Marco Rizzo in posa di fianco al libro vendicatori: 60 anni potenti. Sllo sfondo una pannello colorato dello stand Panini a Lucca.

Editor delle testate Marvel dell’universo mutante pubblicate da Panini, ma anche sceneggiatore, giornalista e attivista impegnato nella sensibilizzazione in difesa dei migranti: Marco Rizzo rientra pienamente nella categoria dele personalità poliedriche. Quando ho iniziato a parlare con lui, in una stanzina dello stand Panini a Lucca al riparo dalla folla, la scaletta mentale che avevo preparato è finita accartocciata già dopo la prima domanda, sostituita da sana e abbondante curiosità.

Come inevitabile, considerata anche la formazione e l’attività extra Panini di Marco, il discorso che doveva vertere sui 60 anni degli Avengers e il libro celebrativo scritto per l’occasione ha in realtà seguito traiettorie più larghe, toccando temi contemporanei i cui riflessi tuttavia sono ben avvertibili anche nelle store di diverse decadi fa. 

Ciao Marco, la prima domanda te la fa il mio fanciullo interiore: come ci si sente a fare il lavoro più bello del mondo?

Bella domanda! Ci si sente bene perché era quello che volevo fare da bambino. Anzi, in verità da ragazzino io li volevo disegnare i fumetti! Un po’ come tutti quelli che scrivono di fumetti o scrivono fumetti [posso confermare, NdClaudio]. Sono un disegnatore fallito [ride, NdC]. Sono fortunato: sono accompagnato da bravi disegnatori, brave persone che completano il mio lavoro. È divertente, ma è anche una responsabilità perché poi, lo sai, i lettori sono impietosi, quindi non si può sbagliare. Però ogni volta che mi capita di occuparmi di libri come questo finisco sempre per scrivere una lettera d’amore verso il personaggio in questione. Per me articoli e saggi sono anche occasioni per andarmi a rileggere le vecchie storie, togliere fuori gli scatoloni dalla cantina e magari scoprire che c’è la muffa. Ma anche quando scrivo i redazionali del mese per le testate Marvel, per me è un’occasione per rinfrescare le mie passioni. Poi avendo una formazione da giornalista adoro cercare riflessi della nostra realtà dentro queste storie a fumetti di gente in calzamaglia che si picchia. Ad esempio, in Avengers: 60 potenti anni c’è un capitolo su Civil War: va contestualizzato dunque il peso di quella saga, uscita mentre in America si dibatteva su Patriot Act e su come gli americani fossero costretti in piena crisi post 11 settembre a rinunciare alla propria privacy per avere più sicurezza. Questi sono risvolti che mi appassionano sempre quando ne scrivo nei redazionali: io scrivo soprattutto per le testate degli X-Men e mi piace un sacco il fatto quel pezzo di Universo Marvel che resti ancora oggi – purtroppo- una metafora dell’integrazione, del razzismo della diversità.

A questo proposito: secondo te com’è possibile che chi legge i fumetti come X-Men, che sono una metafora anche abbastanza esplicita di inclusione e arricchimento dalla diversità, non sia sempre in grado di decifrare quel messaggio? Credo sia lecito avere idee opposte a ciò che si legge, ma spesso i lettori sono convinti che la propria visione sia quella corretta, anche andando contro quella degli autori originali.

Sicuramente quando leggiamo qualcosa abbiamo sempre un bias dovuto anche alla nostra formazione e ovviamente non sono solamente i fumetti a formarci: io dico spesso che la mia formazione e la mia educazione sentimentale me l’hanno data i fumetti, ma non solo loro; evidentemente anche i miei genitori, i miei professori o i maestri più importanti nella mia vita, le mie letture di altro tipo  erano tutte allineate verso un certo sentimento che è proprio un sentimento banale no? Un sentimento di solidarietà, di rispetto del prossimo, di vicinanza ai più deboli: non dovrebbe essere nulla di rivoluzionario, specie in un paese cattolico. Però credo che molte persone  non colgano appieno certi messaggi e si fermino al primo livello, ovvero c’è gente in calzamaglia che si picchia, si lancia raggi laser addosso. Sicuramente qualcuno legge questi fumetti, legittimamente, come puro intrattenimento, senza cogliere che ci sono altri livelli più o meno espliciti. Ad esempio nei primi numeri di X-Men non era così esplicito il tema della diversità. Successivamente è stato Claremont negli anni settanta a rendere più spesso il valore della diversità. Intanto perché le diversità esplicite fisiche degli X-Men nei primissimi numeri, quelli ad esempio quelle di Bestia o Angelo, non erano così mostruose. Angelo aveva le ali ed era bellissimo, Bestia aveva le mani e i piedi grandi: io pure ho mani e piedi grandi! [Ride, NdClod] Angelo è un ariano, un ariano con le ali, è diverso dagli altri però è tutta un’altyra storia rispetto agli X-Men di fine anni settanta che hanno la pelle blu  e le orecchie a punta, come Nightcrawler. Inoltre gli X-men di Claremont non più solo americani, ma internazionali, perché nel frattempo forse perché l’America aveva cominciato a fare i conti con la segregazione e c’erano degli autori sicuramente anche più consapevoli della potenzialità del fumetto di supereroi, Claremont e Byrne su tutti. Mentre per Lee e Kirby era soprattutto intrattenimento, Claremont e Byrne sono di una generazione successiva, per non parlare di Morrison: questi autori avevano un’altra idea di quello che si potesse fare con i fumetti supereroi.
Insomma, la risposta mi è venuta lunghissima, ma in breve: se sei uno che legge X-Men e sei razzista non capisci quello che leggi. Non c’è un altro modo di girarci. Non lo capisci, non ti metti a fare i conti con i personaggi, non ti immedesimi, che forse è il peggio.

Visto che oramai ho deviato sull’X-Men rimaniamo sul tema…

Tanto è anche il loro anniversario.

Esatto! Quindi com’è stato il lavoro sull’era Krakoana degli X-Men, la loro fase più recente (e in fase di conclusione)?

Bello, faticosissimo e divertente perché sono un fan di Hickman. SI tratta di uno di quegli autori che semina tanti piccoli indizi che poi riprende magari anni dopo. Ci sono degli elementi, ad esempio delle scrittine a margine, che in fase di lavorazione ci sembravano degli errori. Io e Luca Scatasta, che cura le traduzioni di Hickman con Fabio Camberini, abbiamo deciso di non toccare nulla, perché potenzialmente fra un anno Hickman potrebbe ritornarci sopra e farci scoprire che tutto aveva un senso.

Coi mutanti è una cosa che secondo me abbiamo imparato da ragazzini leggendo la run di Claremont, ricordo ancora la vignetta con l’occhio di Psylocke.

Esatto, ma con Hickman è stato molto difficile perché intanto siamo molto a ridosso della pubblicazione americana: per quanto noi abbiamo delle anticipazioni e leggiamo alcune cose prima, non abbiamo contezza di cosa succederà fra un anno, quindi pubblicare a 6-7 mesi dall’edizione americana vuol dire spesso correre. Non è un segreto, ci arrivano i pdf e noi li traduciamo il giorno stesso o due giorni dopo, non abbiamo il tempo di far sedimentare i contenuti. Poi è faticoso perché c’è tanto materiale: dopo diversi anni in cui c’erano poche serie X-Men, al momento attualmente con Fall of X in America credo ce ne siano 11 o 12 che noi proviamo a proporre in maniera più succinta possibile, pur proponendole tutte, e quindi anche a livello di coordinamento e di continuity non è facile. Però è divertente perché è un rompicapo, è un sistema complesso, è quello il loro fascino. Poi le storie sono interessanti, sono divertenti ed è un punto di vista diverso, nuovo rispetto al passato. Ora sono isolazionisti, non sono più interazionisti, quindi cambia completamente il paradigma: finalmente dopo 60 anni!

Io ho trovato in questa nuova impostazione di Hickman una lettura molto feroce del presente, in qualche modo anticipatoria: stiamo andando verso un’epoca in cui quello che abbiamo sempre considerato il terzo mondo si sta prendendo lo spazio che gli è stato negato per un serie di motivi convergenti e in qualche modo questa nuova versione degli X-Men, che da minoranza decidono di affermare la propria forza e di non essere più degli esclusi, ma di entrare al galà delle potenze, mi è sembrata una metafora abbastanza forte del cambio di paradigma compiuto da paesi come India Cina. Hai avuto la stessa lettura?

Onestamente, non avevo mai considerato questa prospettiva. Io ci vedevo un parallelismo con Israele, inizialmente perché era come la nascita di uno stato riparatore: è evidente no? Gli X-Men hanno subito tanto, hanno detto basta, adesso dopo l’ennesimo olocausto noi vogliamo stare per i fatti nostri, avere la nostra terra promessa, mettendo insieme anche i nostri nemici. Quindi sicuramente c’è un livello di lettura che sfocia nella geopolitica, forse ancora più alto, come dici tu. Poi chiaramente dipende anche molto dagli autori e da come vogliono impostare questa similitudine, come la vogliono vedere. C’è sicuramente anche una innovazione di natura editoriale. Sono sicuro che Hickman quando è arrivato abbia detto: “Ok, basta combattere per un mondo che ti teme e ti odia; noi adesso diventiamo parte di questo mondo, diventiamo una superpotenza, anzi siamo la più grande superpotenza del mondo perché ognuno di noi è un’arma nucleare che cammina”. Quindi anche a livello di trama questa run è sicuramente innovativa, è diversa e ripeto ce n’era bisogno dopo tanti anni. Però poi ovviamente chiunque ci può vedere qualunque cosa ed è il bello di questa saga interminabile e complessa.

Pensi che davvero stia per finire?

lo ha confermato C. B. Cebulski ieri [è uno ieri lucchese, NdClod]: entro il 2024 finisce. Poi chissà!

Rileggendo invece 60 anni di storie degli Avengers per il tuo volume, hai ritrovato delle storie con una profondità politica o una lettura del mondo che da ragazzino ti era sfuggita?

Gli Avengers sono sempre stati in teoria un po’ meno politici, stati per un po’ la testata sfigata prima dell’avvento dell’MCU e del celebre ciclo di Bendis. Avevo dei vaghi ricordi onestamente delle storie che leggevo da ragazzino e ne ricordavo solo la trama fantastica, ma rilette da adulto devo dire che una visione politica del mondo c’è anche negli Avengers. Persino negli Infamous anni ’90! Ti faccio un esempio con un personaggio sfigato come Rage: personaggio sfigatissimo di inizio anni 90, questo tizio viene dal ghetto, muscoloso, grosso, vestito di pelle, con la maschera da luchador. Viene accolto negli Avengers nel ciclo di De Falco, siamo nel ’90 o nel ’91, insomma proprio all’inizio, ed era il classico personaggio anni ’90, cool, figo. Poi si scopre intanto che i suoi poteri vengono dal ghetto, i suoi poteri originano da delle scorie radioattive, dei rifiuti tossici abbandonati nel suo quartiere e lo cacciano dagli Avengers perché scoprono che è minorenne. Nonostante il suo fisico e il suo aspetto super palestrato, in verità è un bambino! Infatti dice e fa delle cose da ragazzino. Sono gli anni in cui esplodeva la violenza nei ghetti americani, gli anni della rivolta di New York, di Los Angeles e di Chicago. Non è un caso quindi che il nuovo Avenger sia un bambino costretto a crescere troppo in fretta, che viene dal ghetto e che è stato avvelenato e trasformato dalla spazzatura: dimmi se non è politico questo messaggio!

Discretamente!

E ce ne sono altri nello stesso periodo. Io ho riletto di recente Operazione tempesta nella galassia. Quando finisce lo scontro tra queste due razze aliene ci si trova a un punto in cui gli Avengers scoprono che l’intelligenza suprema, questo cervellone gigante sottovuoto – anzi dentro un tubo – che comanda i Kree, aveva devastato la sua stessa razza per invitarla a essere migliore. Per spingere l’evoluzione dei suoi simili, li aveva annientati: sembra proprio una decisione da dittatore, da ragion di Stato pura. Gli Avengers a quel punto si confrontano per valutare se ucciderlo o meno: è un dibattito politico anche quello. Mentre Marvel pubblicava Operation Galactic Storm, in Kuwait era in corso Operation Desert Storm. Il titolo della saga non è casuale, rimandava a una guerra vera combattuta in quegli anni in cui gli americani morivano. In quel caso, quando arrivano a Baghdad gli americani si chiedono: “Ma ha senso adesso entrare a Baghdad e destituire Saddam Hussein?”. Alla fine ha vinto il “fermiamoci qua”, però contemporaneamente c’è stato un grande dibattito condotto all’interno di un fumetto di gente in tutina che si picchia e lancia scudi o martelli. Gli Avengers allo stesso medo si sono posti il problema: “Dobbiamo uccidere questo dittatore che è disposto a sterminare la sua stessa razza o dobbiamo processarlo?”.  Si formano due linee contrapposte tra gli Avengers e queste divisioni continuano negli anni. Per altro c’erano già nei primissimi numeri. Hulk è uno dei fondatori degli Avengers e dopo un numero già litigano. Quando Occhio di Falco entra nel team degli Avengers nel numero #16 vuole spodestare Capitan America dal ruolo naturale di leader ed era un ex criminale! Come diceva Stan Lee, i fumetti Marvel sono il mondo fuori dalla finestra: non è Metropolis o Gotham City che sono città immaginali, ma è New York o Los Angeles. Anche quando vai nello spazio profondo puoi avere delle similitudini con il nostro mondo: questo è il bello dell’Universo Marvel.

Qual è la tua saga preferita degli Avengers?

Oddio, come si fa a scegliere? Adoro alla follia per il suo equilibrio tra classico e moderno il ciclo di Busiek e Perez del 98: lì veramente vedi tutto l’amore per questi personaggi. Poi i disegni di Perez (buon’anima) sono splendidi, sono ricchissimi di dettagli. Perez faceva 22 pagine al mese, con le chine di Al Vey, strapiene di dettagli, strapiene di personaggi, tutte di qualità altissima. Anche lì c’è una storia con Ultron che rade al suolo un paese dei Balcani, mentre c’era la guerra dei Balcani in corso, quindi una serie attualissima e on un livello di qualità seriale degno dei Fantastici Quattro di Lee e Kirby.

Tu invece come ti senti nel ruolo di… come posso definirti? Biografo? Agiografo ufficiale dei personaggi Marvel?

Allora, intanto premetto che condivido questo onere con Fabio Licari, che scrive con me questi volumi e che è un altro grande esperto, nonché mio conterraneo. Riprendo poi la domanda all’inizio: sento una grande responsabilità, soprattutto perché so quanto sono attenti i miei amici nerd. Se tu sbagli un appunto sul colore del costume di Visione ti fustigano in pubblica piazza (cioè sui social!! [Ride, NdClod] Però è molto divertente, il divertimento supera la pressione, anche perché questi libri sono arrivati anche all’estero. Ti dirò di più: in questa collana ci sono due libri che in Italia non si sono mai visti, uno sui Fantastici Quattro e uno su Deadpool. Sono stati pubblicati negli Stati Uniti e in Inghilterra, Deadpool credo anche altrove.

Che rapporto avete avuto con la Marvel in USA durante la realizzazione dei vostri volumi antologici?

C’è uno scambio continuo perché, anche se i libri sono prodotti per Disney, Marvel è il nostro principale consulente; quindi a parte la richiesta dei materiali, eccetera, c’è un editing e una supervisione anche da parte della casa madre di Marvel. Devo dire che ormai c’è una collaborazione che fila completamente liscia, senza problemi. Ormai si fidano, ci conoscono.

Più che altro mi sto chiedendo quando ti arriverà la proposta di diventare ufficialmente il custode della conoscenza Marvel!

Ti racconto una cosa bellissima che mi è appena successa. All’evento che abbiamo fatto per i 60 anni di Avengers e X-Men qui a Lucca, alla fine C.B. Cebulski mi ha donato un albo sul palco, davanti al eatro  del Giglio pieno. Un albo in bianco e nero, di cui ci esistono solo 25 copie, è una copia di uno degli ultimi numeri di Avengers. Mi ha detto: “Di questo albo esistono solo 25 copie al mondo e lo voglio donare alle persone che sostengano e che promuovono la nostra casa editrice e i nostri sogni. Per tutto quello che hai fatto in questi anni per Marvel ti voglio regalare questa copia”. Mi sono inumiditi gli occhi! 

 

A questo punto avrei un’altra serie di domande da fare a Marco, vorrei sapere cosa ne pensa dell’epopea di Douglas Wolk, ad esempio, che ha letto tutte le 27.000 storie Marvel e ne ha scritto un libro, ma il tempo è tiranno- Sarà per un’altra intervista e spero ce ne sia l’occasione perché Marco Rizzo è davvero una di quelle persone che migliorano e arricchiscono il settore del fumetto in Italia. 


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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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