Per quanto mi riguarda, Ghostbusters è la cosa che più si avvicina ai testi sacri. Ancora oggi i miei genitori non perdono occasione di ricordarmi come io abbia iniziato quasi ogni weekend dai 3 ai 10 anni infilando nel videoregistratore la stessa cassetta, registrata da un passaggio in prima serata, fino a impararla a memoria. Ricordo perfino che la sera prima della messa in onda la signora alla cassa del supermercato locale mi chiese “Sei contento di vederlo, finalmente?”. Probabilmente gliene avevo parlato un pochino nei giorni precedenti. Provai a dissimulare: “Naaa, si vede che i fantasmi sono disegnati…”, ma del salto sul divano alla prima comparsa di Slimer si ride ancora a casa. Un po’ meno di quel “Mi ha smerdato!” urlato nella corsia dello stesso supermercatino il giorno dopo, in un impeto celebrativo poco apprezzato dal genitore al mio fianco. Questo giusto per far capire con che spirito mi sono approcciato a Ghostbusters: Legacy. 

Probabilmente, il grosso problema di un terzo capitolo di Ghostbusters è sempre stato questo: sopravvivere al giudizio dei 30-40 e mettere insieme un film che possa piacere anche ai ragazzini per soddisfare il botteghino. Il reboot del 2016 ha provato ad essere tutt’altro, ed è andata com’è andata (ben oltre i demeriti veri e propri del film, per altro). Per Legacy (nuovo capitolo degli inspiegabili adattamenti italiani: in originale è Afterlife) la soluzione al problema arriva dall’uomo dietro la macchina da presa: Jason Reitman.

Figlio di Ivan Reitman (regista dei primi due capitoli originali, nonché produttore dell’intera saga, Legacy incluso), Jason è cresciuto nel culto di Ghostbusters e si vede. Tratta la materia originale con la reverenza di chi avverte forte e pesante l’investimento emotivo nella storia che sta raccontando e la consapevolezza di chi sa che la pellicola dovrà piacere a un pubblico trasversale; dettaglio non trascurabile, poi: dietro la macchina da presa ci sa fare, come già dimostrato con Juno.

Lo spirito di Ghostbusters: Legacy

Ghostbusters: Legacy è un film che paradossalmente coglie appieno lo spirito degli anni in cui è uscito il primo Ghosbusters, ma è lontanissimo dallo spirito primo Ghostbusters. Laddove il film di Murray & co. era di fatto una trasposizione sul grande schermo di una serie di sketch del Saturday Night Live in cui le improvvisazioni (per lo più dello stesso Murray) risultavano legate insieme dal filo della trama, Legacy ha invece la struttura del classico film di avventura per ragazzi di quell’epoca (i Goonies, per avere un riferimento comune). In un certo senso è più vicino a Ghostbusters II che al primo. 

La misura della distanza è la stessa che c’è tra New York City e Summerville, Oklahoma, dove Callie ha ereditato la vecchia tenuta del padre, un personaggio strano chiamato dagli abitanti del luogo Zappaterra. Spariti grattacieli e monumentali biblioteche, le giornate di Callie (Carrie Coon) e dei sui figli Trevor (Finn Wolfhard) e Phoebe (Mckenna Grace) scorrono placide tra distese di campi a perdita d’occhio, la scuola estiva del prof. Grooberson (Paul Rudd) e la strana miniera abbandonata, scosse solamente dai regolari terremoti quotidiani a cui gli abitanti di Summersville non sembrano più fare caso. 

Ghostbusters: Legacy

Ma è anche la stessa che c’è tra l’età dei protagonisti all’epoca e quella del quartetto di ragazzini di Legacy, fulcro e motore delle vicende che si dipanano dalla riscoperta dei gadget del nonno di Phoebe in compagnia del suo nuovo amico Podcast (che sì, ovviamente girà con un microfono e un registratore) e il goffo approccio romantico di Trevor alla collega di fast food Lucky. Vero mistero paranormale della pellicola è come faccia Hollywood a sfornare con questa frequenza ragazzə e ragazzinə di talento.

“Sei tu un dio?”

Mentre la trama procede per strattoni, pezzo dopo pezzo riemergono tutti i rimandi all’iconografia dei Ghostbusters fatta di dei sumeri, raggi protonici e apparizioni ectoplasmatiche, maneggiati però con la cura e l’attenzione di chi mette in campo un investimento emotivo, e non solo solo commerciale. L’enorme, palpabile differenza tra Ghostbusters: Legacy e le decine di altri film, serie e più in generale prodotti concepiti per cavalcare la retro-nostalgia è che in questo caso la pellicola nasce per prima cosa come atto d’amore, o quanto meno è questo quello che riesce a trasmettere allo spettatore (a me come spettatore, per lo meno). 

Ghostbusters: Legacy

Senza particolari spunti narrativi, anzi con un intreccio che non fa troppa strada dal suo punto di partenza alla conclusione, Ghostbusters: Legacy mette in scena tutti gli elementi che è lecito attendersi: senza spoiler, ma se siete fan e vi state chiedendo “Chissà se…?” la risposta è sì, senza bisogno di finire la domanda. Il problema più grande è che arriva con almeno dieci anni di ritardo su altre produzioni capaci di intercettare il medesimo trend in anticipo, risultandone per certi versi una copia (ed è davvero difficile non pensare a Stranger Things quando uno dei protagonisti ha recitato nella serie). 

Mi piace pensare, però, che in questo caso la differenza la faccia la passione e l’affetto per il materiale originale di chi è dietro il progetto, che l’emozione che traspare nel finale sia vera e non suggerita nella giusta dose da un ufficio marketing. Ma io sono anche quello che dove aver visto Ghostbusters si è fatto regalare un mostro in una gabbia di cartone per natale e poi ha dormito per settimane con la luce accesa e il mostro nell’armadio. Insomma, magari è stato facile prendermi all’amo, ma io ora a Jason Reitman voglio un po’ bene come a quei quattro che hanno slavato il mondo da un’invasione ectoplasmatica sulla cima di un grattacielo. 



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, , ,
Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

Similar Posts
Latest Posts from Players