Mai come in quest’occasione un documentario sta facendo parlare di sé e la coda lunga delle discussioni ha già portato a una causa giudiziaria che probabilmente continuerà a foraggiare il dibattito intorno a Leaving Neverland per gli anni a venire. A questo punto è bene capire chi è Michael Jackson, quali sono i fatti pregressi e, soprattutto, chiarire cosa aspettarsi e cosa non aspettarsi dal documentario HBO trasmesso in Italia da Canale 9 il 19 e il 20 marzo.

Michael Jackson è stato grande in un modo che oggi sarebbe impossibile essere, larger than life nel suo caso rischia di non rendere appieno la fama, il successo, l’adorazione di una superstar globale prima della globalizzazione, di un’artista con cui ogni capo di stato ha ambito essere ritratto insieme, di una celebrity che le altre celebrities hanno continuamente omaggiato, l’artista più venduto, il primo afroamericano ad avere un video (Billie Jean) in heavy rotation su MTV sfondando così il color cealing dell’emittente, e questo è un fatto da tenere sempre a mente perché Michael Jackson, nonostante le mutazioni evidenti e preoccupanti del suo aspetto a partire dal colore della pelle e le valutazioni che ne possiamo fare, è stato soprattutto un’artista afroamericano che ha polverizzato tutte barriere erette intorno agli artisti afroamericani. Michael Jackson era quindi anche americano, e anche questo è un dato ovvio ma tutt’altro che da sottostimare perché come dice Lawrence Wright “The worship of celebrity is the real american religion“: essere una star ha un peso ovunque, in America di più.

I precedenti

Poi, nel 1993, succede che Michael Jackson viene accusato di molestie sessuali da Evan Chandler, il dentista delle star, padre di Jordan all’epoca 12enne. Nessuno avrebbe voluto credere Jackson colpevole di un crimine così ripugnante ma il cantante, tra mille eccentricità e stranezze, nutriva una predilezione per il trascorrere gran parte del suo tempo libero proprio con i bambini, giocando, scherzando e dormendo con loro come un eterno Peter Pan nella sua personale Neverland ideata allo scopo. Alla luce delle accuse di molestie, il tipo di interazione tra la star e i bambini iniziò a non essere più considerato un’infantile bizzarria, ma una situazione ambigua e sinistra. L’azione legale non andò avanti, Jackson corrispose alla famiglia del bambino circa 25 milioni di dollari, ma l’accordo escludeva esplicitamente che fosse da intendersi come un’ammissione di colpa del cantante che da quel momento in poi continuò, legittimato dall’accordo stesso, a dirsi innocente. Di questa soluzione Jackson dirà in seguito di essersi pentito, di aver accettato di pagare su pressione della Sony preoccupata delle ripercussioni sul tour. Adesso ci sono due modi di interpretare la vicenda: Michael Jackson ha pagato perché a processo sarebbe stata dimostrata la sua colpevolezza, oppure valutare l’episodio come un riuscitissimo tentativo di estorsione di un padre (pieno di debiti e non nuovo a pratiche truffaldine) che ha imbeccato il ragazzino, nessun genitore baratterebbe la giustizia per il proprio figlio in cambio di soldi. In ogni caso, una vicenda miserrima in cui si è discusso più della colpevolezza di Jackson o di Chandler che del reale stato del bambino.

Nel 2004 una nuova accusa di molestia, si va in tribunale, i capi d’accusa sono 14, vengono presentati testimoni da una parte e dall’altra, ci sono perquisizioni a sorpresa nella tenuta di Jackson e in nessuna emerge nulla di penalmente rilevante contro il cantante. La famiglia del bambino molestato, malato di cancro, è una parata di avventurieri, lestofanti, con precedenti penali, e tutti che si sono contraddetti al momento di testimoniare. Il padre del bambino aveva organizzato una finta raccolta di fondi per le cure necessarie, cure che erano già coperte dall’assicurazione medica. Queste erano le premesse su cui poggiava la credibilità dell’accusa. Ma i media, così come la giuria, si concentrarono molto sulla testimonianza di altri due testimoni che da bambini avevano frequentato assiduamente Michael Jackson, viaggiando, giocando e dormendo con il cantante. Uno dei due era Macaulay Culkin che disse di non aver mai subito nessun tipo molestie o altro comportamento improprio dal cantante. L’altro testimone era Wade Robson che già all’epoca di Chandler aveva testimoniato in favore del cantante e che, di nuovo, ribadisce di aver frequentato e dormito con Jackson decine di volte e di non essere mai stato oggetto di molestie. La giuria dichiara Michael Jackson non colpevole per tutti i capi d’accusa.

Leaving Neverland

Wade Robson è anche uno dei due protagonisti di Leaving Neverland, il documentario diretto da Dan Reed, in cui racconta la sua personale storia di abusi subiti da Michael Jackson e spiega perché, per ben due volte, aveva giurato che non fosse accaduto nulla. L’altro protagonista del documentario è James Safechuck, altro ex favorito di Michael Jackson con una storia di seduzione e abuso affine a quella di Robson. Entrambi, nel 2013, hanno citato in giudizio la Michael Jackson Estate per molestie subite dal cantante, prima Robson per 1,5 miliardi di dollari, poi Safechuck. In entrambi i casi il giudice ha respinto il procedimento per decorrenza dei termini. Oggi, i due hanno trovato nel documentario HBO il mezzo per parlare della loro storia di (presunti) abusi.

Cosa aspettarsi (e cosa no) dal documentario

A questo punto bisogna dire cosa è e soprattutto cosa non è Leaving Neverland. Il documentario non è un altro processo a Michael Jackson, e nemmeno la riproposizione di uno vecchio con nuove prove o testimonianze. Non è un documentario sulle vicende giudiziarie del cantante, né sulla sua vita, per quanto possa sembrare paradossale non è neanche contro Michael Jackson nonostante la sua persona ne venga fuori malissimo. Leaving Neverland è il palco che dà voce alla testimonianza di due vittime che possono esporre le loro esperienze senza, nel mentre, subire loro stessi un processo. Che il (presunto) carnefice sia Michael Jackson è un fatto a cui Dan Reed non permette mai di catalizzare l’attenzione che resta ferma su Robson e Safechuck: Jackson è naturalmente presente, ma solo attraverso le esperienze dei due uomini perché sono loro, stavolta, ad avere il potere sulla narrazione, non gli avvocati, non i fans, non i media, ma loro le vittime. L’intento di Leaving Neverland è il creare un luogo in cui le vittime non sono più subalterne al carnefice ma sono protagoniste della storia, seppur terribile. L’attenzione viene sottratta a Michael Jackson per rendere centrali le emozioni, il turbamento, il trauma e la vita di due adulti sopravvissuti, stando al loro racconto, a un’infanzia di molestie.

Nel documentario troverete due storie raccontate con dovizia di particolari, anche molto crudi, ma non troverete lacrime, singhiozzi e svenimenti, né troverete parole di odio. James Safechuck e Wade Robson ci accompagnano attraverso una vicenda nata come una storia d’amore, in cui però uno dei due innamorati era un bambino e l’altro un adulto dotato di uno star power fuori parametro. Il modus operandi, a quanto pare, era sempre lo stesso. Safechuck incontra il cantante sul set di uno spot per la Pepsi (1987). Robson conosce Jackson all’età di cinque anni dopo aver vinto un contest di danza, ma inizierà a frequentarlo due anni dopo (1990).  Tra Michael Jackson e i due bambini, in momenti diversi, scatta un’immediata intesa tanto che il cantante desidera la loro vicinanza costante: i bambini con le loro famiglie vengono ospitati nella tenuta di Neverland, ricoperti di doni, viaggiano con la star che inizia a frequentare, nel caso di Safechuck, anche la loro abitazione. Quando per gli impegni del cantante la frequentazione è impossibile, Jackson si tiene in contatto con quotidiane e lunghissime telefonate.

I bambini lo amano: è il loro idolo, è gentile, generoso, sulla loro stessa lunghezza d’onda, Jackson è una superstar planetaria che potrebbe trascorrere il suo tempo con chiunque ma sceglie proprio loro! Le rispettive madri sono ammaliate dal cantante e sedotte dalla prospettiva di vedere i bambini crescere e avere successo sotto l’ala protettiva di un personaggio così enorme: dare ai propri figli il permesso di dormire con Michael Jackson, per gioco, non è parso all’epoca nulla di particolarmente strano. La rete di protezione che dovrebbe fornire la famiglia in questo caso risulta inadeguata perché una star come Jackson ne ha allargato le maglie con la sua influenza.

Leaving Neverland

Wade Robson e James Safechuck raccontano di come le serate all’insegna del gioco si siano trasformate in momenti sessuali: Michael Jackson, stabilita una dipendenza affettiva tra lui e i ragazzi, iniziò a molestarli e ad avere contatti sessuali con loro, ma i bambini non avevano i mezzi e la maturità per capire che gli atti che Michael Jackson spacciava per gesti d’amore, giochi tra persone che si vogliono bene, erano violenze. La manipolazione di Jackson, stando ai due racconti, era pervasiva e subdola: abusava di loro stando sempre bene attento a precisare che “gli altri” non avrebbero capito e che anzi se qualcuno avesse saputo dei loro giochi li avrebbe ostacolati o fatti finire in prigione. Quando Robson e Safechuck, a distanza di anni, vengono chiamati a rispondere in merito alle loro esperienze con il cantante non sono in grado di rappresentarsi come vittime di abusi, né sono in grado di vedere nel cantante un orco: i due hanno continuato ad amare il loro abusatore per anni, nonostante la frequentazione da costante fosse divenuta saltuaria fino a cessare del tutto. Safechuck racconta di aver testimoniato nel processo del 2004, allora ventunenne, sotto richiesta del cantante disperato all’idea di poter finire in prigione.

Le quattro ore di documentario sono un viaggio nella memoria e nell’intimo di due ormai uomini che hanno impiegato decenni per elaborare cosa sia realmente successo: l’esperienza con Jackson ha segnato ogni loro singola scelta e si è riflessa su ogni rapporto umano, soprattutto quello con le rispettive madri che, in parte comprensibilmente, abbagliate da Jackson non sono riuscite a proteggere i propri figli.
Dopo quattro ore di documentario gli spettatori sono lasciati soli con le proprie considerazioni. Leaving Neverland non è un processo ma un racconto, un compendio dell’animo umano e di come amore, violenza, illusione e seduzione diventino inestricabili fino a rendere impossibile il desiderio di avere risposte facili e binarie per poter assolvere o condannare senza mettere in gioco noi stessi e i nostri paradigmi: non esistono vittime ideali che denunciano subito dopo l’aggressione, o appena se ne presenta l’occasione, con prove inequivocabili del fatto, e che si comportano come ci aspettiamo. L’umanità è molto più complessa, insondabile e contraddittoria, i carnefici non sono tutti mostri riconoscibili alla prima occhiata, le vittime non reagiscono in modo logico e consequenziale e nessuna vittima, per essere creduta, dovrebbe sentirsi obbligata a una eposizione del dolore perché se la sofferenza non è urlata fatichiamo a crederla.

Leaving Neverland ci chiede molto, ci chiede di ascoltare le vittime e di credere che semplicemente perché per alcuni l’esperienza è stata diversa – Brett Barnes e Macaulay Culkin a tutt’oggi ribadiscono di non aver mai subito molestie – non significa che una realtà debba escluderne delle altre diverse ma non per questo meno veritiere.

Ma se ognuno può trarre le proprie conclusioni, una cosa mi parte certa: Michael Jackson ha scelto dei bambini, li ha coperti di attenzioni, li ha fatti vivere nel privilegio della sua vita da super celebrity, li ha sedotti e irretiti emotivamente, psicologicamente e materialmente, li ha fatti sentire speciali. E poi li ha messi da parte. Circa ogni anno al fianco del cantante spuntava un nuovo miglior amico, un nuovo ragazzino, un nuovo “travel companion“. Michael Jackson ha operato questo ricambio di prescelti senza pensare minimamente all’impatto devastante che avrebbe avuto per i bambini scendere improvvisamente dalla giostra, essere messi di colpo da parte, detronizzati da un nuovo arrivato, essere sempre al suo fianco e poi diventare uno dei tanti. Essere messi da parte da qualcuno che si ama e ci ha fatto sentire speciali è un’esperienza destabilizzante a ogni età, per un bambino privo di mezzi per processare i rapporti umani deve essere terribile. Già solo questo è un abuso.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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