Stanza, letto, armadio, specchio è il titolo del romanzo bestseller ispirato al caso Fritzl da cui Lenny Abrahamson (già autore dello struggente e stralunato Frank) ha tratto Room; e la stanza, il letto, l’armadio – ma non lo specchio – sono i migliori amici, gli unici amici, del piccolo Jack.

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Jack ha cinque anni e quei cinque anni li ha trascorsi tutti prigioniero fra le quattro mura della Stanza, in simbiosi con la sua giovanissima mamma, che lì dentro gli insegna a leggere, gli racconta la favola di Alice, gli fa fare esercizi fisici, di tanto in tanto lo fa urlare a squarciagola in direzione della minuscola finestra al centro del soffitto, l’unico pezzo di cielo che Jack ha mai visto. Oltre alla mamma, il bambino non conosce nessun altro essere umano “reale”: nessuno eccetto Vecchio Nick, che ogni notte mentre lui è nascosto nell’armadio borbotta qualcosa di brusco a sua mamma e si infila nel letto con lei.

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I primi trenta minuti di Room hanno una costruzione filmica e narrativa magistrale: ad Abrahamson bastano pochi tocchi affilati per condurci per mano, tremebondi e affascinati, nella vita socchiusa di Jack e di sua madre, una vita anormale ma che è, per lui, la sola normalità conoscibile. Proprio come Alice, però, Jack dovrà aprire gli occhi e uscire (evadere) dal Paese delle Meraviglie quando questo si rivelerà un incubo, un lungo buco buio in cui, sette anni prima, Joy – questo il nome della sua mamma – è precipitata, è stata spinta con l’inganno. La prospettiva del regista è tutta concentrata negli occhi di Jack: è il suo mondo a venire a un certo punto capovolto, amplificato, rivoluzionato. Lui e la madre devono imparare a muovere i passi in una dimensione nuovamente sconosciuta.

La seconda parte di Room è focalizzata sulle difficoltà relazionali e le assurdità dell’altro mondo e paradossalmente noi rimaniamo straniati quanto i personaggi, come se il film cambiasse pelle e genere. Ma è tutta questione di sensazioni: Abrahams, supportato dalla felice scrittura di Emma Donoghue (anche autrice del testo originale) conduce con maestria una partitura emotiva densissima senza mai cedere al ricattatorio, al ridondante, al gratuito (il rischio era altissimo), e dirigendo due interpreti in stato di grazia, gli eccezionali Brie Larson (che ha praticamente già scritto il suo nome sull’imminente Oscar come Miglior Attrice) e il mostruoso Jacob Tremblay. Correte a recuperarlo, a occhi chiusi, senza informarvi, e lasciatevi inondare.



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