Devo ammettere, sebbene senza particolare esaltazione, di aver preferito Alias Grace alla tanto acclamata The Handmaid’s Tale, la serie tv sbarcata da poco su Netflix tratta da un altro romanzo di Margaret Atwood. Forse perché ispirata da una storia vera, o perché meglio sceneggiata, L’Altra Grace – questo il titolo italiano – è un’efficace crime story dai toni fortemente drammatici, più interessata a indagare la psiche della protagonista, la bellissima Grace Marks/Sarah Gadon, che il suo agire e il suo presunto delitto.
Tuttavia, pur avendo, come il precedente Racconto dell’Ancella, un’evoluzione piuttosto schematica, qui demandata ai numerosi flashback che compongono i sei episodi della serie televisiva, la sensazione è che la storia non sia altrettanto frammentata e che fluisca senza troppe pause, senza stacchi evidenti e senza che l’atmosfera subisca alterazioni. Se si esclude il pilot, in cui questa fluidità viene a mancare a causa di un’infelice articolazione dei tempi e degli spazi d’azione (si salta repentinamente da una situazione all’altra), i successivi episodi sembrano lasciare il giusto spazio al passato, posizionando solo a fine “capitolo” il ritorno al presente e alla cornice narrativa.
Diversamente da The Handmaid’s Tale, in cui il rapporto tra il passato riesumato e il presente effettivo era perlopiù rimosso, dimenticando di rimodulare il significato della voce narrante e la lacunosità del flusso di eventi, in L’Altra Grace le due linee temporali risultano ben bilanciate affinché il presente torni a divenire importante solo in fase conclusiva, quando ormai di Grace conosciamo ogni aspetto e ogni sventura. Anche il discorso a monte della vicenda, ossia il corpus di osservazioni e denunce sulla condizione femminile – cui preme far leva alla Atwood – non appare mai forzato ma si dipana naturalmente tra sedute (pre)psicanalitiche, circostanze esoteriche ed episodi di turpe disumanità, consentendo un’opportuna sospensione di giudizio e l’aleggiare del dubbio nella mente dello spettatore…
L’inconscio, così come i sogni, la libera associazione e la libido, giocano un ruolo molto importante nella (ri)costruzione della storia di Grace – colta da amnesia lacunare e quindi incapace di ricordare – e del suo coinvolgimento nell’omicidio della governante Nancy Montgomery/Anna Paquin e del padrone Thomas Kinnear/Paul Gross, ma anche gli accenni alla stregoneria e alle eventualità di possessione demoniaca rappresentano, per come sono rivelati, più che la semplice accusa mossa dai personaggi più ignoranti.
La verità sembra stare nel mezzo, né follia né stregoneria, ma solo il male in borghese. Tanto più che il commissionante dell’indagine psicanalitica è addirittura un reverendo, un uomo di chiesa incapace di credere e accettare che dietro ai brutali omicidi possa esserci il demonio, una figura quasi credibile se non avesse il volto di David Cronenberg. Forse la scelta più azzeccata per evitare che il pubblico si lasci influenzare troppo presto dall’abito e dalle intenzioni di chicchessia…
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