Al di là delle facili ironie – risparmiamocele, dai, visti gli anni passati risulterebbero stantie come le reunion coi compagni delle elementari organizzate via Facebook – è difficile negare che George R. Martin abbia un problema con la conclusione della sua saga. Non ho la pretesa di conoscere il perchè, d’altra parte tra noi due lo scrittore di talento non è senza dubbio quello che sta completando questa frase davanti a un PC. A maggior ragione, non ho tanto meno la pretesa di insegnare a Martin il suo lavoro o di suggerirgli come fare per superare il blocco e portare a conclusione i due volumi conclusivi – a voler essere ottimisti – delle Cronache del ghiaccio e del fuoco.

Per quanto comprenda il disappunto verso l’unica conclusione a cui è possibile giungere sommando gli elementi a nostra disposizione – incluse alcune recenti interviste rilasciate dallo stesso Martin – non sono di sicuro arrabbiato né comprendo chi ritenga di avere il diritto di esserlo. Io in quanto lettore non ho firmato alcun contratto con Martin, il quale non ha nessun obbligo nei miei confronti: questo mi è ben chiaro. Io mi sono limitato ad acquistare i volumi disponibili di una saga in corso di scrittura, senza alcuna garanzia circa le tempistiche di un’eventuale conclusione. Se Martin avesse dunque deciso di passare il resto dei suoi giorni tergiversando per casa in mutande o sorseggiando margarita in riva ad una spiaggia godendosi i soldi della tv, gli unici a poter avanzare pretese sarebbero gli editori a cui Martin debba ancora dei manoscritti per contratto. Sempre che quest’ultimi si siano accorti del mancato arrivo mentre sono intenti a contare gli incassi delle Cronache, ovvio, ma questa è un’altra storia.

Dal canto mio, per quanto l’idea di non arrivare mai a leggere la conclusione della saga così come concepita da Martin mi rattristi, credo che Martin sia libero di fare ciò che vuole col suo tempo, soprattutto se lo iato dal filone principale della sua opera lo porta verso esperimenti narrativi come Fuoco e Sangue , una cronistoria dei 300 anni di regno Targaryen che hanno preceduto la presa del potere di Robert Baratheon raccontata col piglio dello storico.

Abituati alla prosa arguta e raffinata con cui Martin colora i punti di vista dei suoi personaggi eletti a narratori, lo scarto con lo stile asciutto e austero utilizzato per Fuoco e Sangue è netto e straniante. Questa volta il punto vista è unico e oggettivo, o quanto meno, caratterizzato da tutta quell’ambizione di oggettività che può vantare un arcimaestro della Cittadella, ovvero Gyldayn, lo pseudo autore del volume di cui Martin si fa solo fedele trascrittore. Parlo di ambizione all’oggettività perchè il cambio di registro non ha privato Martin di quell’abilità di dire senza dire, di lasciar filtrare tra le righe, colme di parole perfettamente dosate e ragionate, indizi, suggerimenti o vere e proprie illazioni sulle centinaia di personaggi che popolano il suo universo, squarciando veli anche sulla storia ancora in corso.

Perché, in fondo, non si sentiva una grande necessità di un prequel delle Cronache: i dettagli ancora avvolti nella nebbia del passato di Westeros fanno parte della mitologia interna della saga e non appaiono costruiti per essere svelati in seguito, ma piuttosto come spazi in cui consentire al lettore di costruire una mitologia propria attraverso la fantasia. Laddove Fuoco & Sangue va a colmare alcuni di questi spazi, se premura dunque di crearne altri. Il racconto del maestro che si avventura nella ricostruzione della dinastia Targaryen a partire dall’arrivo di Aegon il conquistatore è colmo di sottotesti, e persino di piccoli buchi, legati a tutte quelle informazioni che gli storici del continente non sono riusciti a raccogliere, magari perchè legate a motivazioni personali mai chiarite, o perchè sono andate perse nel tempo.

Ciò che invece non manca è la consueta sagacia di Martin, travasata nella penna di maestro Gyldayn, sempre rigoroso nel confronto della documentazione storica, ma al contempo disposto a dare credito anche alle versioni più irrispettose o pruriginose, appellandosi al dovere dello storico, ovvero quello di dar credito anche alle ricostruzioni provenienti da fonti meno autorevoli. Come Le testimonianze di Fungo, buffone di corte e per questo ritenuto abbastanza stupido, o innocuo, da poter ascoltare fatti e confessioni che si riveleranno materiale prezioso per maestro Gyldayn, non solo per il valore storico, ma anche per solleticare la curiosità del lettore.

 

Sotto la leggerezza del pettegolezzo e delle voci di popolo, Martin attraversa l’evoluzione sociale del continente occidentale scandita dalle edificazioni dei diversi regnanti di sangue Targaryen (strade, porti, o intere città), ma anche dalle conquiste civili, spesso dovute al ruolo determinante di figure particolarmente illuminate a corte. Come Alysanne, moglie di Jahearis, a cui si deve il tramonto dello ius primae noctis, ma anche l’usanza di riunire una corte di donne durante i viaggi istituzionali attraverso il regno, per ascoltarne necessità e problemi.

Al di là di successioni e  lotte intestine, che pur non mancano in questa prima parte dell’opera che copre i 150 di regno Targaryen successivi alla sbarco di Aegon sul continente, è l’attenzione per l’evoluzione della società di Westeros l’elemento più interessante. Anche per me Martin ne fa, subdolamente o inconsciamente, metafora del presente. Quando, ad esempio, maestro Gyldayn deve confrontarsi con la presenza di più versioni che raccontano il medesimo avvenimento storico, che ciascuna legge e dettaglia secondo la propria visione del mondo o convenienza politica. O ancora nella definizione del ruolo politico e sociale della donna, come visto poco fa, o nella descrizione di un popolo umorale, che se preso di pancia può arrivare persino ad assaltare la Fossa dei Draghi.

Il difetto principale di Fuoco e Sangue agli occhi degli appassionati, quello che porterà una fetta dei lettori storici delle Cronache a trascurarlo, è il suo non essere The Winds of Winter, il penultimo capitolo della saga atteso da ormai quasi otto anni. Ma il Martin al suo interno è quello più in forma da diversi volumi a questa parte, entusiasta di sperimentare un nuovo registro linguistico e giocare con le possibilità narrative che questo gli offre, cambiando completamente lo stile a cui aveva abituato i lettori e rimettendosi in gioco. Non male per uno scrittore che, secondo alcuni, non avrebbe più voglia di scrivere.

 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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