La settimana scorsa Sky Italia ha messo in onda uno spot dedicato ad una rassegna di “cinepanettoni”, i film natalizi che ogni anno, da decenni, dominano i botteghini del nostro paese. Nello spot, vediamo un gruppo di “intellettuali” impegnato in una gara a chi è più raffinato, fino a che una suoneria ricorda a tutti che alla fine divertirsi è più importante di Kiarostami. Lo spot è molto efficace, tanto da aver attirato l’attenzione di Paolo Mereghetti, che nel Corriere della Sera ha scritto un pezzo molto critico verso la pubblicità. Parafrasando, a suo avviso lo spot è il sintomo di un diffuso disprezzo verso chi cerca di fare cultura in Italia, da parte di persone che preferiscono celebrare il disimpegno e il divertimento.

L’opinione di Mereghetti è molto diffusa tra alcuni dei nomi più a spicco della cultura italiana, da decenni. La scena cinematografica del nostro paese sembra divisa in classi: una manciata di film che riescono ad arrivare in cinema alle classifiche, spesso commedie; un altro piccolo gruppo di film che appassionano critica e una piccola fascia di pubblico; e una grande maggioranza di film che a malapena raggiungere gli spettatori. In questa seconda categoria solo alcuni titoli arrivano nelle sale con una distribuzione decente. L’anno scorso in Italia sono stati prodotti 146 film, ma alcuni di questi sono stati distribuiti solo in un paio di sale. Come è possibile che un’industria del genere possa sopravvivere?

Il merito principale di questa situazione è da ricercare nel sistema dei contribuiti pubblici al nostro cinema, che permettono a un gran numero di opere di venire finanziate a prescindere dal loro potenziale di successo con il pubblico. Questo sistema esiste dal 1965, ed è stato espanso nel 1994. La natura dei finanziamenti è in gran parte politica, e ha radicalmente cambiato le abitudini del nostro cinema, prima basato principalmente su un’idea industriale dell’arte. Mario Monicelli è stato uno dei più vocali oppositori di questo sistema. E, in questo incontro con Nanni Moretti, nel 1977, si può vedere come il nostro cinema, negli ultimi 40 anni, ha cambiato il suo approccio verso il pubblico.

Questo incontro è molto interessante per molti aspetti (tra i quali la spettacolare misoginia che attraversa lo show, di cui non abbiamo tempo di parlare): sia Moretti che Monicelli non sono particolarmente abili a prevedere il futuro, soprattutto nella loro opinione su Lo Squalo, forse il film più importante degli ultimi 50 anni per l’industria cinematografica mondiale.

Ma quello che colpisce è l’accusa di Moretti a Monicelli per cui la commedia all’italiana fosse un genere che cercasse di compiacere il pubblico sacrificando un’idea personale di narrativa, alla ricerca del successo e del ritorno economico. Quella di Moretti è una crociata personale, di uno dei nostri cineasti più importanti, che grazie al suo talento è riuscito a portare ottimi film sul grande schermo, ormai da molto tempo. Ma le sue idee rispetto al rapporto con il pubblico sono miopi: l’approccio che critica ha dato vita all’era più vitale e ricca del nostro cinema. Ma le idee di Moretti hanno avuto molto successo nel nostro paese, e assieme ad un sistema di finanziamenti pubblici che ha reso praticamente irrilevante il successo di pubblico, ha dato vita ad un tipo di cinema che non si preoccupa di comunicare col prossimo, di costruire un linguaggio che riesca a coinvolgere e appassionare lo spettatore.

Così la maggior parte dei film “di qualità” (nel linguaggio della critica italiana questo è un genere, non una qualifica) sono impegnati, cerebrali e utilizzano un linguaggio all’apparenza sofisticato, ma più spesso ottuso e pedestre. La critica spesso celebra questi film; gli spettatori vanno a vedere questi film; gli spettatori sono spesso fortemente delusi da quello che vedono.

Dopo che questo succede con una certa regolarità, la disillusione della gente porta a cercare altro. Lo spot di Sky sembra voler cavalcare un onda che nasce da questa idea di qualità basata su un misto tra inadeguatezza ed apatia. Come quando si vede una scena trionfante in un film epico americano e si sente il bisogno di ironizzare immediatamente perché sennò non si è abbastanza intelligenti, quando la realtà è che qualcosa, dentro di noi, è morto.

E dopo quarant’anni di cinema che non vuole sentire la gente, la gente si disinteressa. Perché se è vero che il mercato non è un giudice infallibile della qualità dei prodotti che mette in circolazione, è anche vero che può essere un ottimo metodo per costruire un linguaggio con il pubblico e capire come coinvolgere più persone possibili mantenendo un livello alto nelle proprie opere.

Anche perché i nostri spettatori possono accedere a opere di questo tipo, sia al cinema che in televisione. Molti dei nostri cineasti sembrano giustificare la scarsa qualità dei loro film dicendo “so che il mio film è noioso, ma non importa, perché è importante”. Come si fa a pensare che questo sia un argomento valido dopo The Wire, The West Wing, The Good Wife, la trilogia di Batman di Nolan, Inception e Attack the Block? La verità è che se tutti i veri amanti del cinema vogliono in primo luogo essere appassionati, vogliono cinema che cerca di parlare alla gente raccontando roba seria. Usando la magia del cinema, stupore e passione. Questa è l’essenza della cultura: è comunicare con il prossimo nel modo più intimo e forte possibile. Shakespeare, Dickens, Orwell non provavano a dimostrare la loro bravura, ma si avvicinavano alla gente. Esattamente come Fellini, De Sica, Leone, e Monicelli.

 

Sergio Leone

In questo scenario, i nostri critici, gli “intellettuali”, sono tra i maggiori responsabili, e l’indignazione di Mereghetti sembra completamente fuori luogo. La scelta di spingere opere di scarso valore solo perché appartenenti ad un certo “genere” socialmente impegnato, l’indifferenza per la mancanza di registi che si preoccupino di fare film di qualità senza dimenticare il pubblico (come fanno Muccino, Tornatore, Salvatores, per citare alcuni nomi), la poca attenzione verso il cinema indipendente.

Il ruolo della critica è fare da barometro agli addetti ai lavori e agli appassionati. Gridare al “miracolo” ogni volta che un film italiano fa buoni incassi non ha mai fatto bene, perché le eccezioni non costruiscono un’industria in salute. Qui su Players parliamo spesso di cinema indipendente, e tra le nostre firme c’è Giacomo Talamini, il cui Metal Gear Solid Philantrophy è stato visto da centinaia di migliaia persone in tutto il mondo, nonostante sia costato poche migliaia di euro.

Mereghetti ha sicuramente ragione a valorizzare autori importanti e storici come Bellocchio. Ma nel 2012, se si ha a cuore il futuro del cinema italiano, Giacomo Talamini è più importante di Marco Bellocchio. Quando la qualità culturale di un paese è bassa non è mai colpa di chi produce contenuti mediocri. Ma di chi non produce contenuti di qualità.

 



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Emilio Bellu

Scrittore, cineasta, giornalista, fotografo, musicista e organizzatore di cose. In pratica è come Prince, solo leggermente più alto e sardo. Al momento è di base a Praga, Repubblica Ceca, tra le altre cose perché gli piace l'Europa.

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4 Comments

  1. Bel pezzo davvero. Non si può sempre anteporre la riflessione su temi forti, se l’intrattenimento non è di qualità

  2. Pezzo magnifico. Un sacco di roba giusta espressa nel migliore modo possibile.

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