Sfogliando l’introduzione di SEGA® Master System: a visual compendium, l’ultima imponente fatica di Bitmap Books, mi è balzato di colpo alla mente quel momento storico in cui il confine tra generazioni di console era così sfumato da risultare inesistente. Forse perchè nessuno ancora ne sentiva la necessità o forse perchè nessuno era davvero consapevole della rivoluzione culturale in atto. Nemmeno SEGA e Nintendo che stavo costruendo un’industria quasi dal nulla. D’altra parte, non esisteva un precedente di ciò che stavano facendo loro, nè ricette collaudate per farlo (per altro, non ne esistono tuttora).

Per dare l’idea della confusione che ancora regnava all’epoca, i videogiochi erano comunemente chiamati giochi elettronici, ma erano considerati più che altro alla stregua di giocattoli. Forse non da parte da parte di chi li realizzava, ma di sicuro da chi li commercializzava in giro per il mondo. In fondo, SEGA e Nintendo venivano da quel mondo e il loro partner commerciali non erano mutati col cambio delle linee produttive. La diffusione di una console piuttosto che un’altra dipendeva da tutta una serie di fattori di cui la novità tecnologica non rappresentava necessariamente quello dominante.

Così, per tutta una serie di ragioni che ero troppo piccolo per capire, Master System e Mega Drive hanno praticamente convissuto per la mia intera giovinezza. Per quanto Wikipedia evidenzi 4 anni di distanza, nella mia percezione le due console hanno condiviso la stessa epoca: in questo senso, la dismissione a pochi mesi di distanza nella seconda metà dei ’90 questa pare confermare il mio filtro di giovane videogiocatore applicato al reale.

Eppure gli anni a cavallo tra ’80 e ’90 non erano la notte in cui tutte le vacche sono nere di Hegel: eravamo bambini che giocavano con qualcosa di inedito, ma la differenza tra il binomio Mega Drive/Super Nintendo e le rispettive controparti Master System/NES erano evidenti già allora, nonostante la confusione generazionale. E il Master System era un fratello minore, senza dubbio: lo dicevano già sia quel bianco asettico sulle confezioni delle cartucce sia il design squadrato della console, che cozzava con quello futuristico e aggressivo del Mega Drive.

Sotto sotto, però, per quanto da possessore di MD non potessi ammetterlo, il Master System aveva un fascino enorme. Una macchina fuori dal tempo che faceva girare con la stessa disinvoltura – ok, sto esagerando – quella che potrebbe essere la migliore avventura di sempre (Alex Kidd in Miracle World) e conversioni da sala giochi all’apparenza non solo irrealizzabili, ma proprio inconcepibili.

Schiacciato dal successo commerciale del NES e offuscato dall’aura mitologica che avvolge da sempre il Merga Drive, il Master System è rimasto così a lungo nell’ombra che la rivalutazione offerta dal visual compendium di Bitmap Books appare non solo gradita, ma necessaria.

Le splash page che presentano una produzione ben più abbondante di quanto si possa sospettare esaltano la bitmap art minimale che il MS sfoggiava all’epoca. Quello sforzo di fantasia richiesto all’epoca, indispensabile per vedere qualcosa di più in quei pixel enormi rispetto alla definizione del fratello maggiore, oggi è un valore aggiunto, uno slancio tra astrattismo e surrealismo in chiave pop-art.

Il primo impulso davanti a SEGA® Master System: a visual compendium è quello di sfogliarlo e riempirsi gli occhi dei classici colori SEGA, ma sarebbe un peccato, perchè la cura editoriale è pari a quella estetica. Ciascuna immagine è accompagnata infatti da recensione postuma del gioco. E se per i giochi più famosi si trova spesso una doppia analisi, le più interessanti risultano spesso essere quelle dei titoli minori o quelle realizzate dagli sviluppatori dell’epoca, foriere di aneddoti e dettagli attraverso cui quella manciata sparsa di pixel assume di colpo tutt’altra forma. Come The Ninja: il classico esempio del gioco per cui per una vita ho considerato il Master System una macchina inferiore. Copertina generica, titolo generico, sensazioni da giochetto amatoriale. Peccato che sotto quella cover art anonima si nascondesse un tie in di Hokuto No Ken, mutilato in occidente da un titolo che nascondeva ogni possibile collegamento.

Come da tradizione dei visual compendium di Bitmap Books, il riassunto per immagini – alcune persino in 3D da osservare attraverso gli occhialini allegati – è il piatto principale del volume, ma non mancano interessanti e abbondanti contorni. Come le interviste che allargano lo sguardo sulla console, ricostruendone i momenti topici attraverso la voce di chi c’era, dalle figure a ancora centrali nell’industria, come Mark Cerny, ad altre rimaste nell’ombra, ma non meno importanti, come Matsuhiro Fuji.

Oltre gli interludi fotografici dedicati al hardware – chi si ricordava le SEGA My card?! – il volume è impreziosito da approfondimenti, ciascuno aperto da una “copertina” in pixel art realizzata appositamente. Ogni singolo articolo di questo tipo, da solo, varrebbe l’acquisto del volume, ma quello che racconta la strana storia di come il Master System abbia conquistato il Brasile, introdotto da un Cristo Redentore che sorregge due pad con le braccia aperte, è davvero l’apice di un volume che trasuda passione, competenza e dedizione da ogni singola pagina.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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