Fargo: pietra miliare

Nota:Nonostante si cerchi di essere sempre “sul pezzo”, capita che alcune chicche vadano perse. La prima stagione di Fargo risale oramai a un anno fa, ma data la sua qualità non potevamo non coprirla, seppur in ritardo.

“Lo sapevi che San Lorenzo è stato bruciato vivo dai Romani? Lo fecero perché era cristiano? Forse. Ma io credo che lo fecero perché i Romani sono stati allevati dai lupi. Il più grande impero della Storia umana, fondato dai lupi. Sai quello che fanno i lupi? Cacciano. Uccidono”.

Un uomo guida un’auto, di notte, mentre la neve cade dritta e interminabile, come gocce di sangue. Quell’uomo si chiama Lorne Malvo, ed è stato lui a declamare tale monologo nichilista sull’insita bestialità dell’essere umano, uno dei momenti più alti e uno dei migliori pezzi di sceneggiatura di Fargo.

Una miniserie tv capace di essere all’altezza e quasi di superare (sì, avete letto bene) la fonte originaria, il capolavoro a cui s’ispira: l’omonimo film dei fratelli Joel e Ethan Coen. Eresia? Assurdità? Be’, guardatela e capirete. Considerate la profondità tematica e la perfezione della partitura compositiva che l’autore Noah Hawley (Bones) è riuscito a raggiungere, beatevi delle interpretazioni spaventosamente eccelse di un sublime e mefistofelico Billy Bob Thornton (per il ruolo di Malvo premiato con il Golden Globe e il Critics Choice Award), di un meschino e subdolo Martin Freeman e di una coriacea e coinvolgente Allison Tolman.

Concedetevi di rimanere avvinghiati e abbagliati da una costruzione narrativa che si getta in picchiata in una discesa infernale, a costruire un girone tutto nuovo espressamente riservato all’homo sapiens del nostro secolo. Un uomo medio e vile, un uomo che diventa spietato e arrogante, un uomo disposto a mentire, bluffare, uccidere e spiaccicare qualsiasi morale pur di mettere le mani su un futuro denaroso; un uomo come tutti noi, un uomo normale, la cui banalità del male è più spaventosa di un killer filosofo e silente che più che essere umano è una macchina gelida a salve, che ha scelto il “cinismo cosmico” e ci ha avvertiti a non scrutare troppo a fondo nell’abisso.

Composto da dieci, secchi episodi che sono un film lungo dieci ore degno delle più prestigiose kermesse cinematografiche, Fargo dei Coen conserva l’occhio sarcasticamente sgomento sulle microvicende agghiaccianti e nonsense dei personaggi che segue ma estende il respiro e lo sguardo – forte della capienza temporale della serialità – mettendo a fuoco un universo anti etico che si muove sul filo del thriller, della commedia nera, del dramma doloroso che non può né vuole conoscere eroi, in cui la legge del più forte è oggi la legge del più furbo, che è disposto a trovare pace in una piccola famiglia nata per caso ma che non può distogliere gli occhi dall’ombra che tornerà sempre a calare e a corrompere, senza che qualcuno ci possa salvare. Perché “non ci sono santi nel regno animale. Soltanto pranzi e cene”.