C’è un filo rosso che collega La vita segreta di Andrew O’Hagan con Essere una macchina di Mark O’Connell, anzi, un filo azzurrino come il colore scelto per entrambi i volumi – suppongo non a caso – da Adelphi per lo sfondo di copertina.

Perché se O’Hagan col suo trittico di saggi si proponeva di trovare risposta a un quesito primordiale, “Chi siamo”, indagando come le tecnologie abbiano cambiato il nostro concetto di identità, O’Connell con la sua esplorazione della galassia transumanista assume su di sé un compito ancora più complesso, ovvero quello di azzardare una risposta alle altre due domande che da sempre accompagnano la ricerca di noi stessi: dove andiamo? e perchè?

Secondo i transumanisti, verso un futuro in cui uomo e macchina riusciranno infine a fondersi, liberando le carnose spoglie mortali da quell’angosciante conto alla rovescia verso la fine dei giorni a disposizione. Ovvero un’epoca in cui, per usare le parole di Peter Thiel, uno dei fondatori di PayPal, la più grande forma di discriminazione al mondo sarà superata, un orizzonte luminoso per la cui realizzazione i capitani coraggiosi della Silicon Valley stanno riversando milioni di dollari, reinvestendo una piccola parte delle enormi cifre guadagnate negli ultimi anni. Si potrebbe fraintenderlo come un costoso passatempo, una sorta di moda per maschi bianchi e milionari, ma non è così: il ritratto che emerge dalla ricerca di O’Connell attraverso l’America è a cavallo tra filosofia e religione.

Il transumanesimo (o transumanismo, a volte abbreviato con >H o H+ o H-plus) è un movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l’invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post umana.

Un prospettiva che che racchiude in sé buona parte di quei paradossi e di quelle contraddizioni che nutrono il terreno di quell’angolo di California che è oggi culla dell’evoluzione tecnologica. Una regione che accoglie industrie il cui valore è pompato dal ultra-capitalismo della finanza internazionale, ma che a loro volta producono neo-milionari radicali impegnati a combattere sfide così enormi da superare la prospettiva umana. Secondo O’Connell è l’effetto dell’iniezione di ottimismo generato dall’evoluzione tecnologica, il cui influsso si irradia per tutta la valle, figlio o forse evoluzione moderna di quel movimento che ha attraversato la California negli anni ’60 immaginando la possibilità di un altro futuro attraverso un’ingenuo pacifismo.

La principale vittima di una visione così apertamente possibilista verso eventualità che suonano alla stregua di deliri fantascientifici alle orecchie dei profani – uploadare la coscienza su un hard-disk?! – è il conflitto sociale, derubricato a male moderno di cui il futuro si prenderà cura come conseguenza inevitabile dell’evoluzione. Viene naturale alzare un sopracciglio di fonte all’idea di salvare l’umanità allungando la vita media fino ai 500 anni, quando la vita sull’intero pianeta potrebbe avere una scadenza ben più ravvicinata se il costante aumento nelle temperature dovesse proseguire anche solo alla velocità attuale. Senza contare che un simile obiettivo potrebbe essere raggiunto solo attraverso tecnologie a disposizione di pochissimi eletti: non esattamente il modo migliore per annullare le disuguaglianze.

Considerazioni simili filtrano in modo abbastanza evidente tra le righe scritte da O’Connell. Non gli sfugge, ad esempio, la contraddizione incarnata da Zoltan Istvan, filosofo candidato alle presidenziali USA del 2016 quale esponente dell’auto-proclamato Partita Umanista, che ha girato gli Stati Uniti a bordo di un bus addobbato come una bara ambulante con dei freni così mal ridotti da trasformare ogni discesa in un rischio mortale, mentre tentava di sensibilizzare il suo lettorato al problema rappresentato dalla nostra data di scadenza.

Istvan però è solo la faccia più eccentrica di un movimento che oscilla tra il misticismo tecnologico e il fideismo tecnocratico e che ha già contagiato alcuni di quelli uomini che hanno cambiato, stanno cambiando o cambieranno le nostre vite attraverso la tecnologia. E nel suo reportage di gonzo journalism O’Connell è molto bravo a tenerlo a mente, anche quando si ritrova immerso in situazioni che sfiorano l’assurdo o di fronte a personaggi che paiono usciti da un techno thriller da autogrill. Perché se la seduta in cui gli è stato chiesto di recitare preghiere per ringraziare la dea tecnologia è effettivamente un episodio catalogabile come mero folkrore, il DARPA Robotics Challenge lo è molto meno, per quanto all’apparenza possa sembrare persino più divertente.

Durante questa fiera, robot antropomorfi si cimentano in prove elementari, come aprire una porta o scavalcare un’ostacolo, mentre sugli spalti il pubblico avvolto dall’odore di pop-corn ride di gusto della goffaggine dei competitori e la DARPA si ripulisce l’immagine, sovvenzionando attraverso questo circo per famiglie lo sviluppo di tecnologie la cui implementazione è destinata primariamente a scenari bellici.

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Al di là del folklore, O’Connell conduce la sua indagine nei luoghi in cui la teoria transumanista incontra la pratica scientifica. A partire dalla sede della Alcor, alla periferia di Phoenix. Un anonimo edificio squadrato al cui interno sono conservati i cadaveri, o meglio i pazienti come li definisce la società, di chi ha pagato per essere crio-conservato a bassissima temperatura in attesa che la scienza trovi un modo per risolvere il problema che li ha condotti in quello stato. Gelidi cilindri che accolgono fedeli in attesa di una nuova venuta i cui destini tuttavia devono per ora fare i conti con problemi ben più contingenti, come quello dello spazio, motivo per cui appare più economico far conservare solo la propria testa. D’altra parte, quando arriverà il momento di vivere per sempre, sarà meglio farlo con un prestante corpo cibernetico, piuttosto che indossando la propria ormai consunta carcassa di carne centenaria.

Per quanto aggirarsi, anche solo attraverso le pagine scritte, in luoghi simili sia straniante, l’approccio da profano tecnologico adottato da O’Connell aiuta a mettere in prospettiva il futuro contemporaneo a cui si assiste. Perché è inevitabile rimanere spiazzati di fronte alla teorizzazione, espressa come un percorso pressoché inevitabile e imminente, della digitalizzazione della mente umana, la coscienza trasformata in bit riversabili in un contenitore di silicio: è davvero necessario preoccuparsi dell’estinzione quando si può superarla in un’altra forma? Ma senza il corpo, la zavorra di carne che ci costringe a preoccuparci della morte, può esserci ancora essere umano?

Non senza il ricorso a graffianti lampi di cinica ironia, O’Connell riesce a svelare preoccupazioni, ambizioni e speranze che sorreggono la speranza transumanista, la cui realizzazione tuttavia conduce inevitabilmente verso una serie di dubbi e riflessioni sull’imponderabile e sulla nostra natura ben poco differenti da quelli accompagnano l’uomo fin d’alba dei suoi primissimi giorni. Impulsi beffardamente umani per chi, infondo, sogna di essere una macchina.

 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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