Ci son due elefanti e un orso comandante, la lontra telepatica e la cita avida.
Ci vuole davvero poco a trasformare il noto ritornello non-sense per bambini in un riassunto di quel curioso miscuglio di animali e umanità che è Barsk: The Elephants’ Graveyard, l’esordio in campo fantascientifico di Lawrence M. Schoen che ha saputo conquistare una nomination all’ultimo premio Nebula.

Il romanzo più fresco e sorprendente in un’annata davvero poco innovativa nel comparto SFF l’ha tirato fuori uno che di lavoro fa il klingonista, ovvero l’esperto linguistico per la razza aliena più crudele all’interno dell’universo di Star Trek.

Nel lontano 1987 gli venne chiesto se volesse scrivere un racconto per una rivista studentesca quantomeno bizzarra, tutta incentrata sul tema dell’antropomorfismo.
Da quell’idea remota e con aiuto di parecchi esponenti della stessa SFWA (science fiction andy fantasy writers of America) – nei ringraziamenti vengono citati Nancy Kress e dell’editor di Tor Marco Palmieri- nacque quest’epica spaziale bizzarra e affascinante che coniuga le razze animali di Zootopia, i loro istinti divulgati dagli Angela via Super Quark con l’interesse mai sopito dei linguisti (vedi recenti uscite italiane di Ted Chiang – e China Miéville) per le speculazioni fantascientifiche.

A voler essere pignoli e a voler citare Larry Niven, gli elefanti spaziali non sono una completa novità, ma certo il soggiorno sul paludoso e insalubre pianeta Barsk è un viaggio ben diverso da quelli apocalittici e distopici a cui ci hanno abituato le ultime tendenze della SFF letteraria. La società dei fanti, bizzarre creature antropomorfe discendenti dei pachidermi terrestri ma erette su due zampe e dalle capacità intellettive e linguistiche notevoli, è sufficientemente bizzarra, folklorista e contraddittoria da catturare il lettore sin dalle prime pagine. Tra le razze antropomorfe che si sono spartite l’universo, i fanti sono gli unici sprovvisti di peluria o pelliccia, caratteristica che ha favorito la loro ghettizzazione e fenomeni di razzismo nei loro confronti. Isolati su Barsk, nel corso dei secoli hanno fondato una loro società matriarcale (come da indole della specie) e tradizionalista, non priva di contraddizioni interne e superstizioni malevole.

A salvarli dal genocidio, seppur confinati su un pianeta così umido e malsano da essere stato disertato da orsi, lotre, scimmie e cani, è il monopolio sulla produzione del koph. Gli elefanti in questione sono gli spacciatori universali di una ricercatissima e molto costosa droga, gli unici depositari della ricetta per realizzarla. La loro storica matriarca Margda elaborò un trattato di pace con le altre razze proprio sulla base di una fornitura continua del prezioso ritrovato, da cui creò anche una sorta di processo telepatico con i deceduti. Fu proprio lei – personaggio tutt’altro che secondario nonostante sia deceduto da secoli – a elaborare la pratica sciamanica (e le proibizioni connesse alla stessa) per richiamare le microparticelle molecolari lasciate dai fanti deceduti, in modo da poterli evocare in una sorta di dialogo con l’aldilà molto proficuo.

There’s really only one choice you ever have to make in any act of creation. Will you be the instrument or the artist? If you’re only now coming to realize that you’ve been a tool all your life, there’s no one to blame for it but yourself.

Qualcuno però si è stancato di dipendere dai fanti per la produzione del koph e, violando il trattato di tutela della specie, sta cercando di ottenere la formula segreta della droga per poi portare a termine quel genocidio interrotto secoli prima.

A questo punto entra in scena la lontra ninfomane ed edonista, la trama decolla verso territori troppo spoiler per questa recensione a un ritmo sostenuto e con uno stile di scrittura piuttosto lineare, rendendo questo esordio fantascientifico non imperdibile ma sempre gradevole e di scorrevole lettura, aiutato da uno scenario animale fresco e talvolta imprevedibile.
A smorzare un po’ quell’allegoria di umanità parecchio oscura che gli animali incarnano dall’antecedente orwelliano di La fattoria degli animali in poi ci pensa un finale fin troppo aperto a sequel (già confermati) e curiosamente fin troppo simile a quello di The Fifth Season di N.K. Jemisin, vincitore dell’ultimo premio Hugo.

Smorzando anche le svolte più feroci e violente attraverso la spiritualità dei suoi giovani protagonisti di saggezza elefantina, Barsk sarebbe una lettura stimolante per gli appassionati italiani di fantascienza, intrappolati nelle logiche lette e stralette in un’ottica che tende a sovrapporre l’intero genere a un’unica, ben definita e fin troppo datata incarnazione. Sarebbe, perché al momento non ci sono notizie di un’edizione italiana. Peccato davvero. Oltre a poter diventare una lettura intrigante anche per i nuovi lettori di genere che cercano l’anello di congiunzione tra young adult e adult fiction, quel coefficiente di inaspettato che è il punto di forza di Barsk sarebbe un vero toccasana anche per il mercato italiano.

Disclaimer: la casa editrice del romanzo ha fornito a titolo gratuito una copia del libro in cambio di un’onesta recensione del titolo, ovvero quella che avete appena letto.



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