Abbandonato, almeno temporaneamente, il ruolo “a doppio taglio” di giudice di X-Factor e doverosamente allontanatasi dalla discutibile etichetta di “clit-rocker”, la pantera nera Skin trova il tempo di realizzare un nuovo album con i suoi Skunk Anansie a tre anni di distanza dal dignitoso, ma non sensazionale, Black Traffic che certo non fu un successo…

Il momento è strategicamente propizio per conquistare le giovani platee ed infatti, questo nuovo Anarchytecture, è un prodotto che in molte occasioni strizza l’occhio proprio a questa fascia di pubblico. Lo dimostrano non solo le chitarre meno taglienti e una maggiore attenzione per le sonorità dance insieme all’uso più techno di synth e drumming , ma anche la masterizzazione più orientata al brit-pop messa a punto da Ted Jensen (Madonna, Coldplay, Green Days) degli Sterling Sound Studios di New York.

Skin

La formazione degli Skunk però rimane quella tipica, composta da Skin, il chitarrista Ace, il bassista Cass e il batterista Mark Richardson e ciò rassicuri chi ha, come il sottoscritto, apprezzato la band agli esordi, negli anni Novanta. Del resto è la stessa Skin a dichiarare che non c’è alcuna intenzione di rompere con il passato, anche se, a suo dire, questo Anarchytecture, fin dal gioco di parole del titolo vuole tentare un equilibrio tra caos e regolarità: Anarchytecture riguarda strutture intangibili – quelle che costruiamo per noi stessi e quelle che sono costruite per noi da mani invisibili. A sostenere queste intenzioni contribuiscono anche i missaggi del produttore Tom Dagelty (Killing Joke, Simple Minds, Siouxsie) che tiene in bella evidenza le linee di basso e i riff di chitarra.

Nell’album troverete dunque i classici intro di chitarra (più o meno distorta) dei brani più tirati (come l’apprezzabile Beauty Is Your Curse) e un po’ delle sonorità post-grunge che hanno decretato il successo della band, insieme a ballad, affascinanti ed emotive, come la nuova bella single-track Death to the Lovers, cantata con la consueta maestria espressiva dalla talentuosa vocalist rapata a zero, cui si aggiungono, però, tracce più convenzionali (e un po’ ruffiane) come l’electro-pop di Love Someone Else o I’ll Let You Down, che ricordano più da vicino Placebo e Garbage (il che non è un bene…).

Anarchytecture

Tutto sommato, dunque, un prodotto abbastanza buono per Skin e Co. che dovrebbe rinverdire i fasti della loro reunion degli anni duemila e garantire un grosso afflusso di pubblico nell’imminente tour europeo destinato a fare tappa anche all’Alcatraz di Milano a febbraio (già sold- out) prima di toccare altre città italiane a luglio. Nota finale, assai positiva, anche il fatto che agli Skunk interessino ancora le cover art dei loro album e che non si accontentino della solita triste fotina di gruppo: la loro copertina è stata, infatti, realizzata (con indubbia originalità) dall’italiano No Curves, artista contemporaneo famoso per le sue opere costruite esclusivamente con il nastro adesivo.



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