C’era una volta una piccola coniglietta che sognava di unirsi alle forze dell’ordine e debellare le ingiustizie, le discriminazioni e il bullismo della legge del più forte.

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Con le sue colleghe, le eroine Disney, la minuta badass Judy Hobbs ha in comune solo la caparbietà: è una protagonista pienamente moderna, rappresenta la minoranza per antonomasia del regno animale (è una preda, ha una statura minuscola, ed è una femminuccia), ha due genitori vecchio stampo, di mente abbastanza aperta eppure legittimamente apprensivi, è infervorata da un american dream progressista, che pompa nelle vene intricate dell’agognata metropoli Zootropolis, un trionfo visivo, un’esplosione di colori, sfaccettature, sapori, una varietas incontinente e millimetrica di specie, intuizioni ed elementi costitutivi .

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La sua parola d’ordine è puntualmente “non arrendersi”, ma il divario tra volere e potere la colpisce in faccia quando si ritrova svilita dal mobbing pregiudiziale dell’ufficiale capo della polizia che non ha intenzione di dare una chance alla prima della classe. Zootropolis è l’America, dunque, soprattutto nelle sue falle, nella difficoltà di dare e ricevere fiducia, nelle frustrazioni e nelle delusioni (la pecorella sfruttata dal sindaco), nella mancata corrispondenza delle nostre aspettative con la realtà (i più piccoli sono i più tosti, non solo nel caso di Judy ma anche in quello del “padrino” toporagno Mr. Big, e i nemici naturali possono rivelarsi amici insperati, come nel caso della volpe Nick), e la celebrità di cui all’improvviso ci investe può abbagliarci (Judy stessa cade nell’imbroglio “lombrosiano” per cui i predatori grandi e grossi sono cattivi per natura).

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Proprio quest’ultimo discorso è il più interessante del film, che pone sullo stesso piano inevitabili buoni e cattivi programmatici, e nel colpo di scena finale ribadisce la necessità di annullare le sottovalutazioni pericolose e i confini controproducenti tra maggioranze e minoranze, un messaggio che riesce a passare senza ridondanze nel percorso istruttorio a tappe dell’azzeccata coppia protagonista, percorso forse risaputo e un po’ meccanico a chi è avvezzo alla tipologia d’intreccio, commedia gialla che funziona più nel primo che nel secondo genere, ma oliatissimo e godibile.

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A essere troppo invadente è piuttosto lo “spammone” nei confronti di Shakira e la sua canzone che fa da traino portante del film, ma è un peccato veniale per un buddy movie d’animazione democratico, intelligente (d’altra parte Byron Howard è il papà dai bellissimi Rapunzel e Ralph Spaccatutto) e maledettamente divertente.



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