Prendete L’avvocato del diavolo, spruzzateci sopra un pizzico di Rosemary’s Baby, infilateci qualche attore televisivo famoso, mischiate con una sana dose di trash involontario, un titolo quanto più eloquente possibile, nonché una buona dose di glamour, ed eccovi per le mani la ricetta di questo 666 Park Avenue.
Al posto di Keanu Revees abbiamo qui l’avvenente Rachel Taylor, manager anziché avvocatessa ma ugualmente accompagnata dal partner. Nelle poco modeste veci del demonio, piuttosto che il sempreverde Al Pacino, abbiamo invece Terry O’Quinn, reso celebre da Lost per la sua ambiguità, e qui decisamente più schierato.

Quanto invece ai sapori provenienti dalla pellicola di Roman Polanski, oltre ai temi generali e alla probabile prosecuzione delle vicende, a ispirare gli sceneggiatori dev’essere stata sia la sospetta invadenza degli inquilini, sia la forte velleità demoniaca dell’edificio. In mezzo a queste somiglianze spicca però una differenza fondamentale, quella che riguarda gli esiti: il pathos, in particolare, viene qui azzerato già nella scena iniziale.

Un violinista viene raggiunto da un enigmatico spettatore, il già citato Terry “John Locke” O’Quinn, che gli ricorda che il suo tempo, così come previsto dal loro accordo, è terminato; il prevedibile tentativo di fuga dell’artista si risolve in una maniera altrettanto prevedibile, ma con modalità inaspettate: l’uomo viene letteralmente risucchiato da un pertugio del portone principale, soluzione che ricorda più Jumanji che il Faust. Nel proseguire dell’episodio, altri elementi architettonici si caratterizzano per la loro pericolosità: prima un ascensore killer, poi un muro che imprigiona le anime – peraltro realizzato con una computer grafica di qualità infima – e infine un più canonico morto vivente suicida, tanto per ribadire l’importanza del condominio per i piani del suo proprietario.

Al di là dei cliché del caso – i temi dell’ambizione e tentazione su tutti, qui esemplificati sia dalla voglia di affermarsi dei protagonisti, sia dalla consueta figura dello scrittore e artista maledetto, oltre che da meno nobili desideri carnali – stupisce la mancanza di tensione generale. Ciò è dovuto sia alla scarsa originalità del plot, che però non basta a decretare la scarsa efficacia del pacchetto, basti pensare al background del pur interessante American Horror Story; sia perché una volta intuita la vicenda generale, il diavolo e la sua collezione di anime, la curiosità riguardo al modo in cui questa collezione verrà accresciuta, perlomeno in questo pilot, non è sufficiente e stimolare la progressione narrativa. Non aiutano le già citate soluzioni un po’ pacchiane, né la regia nervosa, spesso con camera a mano, che più che donare personalità visiva finisce presto con l’infastidire.

Il risultato è un’idea interessate seppur non originale, ma sprecata con una scarsa gestione degli ingredienti, che anziché incuriosire il palato promettendo più intriganti portate future, già sazia anche gli spettatori più affamati, nonostante il tentativo di aggiungere carne al sangue e spezie afrodisiache.



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3 Comments

  1. Se posso.. “qualità infiMa”, non “infida”…

    1. E c’hai ragione. Fixo.

  2. Certo che puoi! Grazie della segnalazione, corretto :)

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