MPD Psycho proietta su carta un travolgente turbine d’impulsi sinaptici, partoriti da quella mente lucida e, al contempo, profondamente deviata che scalpita nella scatola cranica di Eiji Ohtsuka, visionario sceneggiatore, già introdotto su queste pagine come coatuore del manga Leviathan (Players 08).

A fare da comun denominatore a entrambe le opere è proprio la cifra stilistica di Ohtsuka, volta a tassellare il piano narrativo con personaggi e avvenimenti all’apparenza slegati tra loro, ma che gradualmente si coordinano l’un l’altro secondo logiche perverse, disegnando un mosaico organico e complesso.

Ciò che emerge, alla fine, è una sorta d’incubo razionale, capace di rendere labile il confine tra una chirurgica analisi politico-sociale e un thriller labirintico, graffiato da scorci surreali, nonché da eccessi splatter. Mentre Leviathan è l’espressione del lato maggiormente simbolico e mistico di questo approccio, MPD Psycho ne rappresenta la controparte più aspra, disillusa, terrena. Nonostante ciò, tutte e due le opere si strutturano attorno a un protagonista sfaccettato, polimorfo, in grado di riassumere in sé differenti individui.

Nel caso di MPD Psycho, il personaggio principale è Yosuke Kobayashi, un giovane detective della polizia di Tokyo, affetto da una forma radicale e bizzarra di schizofrenia. Mentre indaga su un serial killer che uccide le sue vittime mutilandole a morte, il poliziotto viene preso di mira dall’assassino stesso. Quest’ultimo si accanisce sulla fidanzata di Yosuke, amputandole gli arti e chiudendola semiviva in una scatola refrigerata, che il maniaco si cura di recapitare all’ufficio del ragazzo.

Dinnanzi a tanto orrore, la personalità del detective cede il posto all’identità latente di Shinji Nishizono, un freddo psicopatico, che prende il controllo della situazione e giustizia sommariamente l’assassino. Dopo avere scontato la pena per l’omicidio, Yosuke torna al suo lavoro, ma l’uomo, ormai, è solo il corpo ospite di una terza personalità, quella di Kazuhiko Amamiya, un profiler acuto e compassato, chiamato a risolvere il mistero che si cela dietro una serie di feroci delitti perpetrati da vari individui, tutti accomunati dall’avere un codice a barre impresso sull’occhio sinistro.

Inizia, così, una discesa dantesca nell’inferno della psiche del protagonista, il quale continua compulsivamente ad alternare differenti identità, sino a disgregarsi in tante tessere di un puzzle intricato, il cui disegno d’insieme è assai più grande del personaggio e dei suoi alter ego. Da soggetto, la poliedrica figura di Yosuke diventa oggetto, lasciando che sia uno spaccato spietato e corrosivo della realtà nipponica a catalizzare il focus narrativo. In questo modo, Ohtsuka scrosta l’oleografica patina di efficienza da salaryman del Giappone, per fare emergere la realtà cruda di una nazione ricca di contraddizioni e quasi ingovernabile, mettendo a nudo il Paese dello “yura yura teikoku” (del “governo traballante”). In tal senso, tornano alcuni temi cari all’autore, come il delirio di onnipotenza che s’impadronisce dei politici, spingendoli a rincorrere la chimera dell’immortalità, o lo strisciante imperialismo statunitense, di cui il governo giapponese è complice e vittima allo stesso tempo. Parallelamente, l’autore mette in luce con asprezza le reazioni che questi fattori producono nel contesto popolare, il quale diventa l’humus fertile per sviluppare un helter skelter (letteralmente) di atrocità. Non a caso, la trama converge infine verso la figura fittizia di Lucy Monostone, un folle anarchico degli anni Settanta, chiaramente ispirato a Charles Manson.

Sotto il profilo estetico, i disegni di Sho-U Tajima incarnano in maniera eccellente i contenuti dell’opera, grazie a un tratto pulito e incisivo, capace di sposare forme morbide a dettagli disturbanti, rappresentando con macabra poesia gli allucinati soggetti di Ohtsuka. Tanto scioccante quanto profonda, MPD Psycho è un’opera da recuperare senza riserve.



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Piero Ciccioli

Coniuga da anni la sua professione di ricercatore scientifico a quella di articolista e saggista specializzato in videogiochi, cinema d’exploitation, horror, fumetti e nei più disparati prodotti di entertainment d’origine nipponica. Nutre una viscerale predilezione per tutto ciò che è weird e sogna di radere al suolo una riproduzione in cartapesta di Tokyo, vestito da Godzilla.

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5 Comments

  1. MPD Psycho è un’opera da recuperare senza riserve… ;-)

    1. In verità, “recuperare” è riferito a chi ancora non
      conosce il manga (ormai giunto al quindicesimo tankoubon nell’edizione italiana) e vuole
      avvicinarsi all’opera oggi, giacché, da un paio di mesi a questa parte, Panini
      ha varato la ristampa di MPD Psycho, rimettendo sul mercato i primi volumi,
      altrimenti pressoché introvabili.

    2.  Ekidna, niente link diretti a roba pirata.

  2. Agli amanti del genere suggerisco anche “Mai-Chan’s Daily Life“.

    “La categoria a cui appartiene questo manga viene definita “Guro” che,
    stando a Wikipedia, è un genere che fa del pornografico, mischiato al
    gore e al non-sense, i suoi elementi cardine.”

    Link mini recensione

    1. Sì, Mai-Chan è un tantino più “eccessivo” come estetica e, al contempo, meno strutturato sotto il profilo della sceneggiatura, la quale baratta i sottotesti sociopolitici di MPD Psycho con interludi prettamente weird. Diciamo che è in qualche modo più vicino alla poetica di Suehiro Maruo, un artista anch’egli dedito al genere ero-guro.

      Di questo filone (molto importante nel manga nipponico e ancora poco conosciuto in Italia), se ne parlerà in futuro su Players, ma già un accenno l’ha fatto il nostro Paolo Savio nella recensione del manga Shigurui, apparsa sul numero 09 del magazine :-).

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