È da sempre noto, nei circoli degli amanti della fantascienza – ma anche in quelli delle persone con un minimo di buon senso – che la sovrappopolazione del pianeta Terra non può che portarci a grandi falcate verso la catastrofe: con il terzo mondo che figlia come se non ci fosse altro da fare e una (legittima) fame di scalata sociale pari almeno a quella di un occidente incapace di porsi dei limiti, la lotta per le risorse energetiche ed economiche appare ogni giorno che passa come il naturale e ineluttabile corso degli eventi. Ce l’hanno insegnato film, fumetti, videogiochi: l’olocausto nucleare è dietro l’angolo. Ma non è ancora troppo tardi per fare la cosa giusta, tipo togliersi di mezzo anzitempo. Per tutti i coraggiosi che si immoleranno nel tentativo di evitare l’apocalisse, Players ha stilato una classifica dei migliori background musicali da usare come accompagnamento all’eroico gesto: se uno proprio vuole uscire di scena, che almeno trovi una scusa che gli permetta di chiudere il sipario con un po’ di stile.

10. Maximilian Hecker – My Friends

Partiamo con la scusa classica: “A nessuno importa di me”. My Friends, pezzo dell’ingiustamente misconosciuto Maximilian Hecker, per motivi insondabili famosissimo in Corea del Sud, inizia come una semplice ballad per pianoforte che a un certo punto deflagra in violenza noise tanto inaspettata quanto sublime. I versi della canzone, manco a dirlo, sono di una tristezza cosmica: “Are you still around me, my friends / To hear that I have nothing to say to you?”.

9. Damien Rice – Accidental Babies

La canzone dell’uomo che non ha mai superato la sua ex e che come un cane in autostrada ancora non si capacita dell’abbandono. Un uomo, questo, che sta lì a chiedersi se il nuovo lui scopa bene, o se non è forse il caso di ripensarci prima che nascano – accidentalmente – dei bambini. Per chi non ce la fa proprio ad andare avanti e si ripete mentalmente: “Do you brush your teeth before you kiss? / Do you miss my smell? / And is he bold enough to take you on? / Do you feel like you belong? / And does he drive you wild? / Or just mildly free? / What about me?”.

8. IANVA – Italia Ultimo Atto

Per il patriota disilluso. Quello, per intenderci, che vorrebbe amare il suo paese, ma davvero non ci riesce. “Povera patria”, cantava un saggio, “Ma come siamo giunti fin qui? / Non mi riesce di crederci! / Proprio come i cornuti / Sempre messi al cospetto di fatti compiuti, / Poi bestemmia, se vuoi / Antiche scaltrezze da servi da un po’ non ci aiutano / E non è sorprendente che in assenza di quelle non resti più niente / Da giocarci per noi” cantano invece gli IANVA. Che tristezza, viene quasi da ammazzarsi.

7. Johnny Cash – Hurt

All’epoca, Trent Reznor espresse un certo disappunto all’idea che qualcuno coverizzasse Hurt, brano originalmente apparso nell’album The Downward Spiral dei suoi NIN. Questo prima di sentire quello che aveva combinato Johnny Cash, e, soprattutto, prima di vedere il video che accompagnava la nuova versione della canzone, un album di ricordi che farebbe piangere anche una statua. Non più un pezzo su un corpo devastato dalla droga, ma la parabola di un vecchio che, a poche settimane dalla bara, del suo impero di successi non sa più che farsene: “But I remember everything / what have I become? / my sweetest friend / everyone I know / goes away in the end / and you could have it all / my empire of dirt / I will let you down / I will make you hurt”.

6. Anathema – Anyone, Anywhere

L’angolo dei ricordi: se mi fossi ammazzato da adolescente, probabilmente l’avrei fatto con Anyone, Anywhere degli Anathema in sottofondo. Negli anni sono poche le band che sono riuscite a esprimere così bene un disagio che allo stesso tempo sentivo universale e personale (e di cui al momento, fortunatamente, ho solo un ricordo sfocato). Un pezzo dedicato a chi ha un momento di solitudine siderale: “Mankind, with your heresy / Can’t you see that this is killing me / There’s no one in this life / To be here with me at my side”.

5. Canaan – Essere Nulla

Con il clamoroso A Calling to Weakness del 2002, i Canaan, band di culto italiana conosciuta solo nei circoli più underground, ha consegnato al mondo un monumento alla disillusione, allo sgomento, all’usura di una routine quotidiana apparentemente senza via d’uscita. Se Essere Nulla fosse un film, sarebbe il sacchetto di plastica di American Beauty: bello e sgraziato allo stesso tempo, sospinto verso destinazioni ignote da forze su cui non ha controllo alcuno. Facciamoci del male: “Guardami adesso che sono il niente / ho sepolto il mio sorriso / e le mie lacrime alla gente / abbandonato a ogni istante / Chi vuol morire lentamente?”.

4. Elliot Smith – A Fond Farewell

Morto in circostanze misteriose (due pugnalate al petto, ufficialmente autoinflitte), il comunque depresso Elliot Smith si è congedato dal mondo con l’ottimo album From a Basement on the Hill. Fra i vari pezzi dell’album spicca A Fond Farewell, che una volta un’amica definì, senza tanti giri di parole, “la canzone del mio funerale”. Il testo, tra l’altro, non lascia dubbi: “Veins full of disappearing ink / Vomiting in the kitchen sink / Disconnecting from the missing link / This is not my life / It’s just a fond farewell to a friend / It’s not what I’m like / It’s just a fond farewell to a friend / Who couldn’t get things right”.

3. Sufjan Stevens – John Wayne’s Gacy Jr.

A voler essere pignoli, questa non sarebbe esattamente una canzone da suicidio. Se però vi sentite un po’ come John Wayne Gacy, un serial killer americano che si travestiva da pagliaccio che uccideva teenager dopo averli stuprati, ad ammazzarvi dovreste pensarci seriamente. Comunque vada, la colpa sarà sempre della società: “His father was a drinker / And his mother cried in bed / Folding John Wayne’s T-shirts / When the swingset hit his head / The neighbors they adored him / For his humor and his conversation / Look underneath the house there / Find the few living things / Rotting fast in their sleep of the dead”.

2. Joy Division – Love Will Tear Us Apart

Non poteva mancare un pezzo del suicida per eccellenza: Ian Curtis. Nati a Manchester nel 1976, i Joy Division rimangono ancora oggi un punto di riferimento per il movimento post-punk. Curtis si uccise alla soglia del tour americano del maggio 1980, sopraffatto dalla depressione: se non l’avete ancora fatto, fiondatevi a vedere Control, il bellissimo lungometraggio che racconta l’intera vicenda. Curtis, comunque, sapeva da un po’ che non avrebbe retto: “Do you cry out in your sleep / All my failings exposed / Get a taste in my mouth / As desperation takes hold / Is it something so good / Just can’t function no more? / When love, love will tear us apart again”.

1. Clint Mansell/Mogwai – Death is the Road to Awe

Chiudiamo questa macabra playlist con un minimo di positività. Chi ha visto il visionario The Fountain di Darren Aronofsky avrà presente il complicato percorso che porta il protagonista a vedere la morte con occhi nuovi. In Death is the Road to Awe, una traccia strumentale che dall’inizio riflessivo cresce fino a esplodere in un bang rivelatorio, anche voi potrete trovare un senso più alto in quello che state per fare. Morire, ci suggeriscono Clint Mansell e i Mogwai, è l’unico modo per diventare eterni.



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Tommaso De Benetti

Guadagnatosi di recente il sarcastico soprannome di "Caro Leader", Tommaso vive e lavora ad Helsinki. Come è facile intuire, per circa 10 mesi all'anno vive sepolto nella neve, circondato da donne bellissime. Tutto il tempo che gli rimane lo passa ad abbaiare ordini e a prendersi cura di vari progetti, fra cui Players, RingCast e icolleghi.tumblr.com.

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1 Comment

  1. Se posso permettermi, segnalerei anche questa: http://youtu.be/ONrILmYiRhM. Ascoltandola, sento sempre l’impulso di tagliarmi le vene.
    Grazie!

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