Appena cominciata la terza stagione di Fargo (Noah Hawley, 2017-), seguita in concomitanza con un’altra attesissima terza stagione: Twin Peaks – Il Ritorno, ho immediatamente avvertito la sensazione che, in maniera sen’altro distinta e con obiettivi sicuramente diversi, le due serie tv si confrontassero con analoghe atmosfere, si servissero di simili suggestioni, approdassero alle stesse aporie. Il crime drama, quello di Twin Peaks, sovrannaturale e irrisolvibile, sembrava riecheggiare nei giri “a vuoto” degli ingranaggi di Fargo e nelle dinamiche spezzate delle mosse – perlopiù fallimentari – dei personaggi. C’è anche una loggia – la deserta sala da bowling, con il bancone in formica verde attorno al quale affrontare le trattative per nuove esistenze – e un ambiguo Ray Wise, entità oscura e onnisciente in grado di operare fuori dal tempo e dallo spazio narrativi. E poi c’è il tema del doppio, il doppelganger in Twin Peaks e i gemelli in Fargo, versioni alternative tenute insieme da una comune pulsione: riconquistare ciò che è proprio o solo dovuto, a costo della propria vita.
Doppi di cui non si sa dire chi sia il “buono” (o lo scemo) e chi il “cattivo”, quello pronto a tutto e quello semplicemente in balia delle contingenze. Di diverso c’è solo uno stato di lucidità, o meglio, di autocontrollo dei personaggi che, se nelle vicende di Lynch appaiono manovrati da un manipolo di entità sadiche e impietose, nella serie prodotta dai Coen restano vincolati a un destino ineluttabile, tanto paradossale quanto aleatorio. Tale lucidità (o mancanza di lucidità) pare interessare anche gli snodi narrativi, le metafore, le sonorità, in cui poter riscontrare coerenza e finalità, o quantomeno prevedere un epilogo – che c’è, pur sfuggente, in Fargo, e che non c’è, perché completamente rimosso, in Twin Peaks.
Ambientata nella contea di S. Cloud, Minnesota, la storia ruota attorno alla faida dei fratelli gemelli Emmit e Ray Stussy (Ewan McGregor), il primo ricco e avido imprenditore di una catena di parcheggi a pagamento e il secondo povero e avido agente di custodia intenzionato a sposarsi con la pregiudicata Nikki Swango (Mary Elizabeth Winstead). Quando Ray rivendica la proprietà di un raro francobollo sottrattogli in giovane età da Emmit, le cose cominceranno a prendere una piega inaspettata. Tra minacce ed equivoci, farsa e tragedia, la rivalità degli Stussy produrrà una reazione a catena davvero inarrestabile.
Se il motore che muove le vicissitudini in Fargo è la giustizia, una giustizia che non è mai divina ma umana (pubblica e privata), in Twin Peaks la giustizia è sovrannaturale, incomprensibile e spesso inaccettabile. Ciò che accomuna le due serie è che non c’è spazio né per la preghiera né per la speranza, una frizione che genera la stessa coinvolgente dose di imprevedibilità. Certamente la precisione compositiva e la chiarezza espositiva prestano Fargo a una lettura più puntuale rispetto al suo corrispettivo onirico (Twin Peaks), ma ciò che vi si apprezza maggiormente sono la credibilità dei personaggi (e delle prove attoriali) e le coincidenze a orologeria, configurazioni che, soffocate nelle coltri di neve e foschia che inghiottono gli scenari di Fargo, promuovono un opportuno e tollerabile grado di assurdità. Fargo come Twin Peaks, gli Stussy come i Cooper, Varga come Judy, il bianco della neve e il nero dell’olio bruciato, il positivo e il negativo di una catastrofe che, alla fine, non si capisce se si è verificata o meno. Vedere per credere!
BONUS:
La review della prima stagione
La review della seconda stagione
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