“Readiness is all” deve aver pensato la stampa in occasione dell’Amleto di Benedict Cumberbatch e così, prima dell’inizio della tragedia in quel di Elsinore, si è potuto assistere a una farsa via internet.
Quasi ogni produzione teatrale viene rappresentata in preview per un periodo di tempo la cui durata varia in base alle esigenze della produzione. Durante questo periodo lo spettacolo è aperto al pubblico che corrisponde un prezzo inferiore rispetto al biglietto ordinario visto che assisterà a una prima messa in scena suscettibile di modifiche anche sostanziali. La fase di preview è infatti utile agli attori per entrare in parte, necessaria alla produzione per giudicare la risposta degli spettatori, valutare le scelte compiute e, in caso, operarne di diverse. La rappresentazione in questo momento interlocutorio è come se fosse un’ultima bozza, mentre lo spettacolo che andrà in scena per la cosiddetta press night è il testo definitivo mandato alle stampe, ed è in occasione della press night che i critici sono chiamati a recensire lo spettacolo.
Per la prima volta, in occasione dell’Amleto con Cumberbatch, l’embargo che copre il periodo di preview non è stato rispettato e le tanto vituperate fangirl, richiamate dalla sirena Cumberbatch, hanno avuto un contegno da arciduchesse se paragonate ad alcuni professionisti di testate quali Times – soprattutto – Guardian e Telegraph i cui critici si sono affrettati a sfornare una recensione della preview dello spettacolo.
Ad aprire le danze in modo giudicato “non professionale” “di cattivo gusto” “pericoloso precedente” è il Times che con grande classe spaccia questa cattiva pratica per uno scoop, là dove per scoop si intende arrivare non prima dei colleghi, ma semplicemente non essere da meno dei blogger e di chiunque tra gli spettatori sia dotato di un account twitter.
Con l’espressione “Amleto di Benedict Cumberbatch” intendo uno spettacolo con una una regia (Lyndsey Turner), una produzione (Sonia Friedman Production), un teatro (il Barbican) in cui essere rappresentato, ma il nome di Mr Cumberbatch oggi smuove folle, e pesa così tanto in termini di risonanza e richiamo che al momento i progetti in cui è coinvolto vengono definiti il film/lo spettacolo di Benedict Cumberbatch. La sottoscritta, per esempio, ha acquistato i biglietti per settembre 2015 nel lontano luglio 2014: va da sé che nell’era dei social questo si traduce nell’essere un personaggio ad alto tasso di twittabilità, un trofeo per le riprese video da smartphone: fatto, questo, che è valso una reprimenda da parte di Cumberbatch all’indirizzo di tutti quelli che hanno utilizzato il telefono durante lo spettacolo. Ma siamo di fronte a una realtà che non può funzionare da giustificazione per un giornale come il Times: se l’obiettivo è tagliare il traguardo della pubblicazione insieme a blogger o utenti twitter allora perché pubblicare dietro il paywall? Se il pezzo è pubblicato dietro paywall in quanto articolo di critica argomentato da un professionista, perché allora non aspettare la press night?
Il Guardian non è stato da meno piazzando nelle prime righe un bello spoiler: il “to be or not to be” inizialmente era stato collocato in apertura di rappresentazione. Un cambiamento e un impegno notevoli per Amleto/Cumberbatch che si è trovato a dover rendere il tormento filosofico. e lo struggimento morale del monologo, senza avere alle spalle i tre atti a veicolarlo e dovendo poi, sfida non meno ardua anche se meno vistosa, rendere significativo il terzo atto senza il poderoso “to be or not to be“. Ma qui c’è poco da discutere: ricollocare il monologo nell’atto di appartenenza è uno dei cambiamenti apportati dalla regista dopo la fase di preview. Naturalmente i giornali che hanno recensito lo spettacolo durante il periodo di prova hanno poi pubblicato una seconda recensione, l’unica che conta davvero, quella per lo spettacolo finito. Molto rumore per nulla.
E dunque, come è stato lo spettacolo tanto atteso che ha ricevuto valutazioni contrastanti a partire dalle due stelle su cinque assegnate dal Times? Benedict Cumberbatch strepitoso, una messa in scena sontuosa e ammaliante ma “the rest… is silence“.
Nel Fu Mattia Pascal viene detto, in occasione della rappresentazione di Elettra al teatrino delle marionette, che se Oreste si accorgesse di uno strappo nel cielo di carta smetterebbe di essere Oreste e diventerebbe Amleto. L’eroe della tragedia classica si trasformerebbe nell’uomo moderno incapace di trovare il suo posto nel mondo sotto un cielo di incertezze; l’odio verso i colpevoli non guiderebbe lucidamente verso la vendetta ma, come accade ad Amleto, la mente inizierebbe a vagare esaminando le implicazioni morali e filosofiche della vita e della morte.
Benedict Cumberbatch veicola con presenza scenica questo aspetto del principe di Danimarca – e dell’uomo moderno più in generale – così emotivamente instabile, ma anche filosoficamente sorpreso nello scoprirsi fragile, perso senza la chiamata del Destino all’impresa, all’azione eroica. Vendicare la morte del padre non appare un atto nobile, il disvelamento della verità è ottenuto con sotterfugi e attraverso l’alienazione del vecchio sé; la vita sembra una continua e sinistra beffa e il suicidio, forse unica via di fuga, è un atto sacrilego. Benedict Cumberbatch riempe il palcoscenico con un Amleto egoista e accentratore nel suo dolore: medita tra sé sulla natura umana ma i monologhi hanno il potere di essere percepiti come confidenze al pubblico.
Arrivano anche, a sorpresa, alcuni momenti buffi e divertenti in regalo a un personaggio a tratti saccente, spesso crudele, destabilizzato dal suo stesso desiderio di vendetta. L’Amleto andato in scena al Barbican è la tragedia di un giovane uomo – introdotto da Nature Boy di Nat King Cole – che non riesce a penetrare il mistero di cosa sia un uomo nonostante il celebre “what a piece of work is a man“, ma che in compenso crede di aver colto perfettamente la natura della donna “frailty thy name is woman” riuscendo a condurre tutti, sé stesso incluso, verso quella morte su cui tanto si è interrogato.
La rappresentazione funziona bene quando Cumberbatch è in scena da solo, o in un confronto a due, ma nelle azioni corali la carica della tragedia si stempera: il resto del cast è di fatti incolore. Tutti dignitosissimi, ma nessuno in grado di produrre un’interpretazione da ricordare. Benedict Cumberbatch non è un attore che cannibalizza lo spazio degli altri: è, anzi, in grado di valorizzare ed essere valorizzato da una presenza parimenti carismatica, non essere stati al suo passo è una grande occcasione persa per l’intero cast. Non è un caso che Amleto sia l’unico a beneficiare di una messa in scena sontuosa e incantatrice (Es Devlin). Il turchese vibrante del palazzo, la profondità del palcoscenico interamente sfruttata, la scintillante cenere del campo di battaglia diventano una cornice che esalta l’espressività di Amleto, ma che ingloba il resto del cast quasi mai in grado di stagliarsi su tanta bellezza.
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