Ambientato nel continente di Amestris, un mondo molto simile all’Europa di inizio 900 in cui molte persone praticano l’alchimia, un’attività a metà tra magia e scienza, Fullmetal Alchemist racconta la storia di due giovani fratelli, Edward e Alphonse Elric, che nel vano tentativo di far rivivere la madre morta, hanno perso il primo un braccio ed una gamba ed il secondo (la cui anima è stata “saldata” ad un’armatura) tutto il corpo. I due viaggiano alla ricerca della Pietra Filosofale, unico artefatto in grado di riportare i loro corpi allo stato originale…

Fullmetal Alchemist ha un’importanza fondamentale nella storia dei manga e dell’animazione giapponese. L’opera cartacea, scritta e disegnata da Hiromu Arakawa (autrice anche dello splendido Silver Spoon) venne serializzata sulla rivista Monthly Shōnen Gangan dal 12 luglio 2001 al 12 giugno 2010 per un totale di 108 capitoli, segnando in modo indelebile il primo decennio del nuovo secolo e vendendo milioni di copie. Come noto, dal manga vennero tratte ben due serie animate, entrambe prodotte dallo studio d’animazione Bones: Fullmetal Alchemist, di 51 episodi, trasmessi tra il 2003 ed il 2004, fedele solo ai primi volumi del manga che ai tempi era ancora in corso di svolgimento e Fullmetal Alchemist: Brotherhood, un adattamento più fedele in 64 episodi, mandati in onda tra il 2009 ed il 2010.

Ora viene da chiedersi: era proprio necessario un ulteriore adattamento live action, per di più limitato, per ovvie ragioni, ad una piccola porzione della storia? Risposta: NO. E della non necessità di tornare a raccontare le vicende dei fratelli Elric, la cui storia è stata nel corso degli anni declinata anche attraverso film animati, videogiochi e altri media, se n’è accorto anche il pubblico giapponese, che ha clamorosamente snobbato l’uscita nei cinema di questo lungometraggio, che da qualche giorno è disponibile su Netflix.

Il problema di Full Metal Alchemist è di duplice natura: il passo corto del film non permette al pubblico di affezionarsi ai personaggi, con la conseguenza che, ad esempio, due momenti di enorme impatto emotivo che caratterizzavano la prima parte dell’opera originale (la scomparsa improvvisa di un protagonista e la “trasformazione” di un altro…chi conosce manga e serie avrà già capito di chi si parla) vengono qui risolti in modo forzatamente sbrigativo e senza il benchè minimo sussulto emozionale. Il film è una sorta di bigino di una piccola porzione di una storia immensa, vasta, complessa e articolata. Nonostante le due ore e venti di durata, lo script non riesce che a grattare la superficie di quell’intreccio di politica, religione, guerra, umorismo, sentimento e acuta analisi dell’animo umano che ha reso unica l’opera originale.

L’originale Full Metal Alchemist è poi un’opera spettacolare e ricca di battaglie e scontri dal grande impatto visivo. Il film, dopo un inizio promettente (girato a Volterra!), dove probabilmente è stato speso tutto il budget a disposizione, si affloscia ed evita accuratamente di presentare sequenze eccessivamente complesse o particolarmente vivaci e quando ci prova, non riesce comunque a trasferire su schermo il dinamismo della pagina scritta o della serie animata.

C’è infine un problema tutto tipico delle produzioni live action nipponiche, ossia la tendenza a non riuscire quasi mai ad amalgamare i personaggi con lo scenario in cui si trovano a esistere: così, anche in Full Metal Alchemist, sembra che gli attori siano cosplayer della serie e non i veri personaggi, il che, unito ai bassi valori produttivi, riduce il film ad un’opera semi amatoriale o ad una sorta di fan made evoluto, ma nulla di più.

Lo sfruttamento intensivo di un franchise di successo è un’azione prevedibile e talvolta fruttuosa, ma non è il caso di Full Metal Alchemist, il cui unico pregio potrebbe essere quello di stimolare il recupero dell’opera originale, sia essa in forma cartacea o animata…ma considerando la fama di queste versioni ed il fatto che questo live action verrà presto dimenticato da tutti, siamo proprio di fronte ad uno di quei casi in cui sarebbe stato meglio che il progetto non fosse mai uscito dal cassetto della scrivania del produttore…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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