Vi è mai capitato, mentre vi trovate a bordo di un mezzo pubblico in una città sconosciuta, di desiderare ardentemente di scendere a una qualsiasi fermata e passeggiare per un po’?

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Questa è la sensazione che si ha concludendo la lettura de Le variazioni d’Orsay, l’ultima opera di Manuele Fior edita in Italia dalla Coconino Press. Un’impressione che sembra esser suggerita dallo stesso autore dalla prima pagina: il lettore accompagna una giovane donna, Gisèle, all’appuntamento con Odile, cugina giunta in città in occasione del compleanno della prima e dell’esposizione universale. Un incontro che assume un valore maggiore di un semplice incipit ed explicit: con grazia e semplicità l’autore ci presenta l’originaria struttura e funzione della Gare d’Orsay, la stazione ferroviaria inaugurata il 28 maggio 1900 in occasione dell’esposizione universale. I campi lunghi e la prospettiva a volo d’uccello descrivono splendidamente l’edificio progettato da Victor Laloux, mentre il dialogo tra le due donne ne coglie novità e bellezza. Chiunque abbia visitato il Musée e ne abbia ammirato il gioco tra modernità e antichità potrebbe anche fermarsi qui per lasciarsi andare a queste, poche, pagine.

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Pagine che cedono il passo alla natura trasfigurante del luogo, del museo. Essa coglie un lettore impreparato, distratto, e lo spinge a riscoprire il suo essere un esaminatore: per questo motivo Manuele Fior, autoritrattosi intento a rimirare la Incantatrice di serpenti di Rousseau, non può che essere allontanato. Nella struttura ciclica che caratterizza l’opera, l’attento osservatore è ironicamente proprio colui che reagisce volgarmente al divieto dell’assuefatta ed indifferente custode del quadro. Una reazione dovuta a un processo che l’autore stesso ha colto in un’intervista per Fumettologica, raccontando la visita ai magazzini del museo: «[…] Ti rendi conto che sono semplicemente dei quadri, dei pezzi di legno con una tela dipinta, non dei feticci come ormai son diventati adesso. Riesci a guardarli in maniera disincantata». Si crea un percorso ineluttabile che si snoda partendo da Jean-Auguste-Dominique Ingres, rabbioso e destinato ad assistere alla morte della sgualdrina che ispirerà La sorgente, e conduce ad Edgar Degas. Di lui, così come di Claude Monet, Berthe Morisot e degli altri impressionisti, sono narrate debolezze, follie, aggressività che è impossibile racchiudere nel giudizio frettoloso ed adulatorio del pubblico. Un giudizio che dimentica la fine della vita umana, non destinata a non sopravvivere all’opera d’arte, e che non riconsegna questi uomini alla loro forma originaria: l’essere fauves, bestie.

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Forse è accaduto anche a voi: soddisfatto l’impulso di scendere e compiuta una passeggiata avete raggiunto un’altra fermata e avete ricominciato il viaggio, consci che un altro luogo, magari un gran palazzo, vi stesse aspettando. Non sappiamo se vi sia accaduto, ma crediamo si possa dire che sia capitato a Manuele Fior. Per fortuna.

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Dario Oropallo

Ho cominciato a leggere da bambino e, da allora, non ho mai smesso.

Anzi, sono diventato un appassionato anche di fumetti, videogiochi e cinema: tra i miei autori preferiti citerei M. Foucault, I. Calvino, S. Spielberg, T. Browning, Gipi, G. Delisle, M. Fior e S. Zizek.

Vivo a Napoli, studio filosofia e adoro scrivere. Inseguo il mio sogno: scrivere.

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