2045: La Terra è diventata un luogo inospitale a causa dell’inquinamento e della sovrappopolazione. Gli uomini si rifugiano così in OASIS, un gioco ambientato nella realtà virtuale, in cui ognuno può cambiare identità e diventare ciò che vuole. Wade Watts, appassionato di OASIS, si cimenta nel “Gioco di Anorak”, una serie di sfide create dall’ideatore del gioco, James Halliday, morto da poco, che mette in palio un’immensa fortuna. Anche la multinazionale IOI ha però lo stesso scopo e per raggiungerlo è pronta a fare di tutto…

Che Ready Player One fosse una patata bollente lo dimostrano sia gli otto lunghi anni trascorsi dalla acquisizione dei diritti da parte di Warner (contestuale all’uscita del romanzo di Ernest Cline nelle librerie) alla sua effettiva trasposizione cinematografica, che il fatto che prima che a Steven Spielberg, la pellicola sia stata proposta a molti altri registi di grido, quali Christopher Nolan, Robert Zemeckis, Matthew Vaughn, Edgar Wright e Peter Jackson. A pensarci bene però, Spielberg avrebbe dovuto essere il primo nome a venire in mente ai produttori perchè lui, a differenza degli altri, dagli anni ’80, non si è mai davvero allontanato e il passo talvolta anacronistico di alcune sue pellicole recenti (The BFG in primis), lo rende perfettamente idoneo a portare sullo schermo una storia piuttosto banale ed il cui unico fascino, per quanto concerne la pagina scritta, consiste(va) nella quantità infinita di citazioni “vintage” disseminate da Cline tra le pagine del suo libro.

Il punto è che se nel 2010, anno di uscita del libro, gli anni ’80 non erano stati ancora oggetto di venerazione postuma e di recupero coatto, effettuato spesso senza separare ciò che di quel periodo c’era di buono e meno buono, negli ultimi anni siamo stati letteralmente subissati da serie, film, persino dischi e videogiochi che ammiccano pesantemente a quel (magico, va detto, e chi non lo ha vissuto s’è perso parecchio) decennio. Così Spielberg prova, spesso riuscendoci, a stare sempre un passo avanti al libro, sfruttando la sua innata capacità di creare sequenze memorabili (quella ambientata “dentro” Shining è probabilmente la cosa migliore vista quest’anno al cinema, e c’è il rischio che questa affermazione, fatta a fine marzo, sia ancora valida a dicembre…) e di dare un minimo di spessore e carisma ai personaggi.

Se dal punto di vista registico Ready Player One funziona benissimo, il trucco magico non riesce invece relativamente ai protagonisti, tutti piuttosto banali, prevedibili e drammaticamente bidimensionali, fatta eccezione per il villain, magistralmente interpretato da Ben Mendelsohn, oramai abituato a fare la parte del cattivo. Ma per questo si può dare tranquillamente la colpa a Cline, che aveva investito il 101% delle sue risorse mentali nella ricerca matta e disperatissima del dettaglio più particellare ma al tempo stesso iconico da dare in pasto al suo pubblico di geek nostalgici (per dire, il computer di bordo della DeLorean si chiamava Kitt…).

Passando oltre ad alcune assurdità concettuali che probabilmente un nerd doc sarebbe il primo a far notare (possibile che se a OASIS gioca tutto o quasi il genere umano, la gang del protagonista sia composta da persone più o meno della stessa età e che apparentemente abitano a un tiro di schioppo l’una dall’altra?), l’aspetto ludico di Ready Player One diventa, a seconda dell’osservatore, la sua carta vincente o perdente.

Tantissimi saranno entusiasti di passare due ore e passa a cercare di riconoscere tutti i “camei” presenti nel film (anche se non è molto chiara la ragione della nutrita presenza di personaggi “moderni”, pescati ad esempio da Halo e Overwatch) e probabilmente saranno i primi a esaminare frame-by-frame il Blu Ray quando uscirà. Tutti gli altri si troveranno a dover assistere ad uno spettacolo già visto in mille salse diverse e completamente privo di idee “originali”, in cui nessuno degli spunti di riflessione potenziali viene minimamente approfondito. Come gli arcade da sala giochi degli anni ’80, Ready Player One stupisce e diverte, ma per un periodo di tempo piuttosto limitato.

Mentre tanti, troppi videogiochi diventano (pessimi) film, stavolta è accaduto il contrario: Ready Player One è il cinema trasformato in videogioco. Sicuramente piacerà a tutti coloro che da sempre pretendono una celebrazione ufficiale della cultura videoludica, ma non siamo ancora del tutto sicuri che questo fosse l’omaggio di cui si sentiva il bisogno…



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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