      E fai bene, perchè il gameplay c’è, nonostante tutto.

      Tieni presente però che il livello di sfida, di profondità e, soprattutto, di rigiocabilità, è lontano anni luce dagli X-COM in dos. Per cui pensaci bene.

  2. Se siete masochisti veri, come il sottoscritto a quanto pare, non potete prescindere dalla modalità hardcore.
    In sostanza il gioco concede un solo salvataggio per la partita in corso, e lo sovrascrive automaticamente ad ogni piè sospinto – alla base o sul campo di battaglia -.
    Sperimentate tutta l’angoscia del capitano che manda a morte un suo soldato per salvarne altri tre.
    Vivete in prima persona tutta l’agonia di una recluta circondata da alieni che hanno appena fatto fuori tutti i veterani di una squadra.
    Insultate a morte i programmatori e i tester che hanno sorvolato alcuni bachi di classe B a riguardo del fuoco reattivo.
    E godete. A morte.

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