Prima regola per apprezzare gli Oscar: non prenderli troppo sul serio. Seconda regola per apprezzare gli Oscar: ricordarsi che le nomination sono sempre (sempre) un indice qualitativo davvero efficace e che l’elenco dei vincitori finale non lo è mai, o quasi. Già, perchè la storia degli Oscar ci racconta che quasi mai un film davvero meritevole è rimasto senza nemmeno una nomination (almeno tra quelli battenti bandiera americana , anche se The Shining, Il Grande Lebowski e Heat potrebbero rappresentare significative eccezioni a questa affermazione…), ma che certe volte la proclamazione del vincitore ha suscitato molte perplessità.

Così, visto che le nomination di quest’anno sono uscite da un po’ e si è oramai in pieno clima da Oscar, abbiamo riunito (quasi) tutta la redazione di Players  per decretare quali sono stati i furti più eclatanti nella storia degli Oscar.

ANDREA CHIRICHELLI

1941, miglior film: L’inutile Com’era verde la mia valle scippa il premio a Quarto Potere. E già questo basterebbe. Per rendere il tutto ancora più assurdo, basta ricordare che in short list c’erano anche Il mistero del falco e Il sospetto (di Alfred Hitchcock)

1999, miglior film: Shakespeare in Love trionfa in una delle più risibili cerimonie di tutti i tempi (quella in cui la Loren e Benigni dimostrarono al mondo che gli italiani sono cialtroni provinciali pure quando vincono) scippando il premio a Salvate il soldato Ryan e/o La sottile linea rossa (e The Truman Show non era stato nemmeno nominato).

1999, miglior attrice: Gwyneth Paltrow per Shakespeare in Love ruba il premio a Cate Blanchett, gigantesca in Elizabeth. Harvey Weinstein sogghigna in poltrona.

2010, miglior fotografia: Mauro Fiore per Avatar (lol) vince al posto dell’immenso Christian Berger de Il nastro bianco di Haneke. Probabilmente la scelta più demenziale tra tutte quelle discutibili mai fatte dall’Academy, passata inosservata solo perchè di una categoria “minore”.

1986, miglior film: il melenso e pallossimo La Mia Africa vince quando lo stesso anno erano nominati Witness – Il testimone, il bacio della donna ragno e c’era nelle sale il capolavorissimo Ran di Kurosawa (che non venne nemmeno nominato…).

1993, miglior attore: Al Pacino avrebbe potuto essere premiato per qualsiasi film precedente e vince con quella schifezza di Profumo di Donna quando c’erano nominati Stephen Rea per La moglie del soldato e Denzel Washington per Malcolm X. Classico esempio di Academy che si accorge di un errore perpetuato per decenni e ripara nel peggior modo possibile (tanto valeva dargliene uno alla carriera).

1968, miglior film: il musical Oliver! di cui spesso non si ricordano nemmeno gli appassionati di questo sottogenere cinematografico, vince in un anno in cui nelle sale c’erano 2001: A Space Odyssey e Rosemary’s Baby, che non vennero nemmeno presi in considerazione per la nomination.

1952, miglior film: una delle scelte più risibili nella storia dell’Academy è stata quella di premiare Il più grande spettacolo del mondo, ipertrofico kolossal circense di Cecil B. DeMille in una edizione in cui non vennero nemmeno presi in considerazione come miglior film opere immortali quali Mezzogiorno di fuoco, Un Uomo Tranquillo e Cantando sotto la pioggia. Eh…

2015, miglior film di animazione: Big Hero 6 è simpatico ma vincere l’Oscar quando in nomination ci sono La storia della principessa splendente, diretto da Isao Takahata e il bellissimo La canzone del mare…stiamo scherzando?

Considerazione generale: Stanley Kubrick e Alfred Hitchcock non hanno MAI vinto un Oscar. EHM.

ARIANNA MEREU

1952, miglior film: Vince Un americano a Parigi di Vincente Minnelli. Festoso, ottima colonna sonora (che vince), splendida fotografia (anch’essa vittoriosa), scenografia suadente (premiata), ma in quell’edizione, tra i nominati, campeggiava quello che la sottoscritta considera tra i film più belli della storia del cinema: Un Tram che si chiama Desiderio di Elia Kazan. Avrebbero potuto assegnare tutto al film di Minnelli, ma Un Tram è IL tram che non va perduto, mai! Kazan si rifarà tre anni dopo con Fronte del Porto.

1959, miglior regia: Vincente (di nome e di fatto) Minnelli per Gigi… E no, non ce l’ho con Minnelli o con Gigi – che a onor del vero è un film delizioso – ma se penso che Alfred Hitchcock non ha mai ottenuto questo premio e che nella 31esima edizione della Cerimonia il capolavoro del maestro della suspense, La Donna che visse due volte, non era neanche nominato come miglior film, mi tornano i brividi (due volte). In corsa solo per la miglior scenografia e il miglior sonoro, non vinse nemmeno lì. Che amarezza…

2002, miglior fotografia: è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare ma il 2002, anno in cui vinse Andrew Lesnie per Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello, sarebbe stata un’ottima occasione per assegnare il premio a Roger Deakins, in lizza per lo strepitoso lavoro di illuminazione e focus setting ne L’Uomo che non c’era. Deakins, a tutt’oggi, ha ottenuto 14 nomination senza mai conquistare la statuetta. Dire che è incredibile è dir poco. Quest’anno è di nuovo in corsa con Blade Runner 2049, la cui fotografia – per chi scrive – è l’unica ragione per cui varrebbe la pena ricordare il film. Go Roger!

MARA RICCI

2017, miglior attrice: Vince Emma Stone per La La Land ma avrebbe dovuto vincere Amy Adams per Arrival che invece non ha ottenuto neanche la candidatura! A Emma Stone va riconosciuto di essere stata capace di infondere vivacità a un personaggio sulla carta davvero striminzito, ma Amy Adams ha riempito lo schermo di delicatezza e profondità con un’interpretazione di rara bellezza grazie alla quale scienza e sentimento, vita extraterrestre e intimità della propria esistenza, hanno trovano un punto di comunicazione. Alzi la mano chi non ha rimpianto di non aver optato per studi linguistici.

2000, miglior attor non protagonista: vince Michael Caine come miglior attore non protagonista per Le Regole Della Casa Del Sidro ma avrebbe dovuto vincere Tom Cruise per Magnolia. Paul Thomas Anderson ha scritto su misura per Cruise un personaggio ieratico, amaro e rancoroso, imbevuto di acredine nei confronti del padre. In Magnolia Anderson ha rielaborato l’esperienza di Tom Cruise con il proprio genitore e sarà per questa nota autobiografica, ma quello di Frank Mackey resta una delle rare eccezioni al personaggio tipo a cui si abbandona Cruise altrimenti impegnato in variazioni del golden boy magari tormentato, ma alla fin fine bravo ragazzo. Grande performance, tutt’ora tra le sue migliori. Il parlare di ruoli non convenzionali per Tom Cruise mi porta a un’altra sua performance atipica, quella del killer in Collater film del 2004 per il quale Michael Mann non ha ricevuto nè la candidatura a miglior regista, nè a miglior film.

2015, miglior attore protagonista: vince Eddy Redmayne come per La Teoria Del Tutto ma sul palco sarebbe dovuto salire Michael Keaton per Birdman in cui interpreta un disilluso, amareggiato e nevrotico attore alla disperata ricerca di un ruolo che lo renda di nuovo rilevante. L’interpretazione della vita arrivata al momento giusto, all’età giusta, con alle spalle l’esperienza giusta: una combinazione che difficilmente si ripeterà in futuro. Il video di Keaton, praticamente sicuro di vincere, che rimette in tasca il suo acceptance speech sarebbe un finale alternativo molto meta e assolutamente perfetto per Birdman.

ELISA GIUDICI

Se gli Oscar attoriali fossero una mera questione di scontro secco tra interpretazioni dell’annata, il premio a Emma Stone per La La Land non avrebbe motivo d’esistere (AHO e basta prendersela con la mia Emma! NDR), non in una cinquina strepitosa come quella del 2017. Non con una Natalie Portman in mimesi assoluta con Jackie Kennedy, con una performance tale da mettere quasi in ombra il genio registico e produttivo del regista cileno Pablo Larraín (di cui dovreste recuperare qualsiasi cosa).

Gli Academy Awards però trascendono le annate e spesso si colorano di rimpianti, valutazioni agiografiche e rivalutazioni d’intere carriere. Rimane dunque inspiegabile come la fretta di premiare una bella e promettente 28enne statunitense per un ruolo gradevole ma non certo trascendentale abbia potuto scippare la più grande attrice vivente dell’Oscar che merita da una vita. Non lo diciamo solo la critica e io: è il mantra di una certa Jessica Chastain. Isabelle Huppert ha una carriera tale che nel solo 2017 avrebbe potuto annichilire tutte le rivali, senza nemmeno scomodare cosette come La Pianista. Un’attrice che in un solo anno solare regala una performance come quella in Le Cose che Verranno e accetta un ruolo pericolosissimo come quello di Elle (che aveva fatto fuggire le più blasonate rivali hollywoodiane) trasformando il film in una pietra miliare del thriller non dovrebbe essere messa in un angolo. Per fortuna almeno i Golden Globes hanno riparato ai torti passati e presenti.

Quattordici nomination, zero vittorie e un ristretto circolo di cineasti che si fida solo di lui: questi sono i numeri di Roger Deakins, un’esteta della fotografia che ha fatto dell’arrivare secondo agli Oscar una specie di marchio d’infamia e rimpianto. I Coen senza di lui non si muovono; per Ave Cesare! Deakins li ha salvati dalla rovina, girando con una quantità del tutto insufficiente di pellicola e con il terrore quotidiano di esaurirla, causa guai finanziari della Kodak. Denis Villeneuve è approdato a Hollywood con i suoi colori, così lirici e smaccatamente calibrati da far storcere il naso ai fautori del naturalismo.

Nel 2013 Sam Mendes si rivolge a lui quando si ritrova per le mani Skyfall, ovvero circo cinematografico che solo un film di James Bond può generare. Non certo un titolo a cui gli Oscar guardano con favore, dato il suo tradizionale carattere commerciale. La sceneggiatura però prevede due degli elementi naturali che scatenano la maestria di questo artigiano eccezionale della luce: il fuoco e il ghiaccio. L’incendio di villa Bond e la lotta notturna sotto la coltre di ghiaccio che ricopre un laghetto paludoso strappano da soli il ticket a un Oscar che sembra più sicuro che mai.

La statuetta finirà alla fotografia di un film girato nelle piscine dei Pinewood Studios (beffardamente rese legate proprio dalla saga di Bond) per un film come Vita di Pi, giocoforza più basato su greenscreen e sulla color correction che sulla cinepresa. Forse la sconfitta più amara di Deakins, quella del 2013, anche se il caro Roger potrebbe riempire una lista come questa da solo.



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Redazione

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