“I soldi sono un ferro da stiro che elimina tutte le pieghe”
Vincere la Palma d’oro e incassare quasi 100 milioni di dollari in tutto il mondo sono obiettivi difficili da raggiungere per qualsiasi film. Riuscire a fare entrambe le cose nell’arco di una manciata di settimane poi, beh, è quasi impossibile. Eppure Parasite (Gisaengchung), ultimo film di Bong Joon-ho (Memories of Murder, The Host, Mother, Okya) ha già già centrato questi obiettivi e non ci sarebbe da stupirsi se tra qualche mese sollevasse anche la statuetta come miglior film straniero agli Oscar. E sarebbe giusto, perché molto raramente, negli ultimi anni, si è visto un film così capace di leggere il presente, decodificarlo e renderlo accessibile a tutti. Parasite è forse il più didascalico dei film del regista coreano, ma proprio per questo risulta essere il più sincero ed efficace, il più diretto e cinico.
La storia, giusto per evitare spoiler e preservare i lettori dai tanti colpi di scena offerti dal film, si può riassumere così: ci sono due famiglie, una molto povera che vive in un puzzolente scantinato e un’altra molto ricca, che vive una villa gigantesca e lussuosa. Per casualità, opportunismo e furbizia, i quattro componenti della prima, vanno a vivere presso i quattro componenti della seconda e succedono cose.
Parasite inizia come commedia, procede come film grottesco, termina in dramma sui generis e oscilla per due ore sfiorando almeno altri tre o quattro generi diversi. La varietà del registro utilizzato ed il ritmo sincopato che alterna momenti di ipercinetica follia ad altri, placidamente introspettivi, tengono desta l’attenzione del pubblico dal primo all’ultimo minuto. Come il recente e meraviglioso Burning (e, pensandoci bene, anche Snowpiercer, in cui a ogni vagone corrispondeva uno step in avanti verso le caste più privilegiate), anche Parasite racconta una storia di “lotta di classe”: la famiglia povera è ingegnosa e composta da persone a loro modo brillanti, quella ricca è la fiera dell’ingenuità e, talvolta, della stolida ottusità: eppure alla prima capita sempre qualcosa che impedisce la completa trasformazione nella seconda: per dirla alla Ken Loach, “su certe persone piovono pietre sette giorni su sette” (e proprio un masso ha un’importanza fondamentale nel film).
Bong Joon-ho prende in prestito elementi da colleghi blasonati come Lanthimos (il gusto del folle e del grottesco) o Kore-eda (difficile non vedere somiglianze tra questa famiglia e quella protagonista di Shoplifters) e li mescola, creando un comic-drama-thriller assolutamente unico e sorprendente, capace di far ridere e riflettere, mentre i ricchi e i poveri del mondo si allontanano sempre di più e in mezzo non resta nulla e nessuno a fare da cuscinetto.
Interpretato magnificamente da un cast eccezionale, guidato dal solito Song Kang-ho, uno dei dieci migliori attori viventi, con valori produttivi eccelsi (clamorosa la fotografia di Hong Kyung-po), Parasite mostra senza giudicare, colpisce sempre le corde giuste, alterna sequenze grandiose e spettacolari (l’alluvione) ad altre, più intime e personali (i “summit” familiari) e conferisce un’importanza unica alle location, le due case, che diventano attrici non protagoniste, parti integranti di un’allegoria terribilmente pragmatica e drammaticamente inquietante.
Per essere buoni al giorno d’oggi, forse, bisogna poterselo permettere.
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