2029. I mutanti sono quasi estinti e Logan/Wolverine vive in Messico assieme ad un mutante albino di nome Calibano lavorando come autista per raggranellare il denaro necessario a comprare uno yacht per scappare assieme ad un anziano e oramai instabile Charles Xavier, ignaro responsabile di una catastrofe che ha ucciso molti X-Men e centinaia di civili, dovuta alla sopraggiunta incapacità di controllare i suoi poteri psichici. La salvezza arriva da una donna messicana, che propone a Logan di scortare fino al North Dakota sua figlia, una ragazzina chiamata Laura, in cambio di una grande somma di denaro. Logan accetta, ma ben presto scopre di essere braccato dall’esercito privato della Transigen, una società che ha condotto esperimenti scientifici sui mutanti e che Laura è dannatamente pericolosa…

Leviamoci subito il pensiero: Logan è il miglior comic-movie di tutti i tempi. Un’opera incredibile, meravigliosa, quasi sconcertante se si pensa che rappresenta il capitolo conclusivo di una trilogia meno che memorabile (quella dedicata a Wolverine) e la parola fine ad una saga che ci accompagna, tra alti e bassi, da più di quindici anni.
Un film pazzesco, istericamente violento, capace di colpire al cuore quando rallenta e fa parlare i personaggi, caratterizzato da perfomance attoriali memorabili, avvolto da un’aura malinconica e struggente ma ricchissimo di battute spiazzanti e citazioni brillanti.

Fatta eccezione forse solo per la combo Harrison Ford/Han Solo/Indiana Jones, il casting che ha abbinato quasi vent’anni fa Hugh Jackman a Wolverine è stato il più felice della storia dei blockbuster: in quasi tutti i film di cui è stato protagonista o coprotagonista, l’attore è sempre riuscito a infondere carisma, umorismo e ironia al personaggio interpretato. In Logan tutto questo è amplificato e moltiplicato x1000, con l’aggiunta di un pizzico di introspezione e da uno spleen che mette quasi a disagio lo spettatore, abituato alla sua invulnerabilità.

Logan sgomenta ed esalta proprio per l’umanità dimostrata da tutti i protagonisti: l’avvelenato (letteralmente e metaforicamente) Logan, il non sempre lucido Charles Xavier, la silenziosa e letale Laura: una famiglia disfunzionale che prova in tutti i modi a resistere alle insidie di un mondo altro, diverso da quello raccontato nei precedenti episodi della saga, dove i mutanti non rappresentano l’evoluzione del genere umano ma un semplice errore, un passo falso, una parentesi da chiudere. Brillante è la trovata che rivela la ragione dell’estinzione dei mutanti, l’identità dei villain (un po’ stolidi e dichiaratamente bidimensionali, ma tant’è) e ineccepibile è il finale, che segna un nuovo inizio per gli X-Men, permettendoci di salutare degnamente i vecchi eroi.

James Mangold firma con Logan il suo capolavoro: di regia, grazie ad almeno tre sequenze memorabili, e di scrittura, attingendo dal miglior western d’annata (la scelta di mostrare la sequenza finale de Il cavaliere della valle solitaria, capolavoro di etica ed estetica, è una dichiarazione d’intenti, oltre che un omaggio ad una pietra miliare del cinema) e condendo di amabili parolacce le brutali carneficine effettuate da Logan e Laura. I feroci e grandguignoleschi massacri perpetrati dai protagonisti nei confronti dei cattivi stupiscono ed esaltano al tempo stesso, facendoci riflettere su quanto il terrore del rating R da parte dei produttori ci abbia privato in questi anni di opere che avrebbero incassato di meno ma sarebbero state forse capaci di scrivere la storia del cinema di intrattenimento, cosa che Logan fa dal primo all’ultimo minuto. Da oggi, è evidente, il mondo dei comics movie non sarà più lo stesso.

Ci sarebbero migliaia di caratteri e parole da scrivere su Logan: sui dialoghi e le battute (“una volta una brutta giornata era solo una brutta giornata“), sul controverso e spesso paradossale rapporto tra cinema, fumetti e relativi fan (sbattuto in faccia agli spettatori e agli appassionati in due momenti INCREDIBILI), sulle decine di “chicche” disseminate per il film (il ragazzino con l’action figure di Wolverine, la croce spostata e trasformata in X), sulla bravura dell’esordiente Dafne Keen e la facilità con cui il cinema americano trova attori già formati anche se non sono nemmeno decenni ma la sintesi è: correte al cinema e ammirate uno dei migliori film degli ultimi anni.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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