Jonathan Hickman è la cosa migliore che sia capitata agli X-Men da oltre un decennio. A dirla tutta, però, “capitata”  non è esattamente la parola più adatta: uno degli autori più importanti del panorama fumettistico di supereroi (e non solo) statunitense non precipita casualmente sulla principale testata mutante, un tempo punta di diamante per prestigio e vendite del catalogo Marvel, relegata invece negli ultimi anni al ruolo di triste comprimaria. 

L’approdo di Hickman nei panni di gran cerimoniere del risorgimento della storia mutante è arrivato, non a caso, in concomitanza con l’acquisizione di FOX da parte di Disney, che a sua volta controlla Marvel: alla fiera dell’est, dunque, oggi gli X-Men non sono più degli invitati scomodi, esponenti di un franchise che non può essere valorizzato su carta per evitare che un concorrente ne tragga guadagna sul grande schermo, ma un asset da rivalutare. E chi meglio di Jonathan Hickman per riportare i pupilli di Xavier al centro della scena?

Se le fortune degli X-Men hanno coinciso per lungo tempo con quelle di Chris Claremont, sceneggiatore abituato a costruire trame a lunga gittata composte da tasselli affastellati uno sopra all’altro per mesi e anni, nessun altro tra gli autori attualmente in forza alla Marvel era più adatto di Hickman per raccogliere questo pesante testimone. Dopo essersi fatto notare con alcune mini-serie scritte (e in qualche caso anche disegnate) per la Image, in casa Marvel Hickman è riuscito fin da subito a far emergere la sua innaturale capacità di programmazione prima in una serie minore, i New Warriors, poi con due lunghi cicli di storie già considerati cult, su Fantastici Quattro e Avengers

Hickman ha un gran talento per la programmazione degli eventi. Nei suoi cicli di storie piccoli avvenimenti iniziali diventano, col passare delle pagine, indizi e segnali di grossi sconvolgimenti all’orizzonte, in un climax narrativo che porta il lettore a riconsiderare a ritroso quanto letto fino a quel momento. Con gli X-men, invece, la storia è andata diversamente: è difficile ricordare un inizio col botto più forte di House of X/Power of X, le due miniserie introduttive con cui l’autore statunitense ha – letteralmente – riscritto la storia dei mutanti.

ATTENZIONE: DA QUESTO PUNTO IN POI SEGUONO SPOILER

Dodici albi: tanti sono bastati a Hickman per sconvolgere la storia Marvel e rivelare al mondo che Moira McTaggert, considerata la più importante alleata umana della scuola di Xavier, è in realtà una mutante la cui abilità è quella di reincarnarsi ricordandosi gli eventi delle proprie vite passate. Moira ha finora dedicato le sue vite alla ricerca del corretto corso degli eventi che consenta ai mutanti di raggiungere l’autodeterminazione e passare dall’essere una minoranza in estinzione a specie dominante del pianeta. Una ricerca che finalmente è giunta a conclusione. Ora gli X-Men vivono sull’isola (mutante e senziente) di Krakoa, autoproclamata nazione: un paradiso naturale diventato patria e luogo sicuro per tutti i mutanti del pianeta, dagli adolescenti che studiavano presso l’istituto Xavier ad Apocalisse. 

Una bella differenza rispetto all’approccio canonico di Hickman, perchè è diverso il ruolo: non più architetto verticale della propria storia, ma coordinatore orizzontale di un gruppo di testate tutte dedicate al nuovo assetto mutante. Un demiurgo, incaricato di decidere il destino mutante e diffondere il verbo anche attraverso altre autori. A Hickman resta però la testata ammiraglia, X-Men, che riparte da un nuovo #1 in collaborazione col talento grafico del veterano Lienil Yu.

Raccolto da Panini in un bel volume cartonato intitolato principale testata mutante, il primo anno di storie di Hickman & Liu racchiude tutto il senso della missione della testata, ovvero quello di palcoscenico del nuovo corso mutante e al contempo di raccordo degli eventi che si svolgono anche su altre pagine, senza tuttavia privarsi dei classici meccanismi narrativi di Hickman. Ci sono i nuovi personaggi come l’Ordacultura, il trio di arzille vecchiette dedite alla biologia estrema; le entità cosmiche, come l’Evocatore e gli altri figli di Apocalisse; ci sono le infografiche, gli schemi e tutti quei contenuti testuali che da sempre caratterizzano la produzione di Hickman; ma soprattutto c’è un nuovo, grande avversario all’orizzonte, quella Orchis che minaccia l’esistenza mutante non solo (o non più) dal punto di vista fisico, ma mira a indebolirne la legittimità da ogni punto di vista, incluso quello democratico o sociologico. 

La frammentazione dell’universo mutante, concentrato su Krakoa eppure disperso su diverse testate focalizzate su differenti aspetti della vita quotidiana, militare e diplomatica della nazione mutante si presta particolarmente bene ai continui cambi di scena di Hickman, che difficilmente resta focalizzato per più un albo su un evento, chiudendolo in un cassetto per riprenderne il filo narrativo più in là. In questo gioco di incastri e di rimandi, però, ciò che emerge è una lettura totalmente nuova della condizione mutante, riflesso di un cambio di paradigma che lentamente si sta affermando nella società esterna ai fumetti. 

Mentre sul finire degli anni ’80 Claremont dava voce attraverso gli X-Men a una generazione di minoranze che nella società non trovava modo di affermare la propria presenza, oggi attraverso numerosi movimenti di varie forme (di cui #metoo e BLM sono solo la punta dell’iceberg) la legittimazione e l’affermazione della diversità è entrata nei dibattiti quotidiani e istituzionale, e gli X-Men che ci presenta Hickman sono figli del presente: non cercano più un angolo nel mondo in cui vivere indisturbati, ma siedono al tavolo delle potenze internazionali, imponendo il loro riconoscimento laddove non avvenga spontaneamente. 

In questo senso l’episodio più interessante del volume è senza dubbio Economia Globale in cui il trio di rappresentati mutanti composto da Xavier, Magneto e Apocalisse (che a loro volta incarnano le tre anime della nazione) siedono a Davos al tavolo dell’Economic Forum. Mentre nei sottoscala dell’edificio Ciclope e Gorgon sventano con estrema facilità un attacco armato, i tre leader nella grande sala impartiscono una lezione al resto del mondo: i mutanti sono ora in posizione dominante e benché si siano imposti per legge di non nuocere all’uomo, non è detto che le azioni umane non facciano crollare questa volontà. D’altra parte, gli umani sono stati ottimi maestri nel mostrare ai mutanti come si gestisce l’egemonia (culturale e militare) e non è detto che a un certo punto della Storia si trovino a dover imparare la loro stessa lezione. 

Procedendo per strattoni, senza alcun timore di disorientare il lettore, Hickman mette in scena un climax che amplifica in crescendo la portata della sua narrazione mutante, seminando qui e là dettagli della nuova cultura mutante che va imponendosi a Krakoa, mentre volge lo sguardo verso il cosmo, in preparazione di nuove minacce, ma anche di nuove opportunità di sopravvivenza della nazione mutante. 

Più che una ventata d’aria fresca, Pax Krakoa è una bicchiere di acqua gelata lanciata in faccia. Hickman ha preso gli X-;en e li ha trasformati da protettori dell’umanità ad artefici dei loro destini mutanti. Quel che stranisce, e che mette il lettore in una posizione scomoda, è che il punto di vista da cui possiamo osservare la storia è solo quello umano e di colpo le avventure dei supereroi che abbiamo sempre conosciuto non suono più così rassicuranti come un tempo, senza nemmeno bisogno di virare verso lo stra-abusato dark & gritty tanto di moda qualche decennio fa. Bel colpo, Hickman, ancora una volta. 

 

 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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