cherry

Cherry aveva sulla carta tutti gli elementi per funzionare e meritare una prima distribuzione nelle sale, ma alla fine si è rivelato una delusione spalmata su un minutaggio punitivo.

Cherry è la trasposizione cinematografica del primo romanzo semi autobiografico di Nico Walker, giovane ex militare pluridecorato reduce dell’Iraq, finito in carcere in seguito a svariate rapine in banca che lo avevano reso anche uno dei più prolifici rapinatori dell’Ohio. È proprio durante il periodo della detenzione che Walker scrive il libro di cui i Russo hanno acquistato i diritti.

Walker, afflitto da sindrome da stress post traumatico e depressione, si era dato al crimine per poter continuare a sostenere la sua dipendenza da eroina. Durante gli anni del carcere la sua storia aveva acquistato un certo grado di notorietà grazie a un articolo di Scott Johnson per Buzzfeed (potete leggerlo qui). Walker aveva successivamente iniziato una corrispondenza con un editore che lo aveva incoraggiato a scrivere. Una volta pubblicato, Cherry è divento un best seller quasi universalmente acclamato al punto da attrarre l’attenzione dei Russo che ne acquistano i diritti per un milione di dollari. Successivamente Walker viene rilasciato con qualche anno di anticipo.

Il film nel frattempo era entrato nelle prime fasi di lavorazione: la sceneggiatura era stata affidata ad Angela Russo-Otstot e Jessica Goldberg, mentre per il ruolo di protagonista i due registi avevano ritrovato Tom Holland già diretto in Infinity War e Endgame, e dei film Marvel i Russo ripropongono l’esteso minutaggio, ma questa volta senza la necessaria capacità di avvincere per le due ore e venti minuti di attenzione richiesta.

cherry tom holland

Capite bene che se con un materiale del genere – ex veterano pluridecorato che diventa rapinatore di banche che diventa scrittore di fama durante la detenzione – la prima cosa che scrivo in recensione è una critica al running time, vuol dire che qualcosa non ha funzionato. E infatti, un prodotto potenzialmente notevole, per il quale è stato previsto anche una distribuzione in sala prima dell’approdo su Apple+, lascia con l’amarezza di aver sprecato mezzo pomeriggio.

Il film ci mostra un ragazzo che decide di lasciare il college e arruolarsi nell’esercito a seguito di una cocente delusione d’amore. La ragazza in questione (Ciara Bravo) torna poi sui suoi passi, e i due decidono di sposarsi all’indomani della partenza di lui per l’addestramento. L’esperienza in Iraq è traumatizzante e, una volta tornato, il ragazzo va a infoltire la schiera di veterani affetti dalla PTSD. Il medico gli prescrive sbrigativamente l’oxycodone, e da qui è un attimo ad arrivare all’eroina. Il protagonista – che non ha nome – diventa talmente dipendente da trascinare con sé la novella sposa per poi finire a rapinare banche per continuare a far fronte alla dipendenza di entrambi.

Nonostante i Russo cerchino di infondere carattere e personalità alla narrazione attraverso una regia avvolgente, montaggi musicali e scelte cromatiche ad effetto, in nessun momento la storia racconta qualcosa che non sia già stato visto e trattato – meglio – in centinaia di prodotti affini. I Russo le provano tutte: l’abbattimento della quarta parete, la narrazione in prima persona, la suddivisione in capitoli, i salti temporali, i titoloni giganti sparati in primo piano, ma niente. Il film non si schioda dell’essere la versione prolissa di una storia sulla carta intrigantissima. Di solito si dice “era meglio il libro”. In questo caso era meglio la vita reale.

cherry film

Alcune sequenze, prese singolarmente, mostrano come i Russo sappiano fondere l’autorevolezza necessaria per un blockbuster epocale, insieme allo stile surreale e caustico di comedy quali Arrested Devolepment e, soprattutto, Community, che i due hanno diretto per numerosi episodi.  Cherry, infatti e per fortuna, ha una vena ironica che aiuta ad arrivare in fondo, il problema è che il film alla fine risulta decisamente inferiore alla somma delle sue poche, buone parti.

Cherry non funziona come editoriale critico per il modo in cui i ragazzi vengono catapultati in missioni di guerra, comprime l’arco narrativo dedicato al ritorno a casa dei militari con PTSD, e non affonda mai davvero quando si passa alla dipendenza. Le rapine in banca si collocano in un limbo tra il flusso di coscienza e il dramedy con qualche vibe alla Trainspotting. Curiosamente, il prologo iniziale da film romantico è la parte che funziona meglio.

Tom Holland è efficace nel mostrarsi vulnerabile, buffo, disperato, ma è tutta fatica sprecata per una sceneggiatura che non sa che farsene di tutto questo. Anzi, la simpatia che suscita si traduce in un boomerang: non esiste un arco redentivo perché il protagonista è solo vittima delle circostanze e della società, non avvertiamo mai una vera e reale colpa personale. Il che poteva anche essere una scelta legittima, se solo fosse stata – appunto – una scelta.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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