American Horror Story è una serie tv di successo, trasmessa sulla rete statunitense via cavo Fx (Fox Extended), il cui episodio pilota del 5 ottobre 2011 raccolse 3.14 milioni di spettatori, risultando il più visto di sempre della rete e che, con il prosieguo della prima stagione, si mantenne sempre su livelli ottimi relativamente a rating e numero di telespettatori, con una tendenza che vide una crescente fidelizzazione e un dirompente successo anche nella seconda e nella terza stagione.

Creata dalla penna geniale di Ryan Murphy e prodotta dalla 20th Century Fox Television, American Horror Story seminò fin da subito consensi e critiche decisamente impressionate che gridarono all’innovazione dello script e della trama, considerata una rarità nella programmazione televisiva, apprezzata per la sua imprevedibilità, per il suo misto di horror patinato perfettamente legato allo stile accattivante alla base della storyline della prima stagione (e della successiva).

La serie, che fu in grado di rivitalizzare immediatamente una stella appannata come Jessica Lange, fu ben presto definita come uno strumento per stimolare in egual misura sia le fantasie che le paure dello spettatore medio, potendo contare su un cast di stelle assolute (Jessica Lange e Francis Conroy in primis) e sulla verve di un Ryan Murphy in stato di grazia. Almeno all’inizio dell’universo American Horror Story.

Abbandonati i manicomi e le suore delle prime stagioni, con “Coven” la musica è decisamente cambiata: Murphy, come sempre gli capita con il passare del tempo nelle sue serie (Nip/Tuck, Glee, The New Normal), sembra aver smarrito le idee all’avanguardia, non trovando più il filo logico per arrivare a un prodotto in grado di mantenere alto lo standard qualitativo, diviso fra sorprese, stupore e savoir faire stilistico, piombando invece in un’impasse che sembra distogliere l’attenzione dello spettatore e sicuramente fa scemare la curiosità attorno a quello che agli albori fu possibile definire “fenomeno AHS”.

Ciò che manca in Coven non sono sicuramente i personaggi di richiamo, forti e dall’appeal garantito (almeno sulla carta): Angela Bassett, Emma Roberts, Gabourey Side, Kathy Bates, sono perfettamente andati a colmare i vuoti lasciati dai vari Zachary Quinto, Dylan McDermott e Joseph Fiennes, formando un cast dalle grandi potenzialità. Il problema è che American Horror Story: Coven a differenza di AHS: Murder House e AHS: Asylum, queste potenzialità, non le ha ancora tramutate in realtà: arrivati al decimo episodio e quando ne mancano solo tre alla conclusione, la serie si trascina tra clichés e un piattume generale che ha cancellato qualsiasi velleità artistica. Così il cast sembra bloccato su marce basse, e personalità del calibro di Kathy Bates (premio Oscar per Misery Non Deve Morire) sembrano essere alla guida di una Topolino piuttosto che di una Ferrari.

Fin dalle prime voci trapelate nell’ambiente e fra gli appassionati della serie, il tema portante della stagione apparve un grosso enigma, con le streghe e la loro caccia trasposte al XXI secolo che rappresentavano il punto più basso della creatività murphyana e con un unico interrogativo che si faceva largo nelle loro menti: “riuscirà Murphy a rivitalizzare un genere così tanto abusato in passato e dal fascino ormai tanto scarso?”. Col progredire della storyline, ciò che è apparso evidente è stata la confusione che regna sovrana nella trama: teste mozzate, l’affannosa lotta bianchi/neri, pozioni magiche, roghi improvvisati, il cancro della protagonista per avere il tender moment, morti che resuscitano, anime vendute a Satana, un pizzico di zombie e la congrega di cacciatori con il prevedibile innamoramento di uno di loro per una di loro.

Dov’è in tutto questo il fil rouge della trama? Ciò che sembra palese, è che il tiro non sarà corretto in corsa in queste ultime tre puntate, e la sensazione è che ormai nessuna di tutte queste numerose sottotraccia sembrerà trovare la sua giusta conclusione, quando invece sarebbe stato più giusto (e razionale) puntare su un vero cavallo da corsa vincente piuttosto che su tanti senza la necessaria forza intrinseca, che si perderanno per strada e non arriveranno mai al traguardo.



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2 Comments

  1. la mancanza di Zachary Quinto si sente eccome, a mio avviso…

    1. Più che altro hanno messo troppa carne al fuoco e alla fine si è bruciata tutta…spero che la prossima stagione “circense” torni ai fasti delle prime due (ottime).

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