Un eroe invincibile ma non troppo, cattivi che spuntano da ogni angolo, colpi di scena e tanta musica: Marvel apre il terzo arco narrativo della sua minisaga dedicata ai “Difensori” (il prossimo e ultimo sarà Iron Fist, il prossimo anno, prima di vedere tutti gli eroi agire assieme) con quello forse più problematico e delicato da trattare, Luke Cage.

Si cambia location, passando da Hell’s Kitchen ad Harlem, ma la sostanza è sempre la stessa: mentre eroi e villain dichiarati se le danno di santa ragione, c’è sempre qualche politico o “potente” pronto a gabbare tutti e dimostrare di essere più pericoloso del peggiore dei criminali. Luke Cage non fa eccezione, ma rispetto a Daredevil e Jessica Jones, citati più volte e con il personaggio di Rosario Dawson a fare da collante tra le serie, stavolta la storia è più densa e verbosa e all’azione dura e pura si sovrappongono trame e sottotrame che vedono coinvolti almeno una mezza dozzina di altri personaggi.

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Questa densità porta qualche svantaggio (alcuni episodi centrali hano un ritmo decisamente lento e compassato) ma alla fine si dimostra vincente e perfettamente coerente con lo spirito che anima questo progetto, parallelo ma antitetico a quello cinematografico degli Avengers, decisamente più ricco di suspense e idee ed orientato verso un pubblico più adulto, più disposto ad accettare che gli eventi narrati “si prendano il proprio tempo” per svilupparsi.

Luke Cage con il suo (quasi) invincibile eroe per caso, nero in un quartiere di neri, aggiunge due tasselli inediti alla narrazione Marvel: la musica, che ha un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella definizione del background e dei personaggi e la Storia dei neri americani, passata e presente, e delle loro lotte per la libertà e l’eguaglianza.

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L’attenzione meticolosa della sceneggiatura di Cheo Hodari Coker (segnatevi questo nome) alla black culture (The Barbershop…), gli infiniti riferimenti a persone, luoghi, situazioni di quell’ambiente specifico (e alla blaxploitation anni ’70) , i fantastici dialoghi e alcuni veri e propri colpi di genio (il cameo di Clifford Smith/Method Man dei Wu Tang Clan in una delle puntate finali) rendono Luke Cage ben più che una semplice miniserie con supereroi, ma un lungo noir di stretta attualità che parla di libertà, giustizia, politica, sociale e, beh, sì, anche superpoteri.

Ottimo il cast: Mike Colter, sornione il giusto, dà forma a sostanza all’eroe, e non meno efficaci sono Mahershala Ali, un sosfisticato Cornell “Cottonmouth” Stokes e Simone Missick, una volitiva Misty Knight. La migliore? Alfre Woodard, che conferisce alla politica locale Mariah Dillard, una determinazione unica e un fascino luciferino. Insomma, Marvel e Netflix han fatto centro anche questa volta.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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