Per avere un’idea di quella che è la storia del genere umano inserita in un contesto molto più ampio, possiamo prendere a esempio il cosiddetto calendario cosmico di Carl Sagan che ha avuto l’idea di condensare in un solo anno terrestre l’intera storia dell’universo, circa 14 miliardi di anni, a partire dal Big Bang fino ad arrivare ai nostri giorni, con ciascun mese a coprire un arco temporale di un miliardo di anni. In questa scala, i primati appaiono per la prima volta appena il 29 dicembre, le 23:54 del 31 dicembre segnano la fine dell’era glaciale, mentre allo scoccare della mezzanotte dell’ultimo dell’anno troviamo la rivoluzione francese, quella industriale, lo sviluppo di scienza e tecnologia, le missioni spaziali.
L’operato del genere umano, su scala cosmica, è dunque condensabile in una frazione di secondo eppure, in questo infinitesimale lasso di tempo, l’uomo è riuscito a farsi artefice di un enorme impatto sul nostro Pianeta al punto che l’era geologica che stiamo vivendo è stata denominata Antropocene (dal greco ἄνϑρωπος: uomo). Il termine fu coniato dal biologo Eugene Stoermer e in seguito venne reso di uso comune dal Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen che nel 1995 pubblicò il libro “Benvenuti nell’Antropocene”.
Secondo gli scienziati, il momento a partire dal quale possiamo parlare di Antropocene è da posizionarsi intorno agli anni ’50, quando le conseguenze del progresso industriale hanno iniziato a lasciare un’impronta decisiva sull’ambiente, con effetti nel corso del tempo diventati forse irreversibili. Da due secoli a questa parte l’uomo è responsabile di cambiamenti avvenuti con una rapidità mai sperimentata prima. A tal proposito leggiamo in un articolo di Scienza in Rete
L’entità, la scala spaziale e la velocità dei cambiamenti indotti dalle attività umane hanno raggiunto proporzioni mai verificatesi in precedenza. I processi ambientali indotti dalle attività umane ora eguagliano o eccedono quelli naturali, la loro scala spaziale è ormai quella globale e la velocità con cui questi cambiamenti hanno luogo è dell’ordine dei decenni, rispetto a una scala temporale di millenni caratteristica dei cambiamenti naturali.
Eppure, stando al sociologo Jason Moore, attribuire la colpa di mutamenti forse irreversibili, ma sicuramente letali per la sopravvivenza della specie umana (v.di riscaldamento climatico di origine antropica), alla generica presenza dell’attività dell’uomo non permette di cogliere la vera essenza della situazione determinata da un ben preciso costrutto economico, politico e sociale: quello capitalistico. È in quest’ottica che Moore conia il termine Capitalocene.
Come spiega Silvio Valpreda nel suo Capitalocene: Appunti di una Nuova Era “Moore ha osservato che in realtà l’umanità è tutt’altro che omogenea e univoca nel rapporto con l’ambiente e che la stratificazioni in classi e un sistema di potere dipendente da vincoli economici all’interno della specie umana hanno un impatto estremamente significativo sulle azioni dell’uomo verso l’ambiente“.
L’autore ha realizzato un testo illustrato a metà strada tra il diario di viaggio e il reportage per evidenziare il filo conduttore che lega le sue esperienze itineranti. Le tappe esplorate sono sei in tutto: la Tanzania, in particolare le pianure del Serengeti, Scozia, Norvegia, Miami, Tokio e infine le francesi isole Lavezzi a sud della Corsica. Mete diversissime tra loro per storia, cultura, collocazione geografica, evoluzione della società, ma tutte hanno in comune l’aver visto trasfigurare il proprio territorio e sistema sociale in modo irreversibile, non tanto dall’intervento dell’uomo per modificare l’ambiente in base alle proprie esigenze, ma da quello dell’uomo interessato alla ricchezza e alla trasformazione della natura in merce da scambiare, vendere, comprare, sempre con lo stesso fine: accrescere il Capitale.
Emblematica è l’esperienza vissuta da Valpreda a Tokio, in particolare nel quartiere di Tzukishima. L’isola che ospita il quartiere un tempo era popolata da pescatori e operai, negli anni però i vecchi abitanti furono spinti ad andare via, e le loro case furono abbattute per far posto alla costruzione di decine di grattacieli i cui monolocali costano cifre inaccessibili ai più. Per questo motivo sono costruzioni residenziali quasi disabitate: pochi possono permettersi di viverci, ma sono ancora meno quelli che scelgono di farlo a causa di una mancanza di vita che caratterizza negativamente quei posti. “Un ambiente creato dall’uomo che non era ospitale per l’uomo: né per il ricco, né per il povero”. Ciò nonostante gli appartamenti che vengono venduti garantiscono un ritorno economico tale da continuare a rendere conveniente la costruzione di altri grattaceli in cui altre persone troveranno respingente abitare. Tutto questo a chi giova? Non agli uomini e alle donne che a queste condizioni sono di fatto meri strumenti del Capitale: l’uomo non agisce più per sé stesso, ma è il denaro ad averlo designato quale strumento per continuare ad affermare il Capitale, e il suo sistema, ovunque sul Pianeta.
Nota
Capitalocene: Appunti da una Nuova Era è scritto e illustrato da Silvio Valpreda. Pubblica ADD Editore
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