La redazione di Players dà un bacio d’addio al decennio scegliendo le serie che più lo hanno segnato, ma attenzione: abbiamo deciso di eliminare in partenza serie quali Mad Men, Breaking Bad e Game of Thrones sia perché la loro importanza e il segno lasciato sono talmente inconfutabili che a includerle non faremmo altro che presentare liste pressoché identiche, sia perché sono state ampiamente dibattute da pubblico e critica nel corso degli anni e abbiamo preferito dare quindi un taglio più personale, puntando sulle serie che per noi hanno significato qualcosa, indipendentemente dal successo raccolto e dal buzz generato. Speriamo così di riuscire anche nel tentativo di farvi incuriosire alla visione di qualche show che ci ha rubato un pezzetto di anima e che forse non ha goduto dell’attenzione che secondo noi avrebbe meritato.

 

Mara

The Good Wife (CBS, 2009 – 2016) Di colpo veniamo a conoscenza dell’esistenza dei coniugi King che salgono in  cattedra e dal pulpito di The Good Wife iniziano a impartire lezioni di scrittura a tutti, nessuno escluso. La serie è di base un legal che si incontra con il political drama e che insieme beneficiano di una vocazione comedy che trova nella perfetta gestione dei tempi la sua massima espressione. La protagonista veste ironicamente l’etichetta affibbiatale dal titolo per diventare la protagonista femminile tra le più sfaccettate e indimenticabili della serialità televisiva. Alicia Florrick avrebbe meritato la stessa attenzione prestata a Don Draper o a Walter White, ma non fatemi nemmeno iniziare questo discorso.

Person of Interest (CBS, 2011 – 2016) Privacy, controllo, gestione manipolatoria delle paure dei cittadini, terrorismo, connivenza tra crimine organizzato, politica e forze dell’ordine, e un’intelligenza artificiale che prende coscienza di sé. Questi sono i temi portanti di una serie che si traveste da procedurale d’azione ma che puntata dopo puntata costruisce una rete di personaggi e relazioni utili a espandere un universo complesso e profetico a testimonianza di quanto la serie abbia colto l’essenza del nostro tempo, e anzi a tutt’oggi continua a essere in anticipo. Un grande cast, Michael Emerson che si scrolla di dosso il Benjamin Linus di Lost, Jim Caviezel che si scrolla di dosso il personaggio di Gesù interpretando un altro tipo di salvatore e Amy Acker nel ruolo della vita senza che sia Joss Whedon a farla lavorare. Bonus: poche serie hanno saputo utilizzare le scelte musicale in modo così significativo e pertinente.

Sherlock (BBC1 2010 – 2017) sembrava impossibile privare il detective più famoso del mondo del fumo industriale della Londra vittoriana, dell’inverness e della pipa, eppure Moffat e Gatiss hanno dimostrato che il cuore del personaggio risiede in tutt’altro e che la Londra moderna è il campo d’azione ideale per uno Sherlock giovane e metropolitano, carismatico, ironico, adrenalinico e con un arsenale di battute fulminanti. A Study in Pink, il primo episodio, è né più né meno che il miglior Sherlock Holmes in cui si potesse sperare. Con il tempo mi sono disamorata si una serie che si sarebbe dovuta concludere molto prima, ma hey! Questa è la serie che ha regalato al mondo Benedict Cumberbatch!

Fringe (FOX, 2008 – 2013) Questa è una serie che mi ha letteralmente rubato il cuore mentre mi trasportava da un universo all’altro e mi faceva appassionare alle vicende di un padre che sfida la fisica, la vita e dio pur di non rassegnarsi alla morte del figlio. La fantascienza di Fringe è una continua esplorazione di mondi che si specchia nell’esplorazione dell’umanità. Poche volte nella mia vita di spettatrice mi sono legata così tanto a dei personaggi fittizi. Walter, Peter e soprattutto Olivia: se Alicia Florrick ha tutta la mia ammirazione, Olivia Dunham ha tutto il mio amore.

Halt and Catch Fire (AMC, 2014 -2017) l’evoluzione tecnologica dai primissimi personal computer fino ad arrivare ai moderni motori di ricerca. Tre decenni in cui i protagonisti sono alla ricerca della next best thing, della killer app, di essere i primi, i migliori nell’anticipare i tempi, creandoli se necessario. Ma la serie parla soprattutto di relazioni personali e di fallimenti umani. Un cast baciato dagli dei, Kerry Bishè e MacKenzie Davis tra le coppie del decennio.

Justified (FX, 2010 – 2015) Il western moderno rinasce grazie all’indecente tasso di swag concentrato nel personaggio di Rylan Givens, il marshal del decennio. Siamo nel Kentucky di redneck, neo nazisti, spacciatori e gente del sud orgogliosa e fiera, le cui vicende si intrecciano con quelle di Rylan che via via, nel nemico-amico di sempre (uno straordinario Walton Goggins) troverà un co-protagonista da affrontare e sfidare. Da segnalare la seconda stagione graziata da uno dei migliori villain su piazza interpretato da una grandissima Margo Martindale che fa suo un tipo di personaggio che purtroppo raramente viene affidato a una donna. Per chi ha già seguito dirò solo: torta di mele.

Penny Dreadful (Showtime, 2014 – 2016) dopo una sfilza di film discutibili, finalmente un ruolo che rende giustizia alla bravura di Eva Green. Uno squisito romanzo gotico che parte ricordando La Leggenda degli Uomini Straordinari e finisce per essere un poema alla Percy Shelly su vita, morte e amore. La Vanessa Ives di Eva Green strazia il cuore e al tempo stesso lo colma di bellezza, ma tutti i personaggi femminili della serie sono rappresentati con un raro connubio di potenza e grazia.

Rubicon (AMC, 2010) L’unica serie AMC a essere stata cancellata dopo la prima stagione e questa per me è ancora una ferita aperta. Mi mancano tantissimo quelle atmosfere, quel silenzio, e quella New York diversa da tutte le altre New York viste in altri prodotti. La storia è ispirata a I Tre Giorni del Condor e segue le vicende di Will Travers, il capo analista di un think thank ,che seguendo indizi lasciati tra le parole crociate nel New York Times arriva a scoprire una cospirazione che minaccia gli Stati Uniti e quindi l’Occidente. Uno dei pochi casi in cui un’intensa attività cerebrale lascia il posto alle tipiche sequenze adrenaliniche da thriller.

Menzioni speciali: Unbelievable (Netflix, 2019), Fleabag (BBC2 e BBC1 2016 – 2019). Entrambe brevissime, una miniserie la prima, due stagioni con formato da trenta minuti la seconda, accomunate dall’aver illuminato l’altra metà della Luna raccontando le donne come mai nessuno prima e segnando così indelebilmente l’ultima parte degli anni ’10. The Missing (BBC1 2014 – 2017) due stagioni incentrate sulla scomparsa di minori su cui indaga Jean Baptiste, il miglior detective originale concepito da ben più di un decennio.

 

Andrea

The Missing (BBC1, 2014 -2017) fa il suo esordio nell’ottobre del 2014 sul canale BBC1. Che si tratti di qualcosa di unico e potenzialmente irripetibile, critici e appassionati di polizieschi se ne accorgono subito perché fin dai primi episodi la serie sfodera tutti i suoi punti di forza: una trama avvincente, performance incredibili da parte di tutto il cast, colpi di scena ben dosati e una scrittura e definizione dei personaggi nettamente superiore alla concorrenza. A lasciare interdetti è l’assoluta perfezione con la quale si incastrano enigmi e piani temporali sfasati che, inizialmente ed in apparenza confusionari, nelle ultime puntate si rivelano essere tessere di un puzzle tanto ampio quanto perfetto: The Missing non ha bisogno di irretire lo spettatore con giochi di prestigio, artifici stilistici e deliri “da genio visionario” fini a sé stessi.

Fargo (HBO – 2015-2018): tre stagioni antologiche, una meglio dell’altra (a differenza, ad esempio, dell’incostante True Detective), capaci di essere all’altezza e quasi di superare la fonte originaria, il capolavoro a cui s’ispirano: l’omonimo film dei fratelli Joel e Ethan Coen. La qualità della scrittura è eccelsa, con dialoghi di incredibile semplicità che nascondono una densità e uno spessore che altre serie si sognano. Noah Hawley, il deus ex machina della serie, non ha bisogno di personaggi particolarmente iconici o sopra le righe né a scene “madri” per lasciare il segno. La storia, senza un solo attimo di tregua, nasce, si sviluppa e muore nell’arco di dieci, memorabili, puntate (e per tre volte, senza cali qualitativi!).

Dark (Netflix, 2017 – ): Ok, manca l’ultima stagione e la serie si è spinta così “oltre” che la caduta potrebbe essere rovinosa, quindi mi autoimpongo di tornare qui a giugno ed eventualmente cambiare idea. PER ORA, dopo due stagioni, Dark non rappresenta solo il vertice massimo raggiunto dalla produzione Netflix, ma sta alle serie tv come Steins: Gate agli anime, una serie capace di pasticciare con i viaggi nel tempo, personaggi incredibili e valori produttivi sontuosi, risultando sempre credibile e coerente. Almeno fino a giugno 2020, ovvio.

The Leftovers (HBO, 2014 – 2017) una delle più incredibili ed emozionanti serie sci-fi mai realizzate, il capolavoro di Lindelof pre-Watchmen ed in definitiva un piccolo saggio antropologico inserito in una storia ricca di colpi di scena, che in tre stagioni non mostra mai la corda. Aggiungiamo interpreti meravigliosi e una colonna sonora indimenticabile ed il piatto è servito.

Stranger Things (Netflix, 2016 – ) la serie che ha ridato definitivamente dignità ad un decennio ingiustamente bistrattato e oggi invece ampiamente e comprensibilmente rimpianto, visto che allora il futuro era ancora una promessa e non una minaccia come oggi. L’amore per quel periodo non si esprime col mero citazionismo, ma con un viaggio nel tempo, unito ad uno strepitoso romanzo di formazione che racconta le tante inquietudini legate alla crescita, il tutto in salsa horror-sci-fi. Cosa chiedere di più? Che termini degnamente.

Black Mirror (Channel 4/Netflix, 2011 – ) la serie che ha preconizzato il futuro in modo così efficace da diventare anno dopo anno sempre più anonima e obsoleta, superata di slancio da una realtà che peggiora ad una velocità insostenibile. Davvero, riguardatevi le primissime puntate e riflettete su quanto oggi NON appaiano originali e provocatorie rispetto alla data di messa in onda originale. Le ultime stagioni sono andate oggettivamente in calando, diventando troppo prevedibili e scontate (il cambio della guardia in produzione si è sentito tutto) ma il problema non è la serie, ma gli occhi di chi la guarda…

Westworld (HBO, 2016 – ): proprio come Dark, anche Westworld fa ancora a tempo a sminchiare, ma fino ad oggi l’altro Nolan ha effettuato un percorso netto: la prima e la seconda stagione potrebbero essere miniserie a sè stanti, tanto sono diverse nei toni e nei contenuti. Non resta che capire se gli autori sapranno far quadrare il cerchio: ad oggi Westworld rappresenta un esaltante condensato delle utopie e delle paure che affliggono quotidianamente il genere umano, spiegate grazie ad un mix di sci-fi, western e una mezza dozzina di altri generi.

 

Arianna

Rick and Morty (Adult Swim, 2013 -) La fantascienza for brains. Per stare dietro a questa brillante serie animata è necessario possedere una solida cultura di base, nonché buone conoscenze in abito cinematografico e televisivo, pena il disorientamento più totale. Al di là del passatempo nerd che sulle prime scatena, questa serie è capace di spingersi ben oltre i confini della realtà (intrattenitiva) conosciuta, grazie a una scrittura imprevedibile e a indimenticabili personaggi tridimensionali. La conoscenza rende cinici, a meno che non la si condivida…

The Knick (Cinemax, 2014- 2015) Il cinema in televisione nella sua forma più smagliante. Eh te credo, dietro la macchina da presa c’è Steven Soderbergh! Due stagioni di pregevole fattura che raccontano, in una livida New York di inizio Novecento, la nascita della chirurgia moderna all’ombra di pratiche e intenzioni discutibili, con un tocco di tragic soap opera che non guasta. Per stomaci forti e palati raffinati.

American Crime Story (FX, 2016 -) Serie tv antologica incentrata su fatti di cronaca che hanno segnato un’epoca. Romanzata al limite del caricaturale e del kitsch – nello stile dei produttori Brad Falchuk e Ryan Murphy – ma realizzata con grande abilità affabulatoria e originalità stilistica. Sia la prima stagione, narrante il caso giudiziario di O. J. Simpson, sia la seconda stagione, dedicata all’omicidio di Gianni Versace, si distinguono per la maniacale cura dei dettagli e la vivacità espressiva. Avvincente a dir poco.

Dark (Netflix, 2017 -) Capire dove andrà a parare non è facile, ma anche capire e basta dà un bel da fare. Serie tv tedesca di indubbio fascino – una volta che si sono opportunamente memorizzate facce e ambientazioni – che rilancia la complessità del paradosso temporale su schermo e sfida la comprensione di un pubblico ormai assuefatto. Per chi ha tempra spettatoriale.

Chernobyl (HBO, 2019) Miniserie autoconclusiva, e non potrebbe essere altrimenti visto che mette in scena uno dei più imponenti cataclismi del secolo scorso. La realtà dal punto di vista della morte, osservata attraverso il filtro verdastro della contaminazione radioattiva e del disfacimento biologico e morale. L’ansia 50 volte al secondo.

Cobra Kai (YouTube Red, 2018 -) Un teen movie che ha fatto epoca prestato alla tv, la cult fiction al vaglio dell’attualità, il conflitto sociale tra passato e presente, finzione e realtà, maschera pubblica e intimità privata. Operazione metatestuale di indiscutibile efficacia, con un cast capace di intercettare la misura e la forza d’urto delle proprie interpretazioni. Per chi “la cultura pop è una roba seria”.

Menzioni speciali: The OA (Netflix, prima stagione), True Detective (HBO, prima stagione), The Terror (AMC, prima stagione).

 

Claudio

Rubicon (AMC, 2010) Mi sento ancora in debito nei confronti di Mara per avermela fatta scoprire. Uno sguardo lento e riflessivo sulla vita di un analista all’interno di un’agenzia governativa incastrato in una trama ricca di cospirazioni e complotti, ma lontana dagli abusati cliché del genere. La sua cancellazione prematura, benché la prima stagione porti a maturazione e compimento tutte le trame, resta uno dei più grandi rimpianti del decennio televisivo che mandiamo in archivio.

Person of Interest (CBS, 2011 – 2016) Forse a causa della sua natura quasi completamente procedurale, Person of Interest è stata immeritatamente snobbata fin dalle prime stagioni una volta passato l’effetto curiosità verso il nuovo ruolo di Michael Emerson, il Benjamin Linus di Lost. Grave errore, perché lo show di Jonathan Nolan ha saputo leggere il presente e il futuro come pochi altri prodotti di intrattenimento del decennio, imbastendo su temi ormai fondamentali come la sorveglianza e l’intelligenza artificiale una serie che si è via via liberata dai legacci della proceduralità per tramutarsi in un lungo racconto corale che ha pochi paragoni. Poi, in aggiunta, è anche la migliore trasposizione su schermo di Batman, senza gente in costume.

Banshee (Cinemax, 2013 – 2016). La premessa è di quelle banali, che più banali non si può. Un ex criminale appena tornato in libertà finisce in una cittadina nel pieno nulla degli Stati Uniti centrali. Qui finisce per prendere l’identità del nuovo sceriffo, morto stecchito prima ancora di poter prendere servizio. L’impronta di ciò che viene dopo è quella di Cinemax, canale via cavo di HBO dedicato a un pubblico maschile, in cui la carne e il sangue sono spesso protagonisti, ben valorizzati da una fotografia super-saura. Ma mentre volano un sacco di botte e i vestiti finiscono spesso sparsi sul pavimento, sono le figure femminili quelle che emergono più forti e definite.

Watchmen (HBO, 2019) L’ultimo lampo della HBO prima della fine del decennio. Una sfida all’apparenza impossibile, che aveva già rischiato di bruciare la carriera di Zack Snyder, raccolta infine da Lindelof che ne ha fatto lo strumento per la sua definitiva consacrazione. L’eredità di Alan Moore vive in un racconto che mantiene struttura e grammatica dell’opera originale, adattandola però al racconto dell’America del 2019, senza farsi per altro mancare uno degli episodi più belli (e improbabilmente romantici) del decennio.

Bob’s Burgers (FOX, 2011 – ) Per superare la famiglia Simpsons ci voleva un’altra famiglia altrettanto disfunzionale, ma ugualmente affiatata. E nessun altro ha saputo esserlo quanto i Belchers. Senza la necessità di girare il mondo per trovare storie interessanti, ogni episodio di Bob’s Burgers condensa nel microcosmo di un quartiere l’esplosiva imprevedibilità garantita da un cast di personaggi così ben delineati da non dover dare l’impressione di abbassare il loro QI per risultare divertenti.

Adventure Time (Cartoon Network, 2010 – ) Sono anni che me la prendo con Wall E, reo col suo finale di aver perso l’occasione di sdoganare l’animazione come genere per adulti, e non mi ero mai reso conto fino a questo momento che l’obiettivo era già stato raggiunto da Adventure Time. Vera e propria fucina di talenti, lo show di Cartoon Network ha saputo parlare per un decennio a grandi e adulti, raccontando storie a volte lievi a volte drammatiche attraverso il linguaggio della fantasia più pura.

 

Elisa

Hannibal (NBC, 2013 -2015)Sono passate tre stagioni e quattro anni dalla fine improvvisa di uno show che non è mai riuscito a ingranare a livello di ascolti. Eppure i fannibal sono più vivi che mai, gli interpreti principali continuano a buttar lì di voler tornare a interpretare i loro ruoli di murder husbands a ogni piè sospinto e per quanto riguarda il creatore Bryan Fuller, nonostante i tanti progetti successivi, sembra fermo con la mente al suo cannibale.
Hannibal rimane ad oggi uno degli show più raffinati visti nel decennio, capace di passare dall’orrore del cannibalismo alla passione amorosa più travolgente in tre sole stagioni, sfruttando il fascino infinito e la bravura sconfinata di Mads Mikkelsen e tirando fuori qualcosa di simile persino da un insospettabile come Hugh Dancy. Un boccone prelibato ed esteticamente insuperabile.

Crazy Ex-Girlfriend (CBS, 2015 -2018)Degli eredi di 30Rock, parte prima. Fatto con niente (davvero niente) e mandato al massacro su un’emittente sotto sotto coraggiosa come CW, lo show di Rachel Bloom ha dimostrato dalla prima stagione di essere di un’altra categoria (comica), tirando fuori una forza drammatica travolgente nella seconda e terza. 
Alla fine la sua geniale creatrice e il suo manipolo di attori importati dal mondo del musical e dintorni sono riusciti a far vincere un Emmy alla più derisa delle emittenti e a infilare una serie di episodi (e numeri musicali) che una volta visti non puoi più smettere di citare per raccontare commentare la realtà. Quanto di scorrettissimo poi non si è riuscito ad infilare nello show, lo si è caricato su YouTube passando le maglie della censura. 
Peccato che lo show che più autenticamente e onestamente ha fotografato il disagio psicologico e la misoginia nell’America di oggi rimanga appannaggio di quei quattro sfigati che gli hanno dato una chance.


Brooklyn Nine-Nine (FOX, 2013 – 2019)Degli eredi di 30Rock, parte seconda. Per ogni volta che vedendo il pilota ho pensato “che comedy scema e volgare” ho poi espiato tirando dentro un altro spettatore. Brooklyn Nine-Nine è assolutamente spettacolare e in grado – esattamente come la creatura di Tina Fey – di far crescere così tanto e così bene il suo enorme cast che stare tra Peralta, Diaz, Santiago, Linetti e il capitano Holt è come tornare in famiglia. 
Se la parte comica poi non vi bastasse, sotto sotto è anche uno dei migliori polizieschi procedurali di stampo classico ancora in onda.

The Little Drummer Girl (AMC/BBC1, 2018) O dei del cinema, perdonateli perché non sanno quello che fanno ignorando l’arrivo geniale in TV (e sulla BBC!) di uno dei registi viventi più incredibili, uno che mai ha davvero sbagliato un colpo. 
Al suo esordio in TV, un Park Chan-wook più femminista che mai rispolvera il romanzo più audace e femminista di John Le Carré, tirando fuori una miniserie di spionaggio strepitosa. Il regista coreano per antonomasia (sorry Bong Joon-ho) è stato capace di fiutare il talento sconfinato di Florence Pugh prima che diventasse di dominio pubblico, mettendole a fianco gente del calibro di Michael Shannon e circondando il tutto con una produzione fantasmagorica. Roba da antologia, a cui avete preferito il titolo sensazione di Netflix del momento. Stolti!


Rocco Schiavone (RAI2, 2016 – ) Io e gli anziani sintonizzati su Rai1 ci stiamo godendo ormai da almeno un paio d’anni un vero e proprio rinascimento della fiction canonica (pun intended), mentre lo snobbismo generale previene buona parte degli appassionati seriali dal rimestare nel gran calderone delle serie italiane. 
Rimane un’operazione abbastanza pericolosa, va detto. Chiariamoci: di ciofeche ce ne sono ancora tante, ma non mancano esperimenti brillanti, talvolta vagamente audaci. Manco a dirlo le cose migliori escono sempre fuori dal genere poliziesco/procedurale/investigativo col buon poliziotto. Solo che Rocco Schiavone non è buono né come essere umano (anzi, spesso si rileva piuttosto stronzo) ed è tutt’altro che integerrimo come vicequestore.

È così scorretto (per i nostri standard s’intende) che nonostante gli ascolti da urlo la Rai continua a parcheggiarlo su Rai2, dove stagione dopo stagione affronta crisi esistenziali, cliffangeroni da consumato procedurale statunitense e una Valle d’Aosta più cupa che mai. Intanto la serie miete proseliti dalla Russia ai Balcani, perché Rocco Schiavone è un prodotto italiano la cui onestà funziona a ogni latitudine. 
Per citarlo in questa classifica non c’è nemmeno bisogno di tirar fuori Giallini, la cui esperienza umana è quasi perfettamente sovrapponibile a quella di Schiavone, che con questo ruolo è diventato il nuovo fidanzato del cinema italiano e beh, ci ha anche regalo uno dei ritratti televisivi più iconici del decennio.


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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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