La saga di Enola Holmes copre sei libri pubblicati tra il 2006 e il 2010 dall’autrice americana Nancy Springer. Millie Bobby Brown ne ha acquistato i diritti, interpretato il ruolo principale, e messo in cassaforte un franchise incentrato su un’eroina come le passate generazioni femminili hanno raramente avuto.
Il film centra tutti i bersagli che chiaramente si era prefissato di colpire, ma molti vengono raggiunti con tale forza da produrre un suono frastornante. È evidente dalle prime battute che il tema portante della storia è l’emancipazione della donna. Siamo nella Londra vittoriana del 1884, in prossimità di un voto storico che aprirà la via al suffraggio universale. Enola Holmes è la sorella minore di un già rinomato Sherlock Holmes, di Mycroft Holmes, uomo forte del Governo, e vive in una tenuta di campagna educata dalla madre Eudora. Mentre però le sue coetaneee – secondo i costumi dell’epoca – vengono istruite per diventare perfette damine la cui massima aspirazione è ambire a un buon matrimonio, Eudora (Helena Bonham Carter) nutre il brillante intelletto di Enola mettendole a disposizione una libreria sterminata, coltiva la sua vivacità di spirito, e ne addestra il corpo alla lotta: la prepara a essere dunque indipendente, autonoma, una libera pensatrice in grado di difendersi anche fisicamente. Così Enola trascorre l’adolescenza tra Shakespeare, complicati cifrari da decodificare e lezioni di jujutsu, finché il giorno del suo sedicesimo compleanno la madre Eudora scompare per qualche motivo, e i fratelli Holmes decidono di sistemarla in un istituto adatto all’educazione di future lady. Enola riuscirà a fuggire, mettersi sulle tracce della madre e, nel mentre, salverà la vita di un giovane Lord, il Visconte di Tewkesbury (Louis Partridge), la cui sorte è in qualche modo legata a quella di Eudora.
Il primo elemento a balzare letteralmente agli occhi è l’uso insistito dell’abbattimento della quarta parete.
L’abbattimento della quarta parete nella finzione è in uso dalla notte dei tempi – già nel teatro greco prima ancora che fosse codificata l’idea stessa di quarta parete – ma da un paio di anni a questa parte, quando si parla di questa tecnica è inevitabile il confronto con la serie Fleabag. Accade sempre così quando una tecnica o un tropo narrativo viene messo in scena da un’opera di fiction con tale abilità, e tale successo di pubblico e critica, da sembrare che sia stato originato proprio da quello stesso prodotto. È andata così anche con la prima stagione di True Detective che di colpo sembrava avesse inventato il piano sequenza.
Enola Holmes abbatte ripetutamente la quarta parete in modo però ben diverso da come avviene in Fleabag in cui gli spettatori non sono semplicemente il pubblico, ma la seduta psicoterapica di una donna dilaniata dal dolore silenziato attraverso ironia, sesso, e uno smaliziato e noncurante atteggiamento nei confronti della vita. La protagonista di Enola, nella foga di voler parlare con il proprio pubblico e renderlo attivamente partecipe, è talmente insistente da non limitarsi a catturare l’attenzione, ma procede a strattonarla e urlarle in un orecchio. Millie Bobby Brown è un’attrice straordinariamente dotata, con una grade consapevolezza di sé da cui consegue un carisma inusuale per la sua età: le è così naturale bucare lo schermo, che accanirsi ad abbattere la quarta parete produce l’impressione di ritrovarci Enola piazzata nel soggiorno di casa intenta a sbracciarsi nella nostra direzione.
Per fortuna nella seconda parte, quando si entra nel vivo della storia, la situazione diventa meno invadente mano a mano che ci appassioniamo alle avventure di questa ragazza iperattiva e indomita che occupa ogni angolo dello schermo: la telecamera è quasi sempre incollata addosso a Millie Bobby Brown che per altro è perfettamente a suo agio nell’accentrare su di sé questa ole imbarazzante di attenzione, al punto che nemmeno un ingessato Henry Cavill (Sherlock Holmes) riesce a eroderne un po’ nelle poche scene in comune. Anzi, Cavill è particolarmente fuori ruolo e avrebbe bisogno come il pane di un po’ dell’espressività della sua giovane collega.
La protagonista è impegnata in un rutilante coming of age che le permette, a ogni piè sospinto, di scardinare uno a uno i capisaldi del patriarcato, sovvertendo a suggello il cliché della damsel in distress: Enola ha una propria agenda personale, un piano, i mezzi per realizzarlo, la capacità di opporsi a nemici più o meno manifesti, e nel mentre trova modo di salvare e proteggere un giovane Lord dimostrando oltre che notevole acume, anche un animo generoso.
Da notare il lavoro svolto sull’abbigliamento. Nel canone di Sherlock Holmes è presente un personaggio tanto celebre quanto puntualmente impoverito e svilito ogni volta che viene portato in scena: Irene Adler, declinata come un’avventuriera, una ladra, una scaltra manipolatrice (cfr. Guy Ritchie e Moffat/Gatiss). Il personaggio è in realtà una donna emancipata e indipendente che batte Holmes su tutti i campi, incluso quello in cui il detective eccelle: il travestimento. Adler confida infatti a Holmes di essere particolarmente abile nella disciplina per aver utilizzato spesso abiti maschili al fine di godere di quell’anonimato e di quella libertà che alle donne non sono concessi.
In un mondo in cui l’abbigliamento per una donna è costrizione e obbligo alla bellezza per appagare l’aspettativa della società, Enola vede negli abiti costumi di scena che la liberano dallo status di “ragazza” e le permettono di assumere il ruolo e l’identità di cui ha bisogno per potersi muovere in completa libertà in ogni ambiente diventando così, all’occorrenza, la giovane vedova, la dama elegante, il garzone. I capi di vestiario non sono dunque un mezzo di controllo esercitato dalla società sulla ragazza, ma è Enola a manipolare lo sguardo della società a suo piacere attraverso l’abbigliamento.
L’elefante nella stanza: il nome dell’eroina pone l’accento sull’augusta parentela realizzando l’astuzia, da parte dell’autrice della saga, di introdurre un personaggio nuovo, ma che sembri già famigliare: prima ancora di conoscere la protagonista già abbiamo davanti agli occhi Sherlock Holmes, la Londra vittoriana, avventure e abilità deduttive. Per la buona riuscita del film era necessario sfruttare queste premesse senza restarne sopraffatti: Enola sarebbe dovuta partire come sorella del detective, ma al contempo avere la capacità, il carisma e l’inventiva necessari a trasformare Sherlock nel fratello di Enola. È venuto fuori qualcosa di diverso e a fine storia si ha la sensazione che Sherlock Holmes sia il fratello maggiore di Millie Bobby Brown.
Quello di cui il franchise ha bisogno, ora che ha una presenza carismatica, e una vocazione ben precisa – quella femminista – è qualcosa che identifichi univocamente Enola: la protagonista corre, lotta, deduce, ammansisce i temibili fratelli, dimostra un grande cuore, ma le manca una specificità che appartenga a lei e a lei sola.
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