Allen v Farrow è un documentario in quattro parti realizzato per HBO da Kirby Dick e Amy Ziering, registi e produttori, e dalla giornalista investigativa Amy Herdy . La storia raccontata è quella che tutti crediamo di conoscere. La battaglia legale che ha coinvolto Woody Allen e Mia Farrow è infatti uno di quei casi giudiziari debordanti, per i nomi coinvolti e le vicende in oggetto, da essere ormai inestricabilmente intessuta nella conversazione mediatica e sociale da già tre decadi.
È quasi impossibile trovare qualcuno che non si sia fatto un’idea precisa riguardo i fatti, e spesso questa si manifesta attraverso una levata di scudi a favore del genio, del Maestro, e la stigmatizzazione di Farrow quale donna instabile e vendicativa. Allen v Farrow, già nella scelta del titolo, sembra suggerire questa polarizzazione, ma solo perché si tende a dimenticare che esiste un’altra Farrow, Dylan, esautorata dalla sua stessa storia per diventare un mero casus belli.
Il documentario, dopo aver meticolosamente ricostruito il contesto, dato voce alla testimonianza di tutte le persone coinvolte – Allen e Soon Yi Previn hanno (legittimamente) rifiutato di fornire la loro versione – e mostrato filmati e documenti inediti, procede nel realizzare qualcosa di potente: restituisce la voce sia a Dylan Farrow adulta che a Dylan Farrow bambina. Quella voce che era stata silenziata, fagocitata, non creduta, strumentalizzata, e infine sepolta nel clamore mediatico della stampa che si era avventata sulla storia di una coppia di divi che si lascia, piuttosto che sul presunto abuso di minore che avrebbe meritato una trattazione più che mai cauta e precisa.
Ecco, Allen v Farrow, con un grande lavoro investigativo e un rigoroso fact-checking, sottrae la narrazione della storia fino a poco tempo fa saldamente in mano ad Allen e al suo stellare team di pubbliche relazioni, e la rimette nelle mani di Dylan e Mia Farrow.
“Well, holy shit. I’ve been turning away from a real miscarriage of justice here.”
Queste sono le parole che nel documentario Ronan Farrow ricorda di aver usato quando per la prima volta, da giornalista investigativo e avvocato, si è deciso a esaminare la mole di documenti relativi al caso di abuso e molestie che nei primi anni ’90 aveva coinvolto sua sorella Dylan come vittima, e suo padre Woody Allen come abuser. Prima di quel momento, Ronan Farrow era stato, per sua stessa ammissione, una di quelle persone che del trauma di sua sorella non voleva più sentire parlare.
Un minimo di chiarezza: Ronan Farrow (chiamato spesso nel documentario con il suo primo nome, Satchel) è il figlio biologico di Mia Farrow e Woody Allen. Dylan Farrow è la figlia adottiva del regista e dell’attrice.
La vicenda è più che di dominio pubblico. La battaglia legale che ha coinvolto Allen v Farrow è uno di quegli casi mediatici la cui onda d’urto continua, a distanza di trent’anni, a propagarsi e causare scossoni. Questo avviene senz’altro per i nomi coinvolti: Woody Allen è considerato uno dei più grandi registi di sempre, artista e autore dal genio indiscusso; Mia Farrow è un’attrice con una carriera che copre cinque decadi attraverso le quali ha lasciato il segno in ruoli rimasti iconici. Ma non solo. Quando parliamo delle due star, quello che colpisce è il groviglio di parentele e legami biologici e non che tiene insieme tutte le persone coinvolte.
Altro doveroso chiarimento. Allen e Farrow sono stati legati da una storia durata poco più di dieci anni, dal 1980 al 1992. Durante questo periodo Farrow ha recitato quasi sempre nei film del regista, i due non si sono mai sposati, né hanno mai convissuto. La ex coppia ha tre figli: uno biologico, Ronan Farrow, nato nel 1987, e due adottivi, Moses e Dylan che furono inizialmente adottati solo da Farrow – il primo nel 1980 e la seconda nel 1985 – e successivamente, nel 1991, anche da Allen.
Farrow a questo punto della storia ha altri sei figli avuti dal precedente marito André Previn: tre biologici e altri tre adottati, tra questi anche Soon-Yi che nel 1992 ha un’età compresa tra i 19 e i 21 anni. Nel gennaio del 1992 Farrow scopre delle fotografie scattate da Allen che ritraggono Soon-Yi Previn nuda. I due avevano iniziato una storia. Ma anche su questo tornerò più avanti.
Nell’agosto nel ’92 accade qualcosa. Dylan Farrow all’epoca aveva sette anni e racconta a sua madre – che la sta riprendendo in video come era solita fare con tutti i figli – la violenza subita dal padre. Il video è raggelante. Il documentario lo posiziona al temine del secondo episodio dopo aver introdotto il contesto, la rete e le dinamiche famigliari. A questo punto è già stato trattato il modo in cui Woody Allen aveva sviluppato un attaccamento inappropriato e allarmante nei confronti di Dylan, come testimoniano insegnati, babysitter, amiche di famiglia e psicoterapeuta, e come la stessa Dylan ha raccontato più volte in età adulta e confermato in Allen v Farrow.
Il contenuto del video non lascia molti dubbi, né su ciò che è accaduto, né sul fatto che Mia Farrow in quel momento stesse gestendo la situazione senza tentare di imbeccare la figlia in un senso o nell’altro.
A quel punto Mia Farrow porta la bambina da un pediatra ed è il medico a segnalare il presunto abuso alla polizia, così come impone la legge. Da qui nasce il caso legale.
L’allora procuratore, Frank Maco, chiede una perizia alla Yale–New Haven Child Sexual Abuse Clinic. La struttura, dopo sette mesi di lavoro, dichiara il racconto della bambina inaffidabile, se non addirittura indotto dalla madre. Su queste conclusioni il team legale, ma soprattutto la macchina delle PR di Allen, fondano la narrazione di un uomo innocente, vittima della vendetta di una donna disposta perfino a manipolare la figlia pur di distruggerlo.
In Allen v Farrow scopriamo però che quella perizia è frutto di numerose irregolarità, almeno due degli esperti erano convinti che Dylan stesse raccontando molestie realmente subite e, soprattutto, a onta di ogni procedura, tutti gli appunti e la documentazione che portarono alle conclusioni esposte in perizia erano stati distrutti. Lo stesso iter seguito per le valutazioni della bambina è stato giudicato da altri esperti assolutamente non conforme alla procedura standard. Frank Maco, a seguito di varie investigazioni, giudicò che ci fossero sufficienti elementi per andare a processo, ma decise comunque di non procedere per salvaguardare il benessere della bambina.
Un processo però ci fu. Allen nel frattempo aveva chiesto la custodia dei figli accusando Farrow di essere una madre inadatta e instabile. Il giudice non solo accordò la custodia a Mia Farrow, ma valutò Allen un padre inadeguato definendo il suo comportamento “grossly inappropriate” nei confronti di Dylan che andava tutelata “measures must be taken to protect her”. Il giudice ritenne il rapporto Yale-New Haven “sanitazed“.
Allen v Farrow, però, non è solo la ricostruzione di quello che avvenne, grazie al lavoro investigativo di Amy Herdy, e le numerose testimonianze oltre quelle di Dylan, Mia e Ronan Farrow. Il documentario è interessante nella decostruzione di quel processo per il quale si è ansiosi di credere alla verità di un personaggio che in qualche modo ha segnato la nostra epoca, o addirittura il nostro percorso personale. E questo è un processo che coinvolge – nel caso specifico di Allen – il cinefilo amatoriale, il pubblico pronto a concedere un patentino di impunità al genio per poter continuare a fruire delle sue opere, i critici più navigati, fino ad arrivare a tutte quelle persone – in prevalenza uomini – che nei personaggi e nelle storie di Allen si sono ritrovati e quindi mettere in discussione il regista equivarrebbe a mettere in discussione lor stessi.
Naturalmente, in tutto questo, fa bella mostra di sé lo star system hollywoodiano che si piega e si inchina acriticamente al genio, con tanto di stuolo di attrici pronte a difenderlo. Il paradigma dell’intoccabilità del grande artista è venuto meno solo di recente, e soprattutto grazie al movimento metoo. Personalmente ho provato un misto di rabbia e compassione nel vedere – come mostrato nel documentario – una sfilata di attrici professare fedeltà ad Allen. La rabbia è senz’altro per averle viste seppellire con il loro starpower la voce di due donne disperate per essere, se non credute, quanto meno ascoltate; la rabbia perché credo che, indipendentemente da quello che pensavano realmente, nessuna di loro era nella posizione per prendere le distanze non solo dal regista, ma dall’intero sistema che lo stava avallando. Rinunciare pubblicamente ad Allen, dieci anni fa, significava probabilmente essere estromesse dall’intera industria.
Separare l’uomo dall’artista, allora. Allen v Farrow mostra però in che modo l’arte dell’uomo venga utilizzata come scudo totale per il privato dell’uomo perché al genio si perdona tutto. E non solo. All’interno del documentario viene passata in rassegna parte della filmografia di Allen, con particolare attenzione posta su bozze e appunti che il regista ha donato agli archivi di Princeton, e sul film Manhattan incentrato sulla storia – di ispirazione autobiografica come sappiamo solo ora – di un uomo di quarantadue che viene concupito da una ragazza di diciassette. Quello che fa Allen è rendere ai nostri occhi romantico e simpatico un rapporto asimmetrico e squilibrato in cui lui si pone perfino come il soggetto debole che in qualche modo subisce la relazione. Si può davvero separare l’uomo dall’artista quando la sua arte mira a rendere il pubblico complice di un abuso di potere?
Chiudo con una nota personale. Allen, nell’avere una relazione con Soon-Yi Previn, non ha commesso alcun reato, ma questo dà una misura precisa di un uomo che in una posizione di potere assoluto decide di togliersi lo sfizio (“a fling” come lo definì il regista) con una ragazza che ha l’età per essere sua nipote, dall’infanzia traumatica, che non ha mai avuto un fidanzato, che è non solo la figlia della sua compagna, ma anche la sorella maggiore dei suoi tre figli. Per dire, Ronan e Dylan si sono ritrovati ad avere la propria sorella sposata con il proprio padre. Già l’enorme differenza di età dovrebbe suscitare inquietudine, ma l’insieme del quadro, considerando anche tutti gli altri elementi, è quanto mai aberrante.
Allen non era comunque nuovo a una storia segnata da una tale differenza di età e squilibrio di potere. Per sua stessa ammissione aveva avuto una storia con la diciassettenne Stacey Nelkin, conosciuta sul set di Annie Hall, e una relazione di otto anni, tenuta lontano dai riflettori, con la modella Christina Engelhardt, lei sedici anni, lui quarantuno.
Reato o meno, non ho bisogno di una sentenza per capire che Allen è un predatore, un uomo abietto che non si fa scrupolo nel depredare ragazze minorenni che si trovano di fronte un uomo più che adulto, di successo, venerato dalla stampa, e con un peso sociale, economico e artistico enorme. Questo è il curriculum etico, morale e personale di una persona che non vorrei mai vedere esaltata, incensata, acclamata, considerata intoccabile. Allen, in definitiva, è il tipo di uomo con il quale non lascerei nella stessa stanza neppure il mio gatto.
Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.
Grazie!